cari ufficiali lettori

Miei cari ufficiali lettori,
immagine tratta da flickr
...e finalmente posso chiamarvi tali!
L'attesa è finita. Sono ufficialmente una scrittrice. E voi i miei lettori. Che emozione! D'accordo, scrittrice lo sono tecnicamente da parecchio tempo, ma mancava la pubblicazione del romanzo per poterlo dimostrare coi fatti. Anche perché ho sempre avuto problemi di concretezza... Però ci ho creduto, in Damazerico: volevo creare un immaginario che potesse far appassionare la gente, indipendentemente dal numero di copie vendute. Perché a contare sono i lettori, i cuori, i sogni, le emozioni, e poi i denari. Non vi è mai capitato di comprare un libro e di non leggerlo? O di non riuscire a terminarlo? Ben diverso invece è un volume che passa di mano in mano, appassionando tante diverse persone...

Ora la gente sgrana gli occhi di fronte ai volumi che portano il mio nome, senza immaginarsi nemmeno lontanamente quanto sia stata faticosa, questa (scalata nella) scalata... Ripenso alle incredibili tappe che ho percorso in questo 2013, a cominciare da gennaio, quando decisi di rimettermi in gioco senza prospettive né certezze. Da allora ne sono capitate di tutte i colori, colori talvolta caldi, e talvolta freddi, freddissimi. Un momento ero redattrice editoriale in rampa di lancio, un momento dopo ero di nuovo a piedi... e col ginocchio malconcio. Poi il vento caldo dell'estate mi ha restituito l'armonia in maniera del tutto inaspettata. Prima dell'ultimo autunnale tratto che sembrava non finire più. Però, senza quel tratto, non avrei mai imparato le ultime lezioni in programma del professor Destino su cosa significa essere un'autrice. A saperlo prima cambiavo mestiere :)

E adesso?
Beh, intanto fatemelo presentare, questo libro! Lasciamo passare le chiassose e mangerecce festività, dopodiché celebreremo l'evento come si deve. E poi...
Non lo so esattamente. Il post-vendite è un'incognita, una novità, non so proprio cosa aspettarmi. Vedremo. Nel frattempo, non starò certo ferma. Sapete che noia a star fermi? Fortuna che le idee non mancano mai nel mio serbatoio creativo... Questo, in fondo, non è che il principio.

Buon anno a tutti i colleghi scrittori, buon anno a tutti i presenti e futuri lettori, buon anno a quelli di un libro all'anno, a quelli di un libro al mese, a quelli che leggono solo fumetti, a quelli che prima il libro e poi il film, a quelli che solo gli e-book, a quelli che li pubblicano, i libri, e infine auguri a quelli che i libri se li divorano. C'è ancora qualcuno che con la cultura ci mangia. Auguri!

A noi la scelta

Torino, 9 dicembre. In vari punti della città ha inizio la protesta dei Forconi, controversa quanto imponente manifestazione riottosa contro il potere. Torino risulta essere, sin da subito, il centro più caldo d'Italia, con tanto di binari occupati, piazze gremite e incroci - anche periferici - bloccati. Mentre tutto questo inizia e si protrae per giorni, un carico di libri si mette in viaggio dal Sud verso l'incandescente Nord. Sono i volumi di un certo romanzo, il cui titolo contiene la parola rivoluzione. Pazzesco, e grottesco. Il carico rischia di arrivare in gran ritardo (tanto per non smentirsi!) a causa delle disfunzioni di traffico e servizi.

Trovo che ci sia molta confusione in queste ondate reazionarie, mista a rabbia. Trovo che alcune delle azioni intraprese - cassonetti bruciati, minacce ai negozianti, intimidazioni agli automobilisti - siano preoccupanti atti di microterrorismo, molto più vicini al modello dittatura che al modello democrazia.
Trovo infine che sia giusto poter scegliere se aderire o meno alla protesta, come pare che abbiano fatto alcuni poliziotti che si sono tolti il casco (e non è certo stato, come qualcuno ha ipotizzato in una nota trasmissione televisiva, un gesto per segnalare la fine del turno!)

