L'autodidatta- la ricetta dello scrittore

Un bravo scrittore è innanzitutto un bravo lettore. Questa è la lezione numero uno. Non ci si può improvvisare cuochi se non ci si è mai messi a cucinare. Un bravo lettore, dunque, che voglia diventare anche un bravo scrittore, deve esercitarsi. Tanto. Deve accettare che il primo piatto sarà una gran schifezza, e che nessuno lo nominerà chef stellato subito. Occorreranno giorni, mesi, anni prima di poter affinarsi e arrivare a una forma quantomeno accettabile.

Io ho iniziato in maniera del tutto inconsapevole a formarmi da giovanissima, ma senza particolari guizzi che facessero presagire chissà quale talento. Nessun professor Keating a invitarmi a salire sulla cattedra che il mondo appare diverso da quassù, a incoraggiarmi a scrivere perché intravedeva in me qualcosa di speciale; nessuna storia del tipo mio padre era un docente universitario per cui sono cresciuta in mezzo ai libri, sebbene i libri non mancassero a casa mia, ma per innamorarmi dei libri ci sono voluti i libri giusti (nel mio caso provvidenziale fu Due di Due di Andrea De Carlo), dacché reputavo i libri classici pallosi tanto che mi dovetti svezzare soprattutto coi fumetti; nessun concorso letterario vinto a 17 anni, io ai tempi scribacchiavo solo il mio diario segreto; nessuna folgorazione immediata del tipo da oggi mi metto a scrivere un romanzo, che la prima fiction che scrissi era un racconto breve assai modesto, cui seguì una sceneggiatura teatrale altrettanto modesta; nessuna scuola di scrittura da ottomila euro l’anno, nemmeno la facoltà universitaria ‘giusta’, bensì un fritto misto di studi ed esperienze.

E allora, cosa fa di te una scrittrice?, vi starete giustamente domandando.

Un lungo, logorante lavoro su me stessa. Ecco cosa, per me, ha fatto la differenza. Una serie di scavi nel mio io interiore, fino a raggiungere i reperti e i reparti più profondi, incredibili, scomodi, spiacevoli. Se si è disposti a fare questo lavoro, esso varrà più di tutte le migliaia di copie che si riusciranno mai a vendere.

Io, però, ho venduto e pubblicato ben poco, anzi, aspetto la tarda primavera per misurarmi con la prima vera occasione editoriale, eppure mi considero una scrittrice a tutti gli effetti in virtù dei passaggi fondamentali di cui sopra: dieci anni passati a scavare, mentre divoravo libri. E dopo un decennio costellato di errori, vicoli ciechi, rifiuti, tentativi vari, ecco finalmente avvicinarsi la grande occasione. Non credo sia un caso: per arrivarci ho dovuto cambiare il mio menu, rinunciando al primo e puntando sugli antipasti.

... Ha funzionato! 

Ma non mi sento che appena partita. Autodidatta rimarrò sempre, che la vita, alla fine, è un grande libro di ricette dal quale attingere; ne provi una, la rifai cento volte, imparando da ognuna delle cento volte qualcosa in più.

Sala d'aspetto


Sulla porta leggi sala d’aspetto. E, in effetti, ce ne sarà da aspettare. L’attesa già ti si prospetta snervante. Entrando, ti accoglie in sottofondo un colpetto di tosse – sembra quasi da protocollo che ogni tanto qualcuno debba tossire in una sala d’attesa – e qualche occhiata da parte degli altri attendenti. Prendi posto, anche se la sedia fredda e dura non è esattamente accogliente.


Fremi e temi allo stesso tempo questa visita, non sei del tutto tranquillo; non ti resta altra scelta che vagare con lo sguardo a caccia di un po’ di conforto. Ma l’atmosfera tutt’intorno non ti aiuta per niente: anonimi quadri che vanno a confondersi con la scialba e vetusta carta da parati, datate riviste di gossip ammucchiate su un tavolino scricchiolante, odore stantio... E poi ansie che si mescolano l’un l’altra, appesantendo a tal punto l’aria che hai quasi la sensazione di non riuscire a respirare...


Provi a ricomporti, ma non è proprio per questo che sei venuto a farti visitare? Che non ti riesce più nemmeno respirare? In un attimo tutte le questioni irrisolte si fanno spazio nella tua testa inoccupata, e di nuovo senti mancarti il respiro. Forse preda di un attacco di panico sei costretto ad alzarti e uscire, prima di fare figuracce, pugni serrati e fiato corto, bramando un po’ d’aria fresca. La segretaria ti lancia uno sguardo di disapprovazione. Ti ci vuole qualche minuto per recuperare un respiro regolare. Tuttavia devi rientrare: quando lo fai incassi gli sguardi altrui, ora attoniti ora severi, che i momenti di debolezza non sono mai benvisti, poi ti siedi riaccogliendo nei polmoni l’aria stantia di prima. L’unica maniera che hai per resistere senza ulteriori sceneggiate è tirare fuori lo Smartphone e aprire app a caso, qualsiasi cosa ti possa tenere occupata la mente... Scorri col polpastrello incerto a caccia di facili distrazioni, tutto pur di far scorrere i minuti, che in effetti prendono a scorrere, finché non odi la voce della segretaria scandire il tuo nome in maniera fredda. È il tuo turno finalmente, eppure continui a sentirti a disagio, forse per gli appuntiti sguardi altrui che ti accompagnano fin dentro lo studio medico.


