Numero dodici

Sebastian Giovinco è il numero dodici della Juventus, sebbene per caratteristiche tecniche si avvicinerebbe più a un numero dieci. Ma lui ha scelto di vestire quello che normalmente è il numero del portiere di riserva, forse per non dover sentire il peso della maglia che fu di Del Piero. Una sorta di presagio, la scelta del dodici? In effetti Sebastian ha fatto molta panchina da quando è tornato alla Juve, il club che l'ha cresciuto. E dire che, quand'era al Parma, lontano da casa, segnava tanto ma soprattutto giocava. 

Giovinco vive una strana situazione; è un giovane neanche più tanto giovane (27 anni per chi gioca a pallone non sono pochi), cresciuto a Beinasco, svezzato coi colori bianconeri, dotato di grande tecnica ma con quella bassa statura che forse più che penalizzarlo in campo ne pregiudica il valore agli occhi degli altri.
Sebastian ci mette la buona volontà, ma per quest'anno niente gol ancora. Solo pali, tanti pali beffardi. Questo però è anche il suo ultimo anno, la sua ultima chance, dopodiché il contratto con la Juve scadrà. Finora le opportunità per lui sono state poche, pochissime: ha giocato 106 minuti in campionato, vale a dire poco più di una partita intera, e anche in Nazionale mister Conte gli ha concesso solo spezzoni. La cosa assurda per Sebastian è che ogni volta che tira le assi della porta vibrano ma reggono. Tanti pali e niente gol. Niente gol, niente gloria. E niente contratto. La sua Juve non riesce a valorizzarlo, perché a monte non gli concede il giusto spazio? Forse servirebbe solo un po' di pazienza? O altrove renderebbe meglio? Certo non è facile resistere alle pressioni mediatiche, e a quelle che probabilmente lui stesso si crea. Non si capisce se sia una mera questione di sfortuna, o di minutaggio, o di destino. 
Ma il numero di maglia se l'è scelto lui, e un buon numero dodici dev'essere sempre pronto, che si tratti di giocare due minuti o novantadue, perché prima o poi l'impegno paga. Prima o poi arriverà l'opportunità. Anche per un piccolo creativo del pallone in un mondo in cui si prediligono fisici statuari e potenti.

Ecco, anziché di un mito ho narrato di un calciatore, ma che importa? Rende bene l'idea.
Da troppo tempo sono anch'io una panchinara che quando entra in campo sfiora l'estasi del gol e poi cerca di resistere all'impulso della resa dinanzi all'ennesima beffa. Questo deve saper fare un buon numero dodici. Riprovarci.

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