Con tutti i guai che abbiamo è più che legittimo protestare, anzi, mi vien da dire "era ora". Ma. C'è un ma. Oltre al come si manifesta, mi chiedo che cosa si chiede esattamente. Insomma... Cosa vogliamo, italiani? Che il governo torni a casa? Per poi andare a votare con la medesima legge porcata?
Il punto non è mandare tutti a casa, ma manifestare una chiara volontà popolare sulle reali emergenze del Paese, come il lavoro, proponendo idee per riforme e disegni di legge, ad esempio.
Io, professionalmente parlando, non sono diversa da chi protesta. Sono una di loro, senza lavoro, senza opportunità. E proprio qualche giorno fa mi son detta: possibile che non ci sia proprio niente che (pos)so fare? Perché non posso fare quello che so fare e che voglio fare? Che posso fare per poter fare ciò che voglio e so fare?
Non mi sono risposta a parole. Ho ricominciato a fare. A sognare. Cioè a scrivere. Scrivere per gli altri. E' ciò che chiamo speranza.
Speranza di poter presentare Damazerico dopo tanto attendere. Speranza che possa essere letto, dibattuto, condiviso. Speranza che in questo Paese cresca la passione per la lettura. Mentre a Savona oggi qualcuno voleva bruciarli, i libri...

Comunque sia, tutto dipende da noi. Sfasciare e minacciare e sbraitare non ci servirà a niente. Vuol dire che mancano le idee. E persino lo slogan "siete come noi" cade in contraddizione, se la gente viene costretta ad abbassare le serrande o a scendere dalle auto.
Con la Rivoluzione Francese, cosa accadde? Che caddero le teste dei tiranni. Poi ne arrivò un altro, peggiore. Per fortuna però, di rivoluzioni ne esistono diverse tipologie: c'è anche quella nonviolenta. Ma si tratta della tipologia più difficile, estremamente faticosa. Minacciare e spaccare tutto invece è molto più facile e sbrigativo. A noi la scelta.

Cor e follia

Ripropongo una poesia sebbene, lo ricordo, non sia una poetessa. La poesia rimane la più difficile delle varie forme di scrittura con le quali mi cimento, dunque mi perdonino i poeti veri l'anarchica struttura utilizzata... D'altronde sono sempre stata un'autrice a briglie sciolte!

Folle percorrere tragitti
fuor dai binari 
tali inusuali abitudini
ho da tempi remoti
prima percorsi poi fughe
corrotta dalle paure
d'un cor esitante
che va(ga) controcorrente

finché non implode
e di colpo smette
d'esser fugace
s'apre, piange
e poi tace.

La corsa riprendo

in direzione opposta
incurante del ritardo
folle consapevolezza
consapevole follia
col cor(aggio) ritrovato
ora vado e più non vago.

Son cor e follia
e innamorarmi voglio
della vita
della gente
ché se non amo
tornerò niente.

Sarà per la prossima svolta

Diciamocelo, finora più che di pubblicazione s'è trattato di pubblica azione. Si pensava tutti che Damazerico fosse quasi pronto, e invece no, non ancora. Tutto ciò che è stato fatto (finta serata di presentazione con tanto di prove lettura e canto, distribuzione anteprime, articoli vari, pubblicità...) è stato parte di un agire che avrebbe dovuto culminare con l'arrivo dei volumi. Purtroppo ho appreso in questi giorni che, a causa di alcuni problemi, l'uscita del libro è stata rimandata. Da autrice impaziente qual sono vorrei che tutto si risolvesse presto, ma la verità è che non è possibile azzardare alcuna data. Dunque il libro arriverà quando arriverà. Mi scuso con i lettori: mi sento come un centravanti che esulta per il gol mentre l'arbitro glielo annulla per fuorigioco. Sì, mi sento un po' scema, ma fa parte dei rischi di uscire allo scoperto. Che dire, cari quasi lettori... Sarà per la prossima svolta. 