Col fiato corto e gli occhi lucidi provi a spiegare al medico quello che ti sta succedendo. «Dottore, sto male. Non so di preciso il perché ma ho delle crisi, degli attacchi, mi sento stressato e a disagio. Mi è capitato persino poco fa.»

Prendi la ricetta coi calmanti poi esci, evitando di poggiare lo sguardo sugli altri attendenti e sull’antipatica segretaria.

Sei fuori, eppure fatichi ancora a respirare.


(Parafrasi della realtà con la terapia della Bellezza)


Sulla porta leggi sala di bell'aspetto. Di bellaspetto? L’attesa già ti si prospetta... stramba.

Stramba come questa sala, a ben guardarla. Nessuno dei pazienti che stia seduto, tutti che si muovono freneticamente, ma dove sei capitato?


Entrando ti accoglie in sottofondo una musica jazz, ne ignori l’autore ma è proprio il genere azzeccato per coccolare gli attendenti. Mentre invadi la sala, la segretaria si fa strada canticchiando e ancheggiando, poi apre la finestra. Mezzo minuto, il tempo di rinfrescare l’ambiente, nessuno sembra lamentare freddo né fastidio. Uscendo ti fa l’occhiolino augurandoti buon divertimento. Il suo inspiegabile buonumore è cosa assai inusuale, eppure non puoi fare a meno di sorriderle a tua volta.


Ti guardi attorno sempre più curioso. "Ma che razza di sala d’aspetto è?" pensi incredulo, rendendoti subito conto che è impossibile ignorare la maestosità degli arredi; riproduzioni a tutta parete di Monet e Van Gogh, Renoir e Cezanne, sulle finestre delle stupende tende con una fantasia di colorate note musicali, sotto i tuoi piedi un tappetone granata talmente soffice che vien voglia di rotolarcisi dentro.

L’odore della sala, poi, è gradevole. Come se ci fossero fiori freschi... toh! Eccoli là! Un bel mazzo di fiori per tutti i gusti – fra cui spiccano i girasoli – che emanano un piacevole profumo. Qualcuno si avvicina per odorarli, qualcun altro dallo sguardo malandrino vorrebbe coglierli ma desiste: troppo difficile imboscarseli.


Sprofondi in un divanetto assai comodo, notando sulla tua destra un plico di riviste niente male. Sono perlopiù riviste scientifiche e di attualità, mentre sulla tua sinistra noti una vasta gamma di celebri fumetti che ti riportano subito indietro nel tempo solo a guardarne le copertine.

Da qualche minuto stai sfogliando con bramosia un fumetto, perché sai che fra non molto toccherà a te. Alzando lo sguardo noti una mini-libreria in fondo alla sala... Per forza non l’avevi scorta, era coperta dagli altri attendenti! Molli il fumetto della tua preadolescenza per fiondarti sulla libreria. Le mani accarezzano i volumi, perlopiù grandi classici della letteratura, una lacrimuccia ti scende quando scorgi il libro Cuore di De Amicis, mentre non resisti alla tentazione di avvicinare la copia di Il Fu Mattia Pascal al naso per odorarne le pagine.


Accanto a te c’è un bambino intento a sfogliare vecchi album di figurine completi, quasi quasi gli vorresti far compagnia perché tanto qui la vergogna l’hai ormai lasciata sulla soglia della porta, e così tutti gli altri! Non ce n’è uno che stia seduto composto oppure chino sul suo cellulare. La sala è abbastanza ampia da consentire passeggiate come se si fosse in una galleria d’arte. D’improvviso il bimbo si precipita in un angolino della sala e raccoglie delle freccette.

Nessun altro sembra essersene accorto, del gioco delle freccette! Così decidi di sfidare il bambino: raccogli una freccetta e la scagli verso il centro del bersaglio, mancandolo clamorosamente. Dinanzi a un errore così grossolano ti viene da ridere. In un attimo tutta la sala ride con te. Quando il bambino fa centro al secondo tentativo, le risate mutano in urla di giubilo.


Finché la segretaria compare sulla porta e scandisce il tuo nome canticchiandolo.

Il tuo sguardo è di puro dispiacere. Non vorresti andartene. Insomma, non puoi abbandonare così una gara! Quasi quasi vorresti chiedere a qualcuno di cederti il suo posto, ma nessuno sembra palesare la tipica fretta di voler vedere subito il dottore. A malincuore, dunque, ti dirigi verso lo studio medico.


«Guardi dottore, io ero venuto per parlarle dei miei problemi di stress. Mi causano parecchie emicranie, stanchezza, insoddisfazione... Ho persino avuto degli attacchi di panico, credo. Oh, dottore, non mi crederà ma adesso sto molto meglio! Mi è venuta voglia di andare in soffitta a riaprire il baule dei miei vecchi fumetti! Ehi, magari torno la settimana prossima per discutere con lei della mia indispensabile visita specialistica di controllo dei nei superflui, ehm, che dice?»

Il dottore annuisce. «Torni pure quando vuole. Nel frattempo le prescrivo un ascolto di musica classica dopo i pasti, per cinque giorni. Veda come va. Ah, faccio che aggiungerle anche una passeggiata giornaliera nelle ore pomeridiane, per almeno quindici minuti, in mezzo al verde.»

Prendi la ricetta come se ti avesse appena prescritto di mangiare gelati e caramelle. Un ultimo saluto agli altri attendenti, e alla simpatica segretaria, prima di uscire.

E tornare a respirare.


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