Questo cammino sarà pure nonviolento, ma brucia. L’anima. E scopro che non c’è niente di scontato, niente che si possa pianificare, niente che giunga come da programma, questo è l’anarchico quanto spietato disegno del destino. Eppure, il destino dovrebbe ricordarsi quanto io sia incline al cambiamento, quanto sia folle, tanto da arrivare persino a scambiare una difficoltà per opportunità.

E opportunità sia. Cambio volto e volto pagina. Svolto. Manovra brusca ma necessaria.

PS: continuerò ad aggiornarvi sul libro nelle prossime settimane, pur non sapendo con precisione quanto lungo sarà questo forzato periodo di stand-by. 

FARSACALCIO

Cadono, uno dopo l'altro, cadono sul manto erboso i personaggi della tragicommedia. Essi non sono sconfitti, ma vinti.

Non si parla di un palco, bensì di un campo da calcio. 
Alcuni onnipotenti ultras rimasti irritati dal non poter assistere alla partita di Lega Pro Salernitana-Nocerina, ordinano ai calciatori della loro squadra, la Nocerina, di non giocare, arrivando a minacciarli. Ecco, gli ultras devono essere i registi. E i calciatori diventano calciattori: scendono regolarmente in campo, per poi venir fulminati l'uno dopo l'altro, fino ad arrivare al gran finale, la sospensione del match per impossibilità di giocare sei contro undici. Durata dell'opera: venti minuti. Non c'è stato il secondo atto. Hanno sbrigato la faccenda in breve.
Suona ora beffarda una certa pubblicità con un certo famoso calciatore che con una certa ironia indica più in là i corsi di recitazione. Forse è davvero tutto un teatrino. Ieri leggermente più sfacciato del solito. Mi chiedo perché i giocatori della Nocerina non siano rimasti negli spogliatoi, se avevano paura. Mi chiedo anche perché in questo Paese si ceda così tanto facilmente alla paura, arrivando a inscenare grottesche sceneggiate alla Cristiano Ronaldo pur di evitare di fare i conti col proprio coraggio; in fondo sarebbe bastato poco... I calciatori minacciati avrebbero potuto farsi forza a vicenda, e denunciare le minacce subìte col giusto supporto da parte di dirigenti, allenatore, avversari, forze dell'ordine. Bastava una netta e ferma presa di posizione per mettere in un angolo i (pochi) responsabili. E invece un gruppetto di "tifosi" è riuscito ad instaurare un efficace regime di terrore.

I provvedimenti ora invocati da ogni parte, si traducano in interventi educativi: insegniamo ai più piccoli la cultura dello sport, dacché le partite si vincono con tattica, cuore, gioco di squadra e colpi da campione; nella vita come nello sport rantolare a terra fingendo un infortunio è un po' come autosqualificarsi...
Ieri poi, dopo la "partita", gli iracondi ultras hanno pensato bene di andare a festeggiare in piazza la riuscita della loro grande impresa. Fino a che dall'alto è arrivato un acquazzone, che li ha costretti a interrompere i caroselli e a filare a casa. Una lavata di capo giunta da molto, molto in alto. http://www.gazzetta.it/Calcio/10-11-2013/salernitana-nocerina-ultra-minacce-nocera-inferiore-festa-201539611191.shtml

Un vero finto evento

"Benvenuti a teatro. Dove tutto è finto ma niente è falso.." - Gigi Proietti
Stasera ci sarà la finta presentazione di Damazerico. Qualcuno è rimasto un po' spiazzato da questo evento. Più che comprensibile. Passi una presentazione, ma una finta presentazione?! Perché? A cosa serve? E' vera o è un bluff?


Fingere, far finta di. Proviamo a guardarne il significato da un diverso punto di vista: fingere come immaginare, inventare, inscenare, simulare, giocare un ruolo, tendere al vero. E' il senso dell'evento. In fondo è nato tutto da un equivoco (uno di una lunga serie) che preannunciava oggi, mercoledì 30 ottobre, come la fatidica data per la presentazione di Damazerico. Un piccolo dettaglio - mancavano i libri - mi impediva di rispettare tale data, se non che, ripensandoci bene, tutto quadrava perfettamente.

Il romanzo non parla forse di democrazia, nonviolenza e partecipazione? Ah già, voi non potete saperlo non avendolo ancora letto... Beh, nel volume si parla di democrazia intesa come partecipazione attiva e di nonviolenza come strumento creativo per la risoluzione dei conflitti. E allora, ecco l'occasione giusta per lanciare il libro! Nel senso metaforico s'intende... E comunque è più probabile che quando arriverà sarete voi a lanciarmelo, dietro. Ma, prima, voglio proporvi una serata la cui finalità è la partecipazione collettiva. Detta in altri termini, sarà una sorta di anteprima, ma anche un evento propedeutico alla serata "vera" di presentazione, per ricercare persone-personaggi da mandare in scena. L'alternativa, se non parteciperete, è che sia io autrice ad occuparmi d'ogni cosa, col probabile risultato di una presentazione noiosissima in cui la scrittrice fa un one woman show leggendo e parlando e promozionando a mo' di televendita. Però io dei bla bla bla compulsivi non so che farmene, ritengo sia mille volte più interessante avvalermi della vostra collaborazione. Questo non significa montare un musical - non ancora, perlomeno! - ma semplicemente giocar tutti un piccolo ruolo. E il pensiero di poter arricchire le serate (quella vera e quella finta) di tante voci diverse mi rallegra. Insomma, evento finto ma non falso. Fotocopie anziché libri. Attori anziché spettatori. O forse attori è troppo. Allora siate SPETTATTORI. Un po' guardate e un po' fate teatro. Facciamo finta che. Se non altro l'attesa sarà più divertente.

Info su:  https://www.facebook.com/events/1431024920442357/

Cari futuri lettori

Cari futuri lettori,
vi scrivo perché per un'impaziente come me non è facile stare in una situazione di stand-by, in cui non si può far altro che attendere. Allora scrivo. Scrivo dell'attesa. Non so quanta pazienza abbiate voi, miei cari e potenziali lettori, ma io mi ero già stufata a settembre. Del 2011. Sì, due anni fa già ribollivo sulla sedia in attesa di finire e poi inviare in giro il manoscritto di Damazerico. Già. E pensare che nel romanzo ho scritto che bisogna aver pazienza.

Ah già, oggi compio gli anni. E un commento mi sorge spontaneo: nulla va come previsto. Nel bene e nel male. Perché se è vero che è così difficile aspettare, bisogna anche dire che il tempo fa maturare nuove idee. Nel mio caso poi, le idee non mancano di certo. Non mi sono mai mancate. Insomma, per dirla in altri termini sto lavorando per voi, per preparare al meglio la presentazione e non solo; c'è infatti una certa complessità attorno a questo libro, che significa tanto lavoro ma anche tante possibilità in più. La musica fa parte di questa complessità, poiché all'interno del romanzo ho scritto una canzone che proporrò il giorno X (speriamo sia presto questa X!)

Nonostante tutta l'inventiva di cui dispongo, però, mi chiedo se sarò all'altezza... Nel dubbio, magari metterò i tacchi. E se cado farò una capriola. Una caduta di stile. Anzi no, una caduta con stile. Suona meglio.

A presto, cari futuri lettori. Come regalo di compleanno vi chiedo qualche altro momento di pazienza. Come dice il mio editore: si va piano, ma si va.

Elogio del ritardatario

Il ritardatario è un individuo bizzarro che, quando esce di casa, è già nei guai, e già ha un buon motivo per correre: provare vagamente (o vanamente) ad arrivare in orario.
Il ritardatario è colui che non coglie l'attimo ma lo raccoglie un attimo prima che svanisca via. O, più semplicemente, il ritardatario è uno che per definizione deve correre e basta.
E lui corre, corre, mentre gli altri, i Puntuali, assaporano il piacere - o la seccatura, dipende dai punti di vista - dell'attesa. Il ritardatario si fa desiderare.

Il ritardatario è un essere imperfetto. Non rispetta i tempi. Non è preciso né rigoroso. Però è testardo. Ci prova, a rimediare. Perciò s'infila le scarpe e corre, corre, corre. Non molla mai, il ritardatario. Sa che gli serve una strada alternativa, una scorciatoia, per far presto. Se fosse un mondo più paziente, non ne avrebbe bisogno. Invece deve correre. Ha i suoi tempi, però si deve adeguare a un mondo che va troppo veloce. Come faranno a esser tanto precisini, i Puntuali? Che scocciatura arrivar per ultimi. Ma l'obiettivo è arrivare, non far come gli Assenti che preferiscono non presentarsi e risparmiarsi così la brutta figura. Dunque all'avventura. Si mette in gioco e corre, il ritardatario, in quella grigia giungla di cemento, frettolosa e spietata. Che avranno poi da fare di importante, tutti questi Puntuali.

Nonostante tutto, il ritardatario non è un tipo inaffidabile. E' soltanto un po' insicuro. Ma non è vinto. In fondo sa che il tempo lo tiene in gioco ancora, giacché esso squalifica solo chi rinuncia. Il ritardatario non conosce tale parola - rinuncia? - poiché è nella sua indole provarci, correre, correre il rischio. Cocciuto egli va incontro al suo destino, alle conseguenze: sa che dovrà recuperare il tempo perduto, sa che dovrà farsi perdonare, e dimostrare che no, non è un tipo inaffidabile. E' che a volte ci si sveglia tardi. Si rimane assopiti, il bip bip della sveglia è soltanto fastidioso frastuono che disturba il sonno, condizione di quiete, riparo, ristoro. Il ritardatario non sarà un virtuoso, ma da un certo punto di vista pare un sognatore.

Solo perché ci ho creduto

"Era in ritardo. Tanto per cambiare."
Così inizia Damazerico.
Il romanzo che sto per pubblicare.
Ricordate il post che inaugurò questo blog? "Scusate il ritardo", s'intitolava. Ebbene, il mio libro non poteva mica essere da meno... Difatti arriverà in ritardo, e dopo svariati imprevisti, intoppi peraltro facilmente reperibili lungo un sentiero atipico e tortuoso. Che le strade dritte sanno di noioso.

Iniziato nel 2011, il mondo di Damazerico ha preso lentamente sostanza e forma attraverso quei personaggi e quel progetto di Rivoluzione Cortese che hanno travolto la mia realtà, avviando una metamorfosi profonda. Scrivevo nel libro che bisognava essere pazienti, per poi comportarmi esattamente all'opposto, divorata dalla fretta. Ma, nell'istante in cui ho scelto di narrare questa storia, avevo già imboccato il sentiero del mutamento. E ho dovuto imparare molto. Non solo tecniche narrative (dacché mai avevo scritto storie così lunghe, né tantomeno frequentato corsi o lezioni che mi dicessero come fare). Ho dovuto tirar fuori ciò che avevo dentro, e svuotarmi poco alla volta. Perché scrivere significa scavare nell'anima. 

Damazerico segna il mio esordio nella narrativa, e chi l'avrebbe mai detto? Era un sogno quello di scrivere e pubblicare un libro, 'soltanto' un sogno. Mi si è avverato sotto gli occhi quando ero ormai talmente abituata a battagliare da non realizzare che ce l'avevo fatta sul serio... E tutto questo è successo solo perché ci ho creduto. Dal primo all'ultimo istante. Solo perché ci ho creduto. 

(co)meta

Nebbia che più non vuol diradarsi da questa bolla di cemento i cui edifici e individui restano intrisi di negatività, volti all'inevitabile, proiettati verso il ripetersi della nenia quotidiana, votati alla rabbia. Basta.
Voglio una vetta. Quella vetta lassù, a malapena visibile da qui, dacché da queste parti si suole guardare altrove.
Notte. Stufa del cemento volgo lo sguardo in alto, quando d'un tratto ecco una cometa. La sua scia inonda l'oscuro scenario notturno esaltando la stessa vetta tanto mirata. Sa di speranza.
Mattina. Rassicurata dal calore del sole appena sorto, parto. Mi metto in marcia. Strada che si fa stretta. Ma, se voglio la vetta, questa è la via.
Cammino. Sento la fatica di quest'impervio sentiero che pian piano si rivela: strada in salita e non avevo dubbi. Quantomeno son certa che si tenda verso l'alto. Monto la tenda, è sera.
Mattina, riprendo la mia folle chimera. Passo dopo passo il sentiero si fa ancor più stretto e sale, e come sale brucia sulle ferite. Esito, tentata dal tornare indietro ma no, non lo voglio davvero. Perciò non posso far altro che salire ancora, cicatrizzando le ferite con la forza di volontà. E proseguo. Man mano che salgo il paesaggio attorno si fa diverso, più verde, più vero, più vivo. E respiro. Miro la vetta ora ben visibile, maestosa seppur ancora distante. Come si vede bene l'abbandonata landa di cemento, da quassù. Una bolla grigia che stride col verde che ora m'avvolge, sebbene sappia quanto quel grigiore mi appartenga.
La fatica mi disturba e la tentazione di accontentarsi di quanto già raggiunto si fa forte. Eppur continuo, esausta ma non appagata, dacché il mio sogno sta lassù, un po' più in alto, è la vetta; riprendo e cammino, stanca ma svelta, la salita verso la meta.
Osservo la bolla grigia imperturbabile, mentre una bolla al piede destro mi disturba e mi rallenta. Però non mi ferma. Sono vicina. Salgo. La gola si fa secca, la bolla più rossa, ma l'aria più intensa. C'è un solo modo per poter godere di acqua e riposo: raggiungere la vetta.
Cammino, mi reggo a stento. Ma tornare indietro davvero non posso, la rinuncia non è un'opzione prevista. Ultimo tratto. Sì, ecco la cima. Vicina. Sfratto la paura, scrollo di dosso l'incertezza e allungo il passo decisivo.
Sono giunta in vetta! Nonostante tutti i nonostante disseminati lungo lo stretto impervio sentiero. Malgrado tutti i malgrado celati dentro di me. Comunque armata di tutti i comunque esibiti nei momenti difficili.
Respiro forte. Occhi a guardare il paesaggio, un po' grigio e un po' verde, che adesso sembra parlarmi. Forse il viaggio non era immergermi nel verde, respirare meglio, né conquistar la cima; forse il vero viaggio era rendersi conto della bellezza di quassù, respirarla, per poi ridiscendere e portarne un po' laggiù. Sì, nella bolla tutta grigia e spenta. Ora conosco la mia nuova meta. La conosco bene, nemmeno necessito di un'altra cometa. Campana e non bolla di cemento, pare. Spezzo il ristoro e riprendo il sentiero in discesa. Dunque non sono arrivata, ma appena partita.

Ex non arrendevoli

Vorrei condividere l'esperienza che ho appena concluso in Friuli, dove peraltro non ero mai stata.
Ho infatti partecipato a un seminario per ex.
Ex Volontari Europei, s'intende. Alcuni partecipanti erano freschi ex, perché appena tornati e ancora visibilmente percorsi da puro entusiasmo; altri invece erano già ex da tempo, come me, che lo sono da ben tre anni. E immergermi di nuovo in questa atmosfera europea è stato bellissimo, sebbene questo fosse il quinto meeting sullo SVE. Ma posso dire che è stato di gran lunga il più coinvolgente, perché il più concreto.

L'esperienza di volontariato europeo ha giocato un ruolo fondamentale nella mia esistenza, sovvertendo limiti tipici di questo tempo: non puoi fare questo, non puoi fare quello, lascia perdere i sogni, stai perdendo tempo, trovati qualcosa di serio, resta al tuo posto, rassegnati, tanto è così.
Ma se provi a mettere il piede fuori, succede che cambia tutto. Scopri che la verità sul mondo può avere molte interpretazioni, scopri nuovi punti di vista, nuove contaminazioni, nuovi suoni. Dimmi cosa ne pensi. Come la vedi. Parlami di quest'idea. Si può fare. Buttati. Prova. Rischia. Cambia.
Durante questo seminario ho sentito storie pazzesche, autentiche, straordinarie. Ad esempio, un ex volontario raccontava che, già prima di partire per lo SVE, aveva aperto dietro casa un bioparco (a cui mi permetto di fare un po' di pubblicità: http://www.selvadeipioppi.it/); ma chi di noi non ha mai aperto un bioparco dietro casa?!
Ho sentito idee e storie e persone ribollire. Chi se ne andava in giro confezionando fantastici primi piani con la macchina fotografica, chi prendeva appunti, chi si sforzava di parlare in italiano e non in spagnolo, chi attaccava bottone con tutti, chi raccontava di poeti polacchi, di storie d'amore nate poco prima di tornare in Italia, di attese di 12 ore per aver perso il pullman, di misunderstandings e di scalate sulle montagne svedesi... Tanti aneddoti di vita, tanti incroci e scambi di vissuti. Ma alla fine abbiamo anche fatto sul serio, mettendo in piedi 3 progetti concreti di cui racconterò in futuro. Siamo ex non arrendevoli. Perché quando torni a casa hai ancora più voglia di fare e progettare... provare per credere!

E' stato bello essere parte di un entusiasmo collettivo, entusiasmo celato nelle piccole cose, in tanti sorrisi. Ho colto tale positività e me la sono portata via, quanta più me ne stava in valigia, consapevole che il negativismo tornerà alla carica per intaccare la mia anima di nuovo. Ma ho una speranza, cioè fare della mia quotidianità un serbatoio di entusiasmo che possa portar via questa melma (per non dire altro...) e regalare tanti bei sorrisi. In fondo,  dipende tutto da noi. Qualsiasi progetto o sogno o lavoro o missione o relazione.

Per chi non sapesse che cos'è questo misterioso SVE di cui ho parlato: http://serviziovolontarioeuropeo.it/

Al link qui sotto invece troverete un post in cui racconto alcune cose della mia esperienza SVE in Francia. Il videoclip correlato si riferisce al musical che ho realizzato laggiù, nella verdissima Bretagna: http://manesca.blogspot.it/2012/05/28510cle-de-soul-souvenir.html

E qui la mia apparizione ad Anversa l'anno dopo, nel maggio del 2011!

Il seminario cui ho partecipato è stato organizzato da ExisT, associazione degli ex volontari europei: http://www.exist-youth.eu/

Cuori e (ri)picche


Questa storia è il sequel di Scala(ta) di picche.

Eppure, la partita di Pinnacola era ancora aperta.
La giocatrice scrutava maniacalmente le sue 24 carte. Quanto avrebbe retto quella strategia? La cartachetuttopuòcambiare non s'era ancora palesata, e ormai il mazzo stava assottigliandosi sempre più. Fra le carte v'era sempre la donna di cuori, regina inconsapevole, la quale stava sforzandosi di dimenticare Jack Spades, dopo che il bel fante le aveva rifilato un più che esplicito messaggio, chiedendo al 2 di picche di mettersi in mezzo a loro. Ora aveva proprio voglia di una ripicca.
Nonostante i pochissimi punti fino a quel momento fatti, la giocatrice era riuscita a tener duro; il suo sogno di una scala di picche epocale r-esisteva ancora. 
Toccava a lei. "Fa' che sia il 7 di picche, ti prego!" recitò dentro di sé, mentre allungava la mano per pescare dal mazzo, preda dell'euforia più totale. Ma la carta pescata non era affatto un 7 di picche, dunque il suo sogno avrebbe dovuto attendere almeno un altro giro (col rischio che qualcuno dei suoi avversari avrebbe potuto chiudere, ponendo fine a sogno e partita). La giocatrice notò comunque che il fante di cuori appena pescato avrebbe reso meno amara l'eventuale fine: ella scese infatti sul tavolo 9-10-fante-donna di cuori, tenendo il resto delle carte in mano, e ben coperte. Perché ci credeva ancora.
Intanto, il fante ultimo arrivato era rimasto folgorato dalla donzella che gli stava accanto. Dal canto suo però, la donna di cuori non lo degnava di molta attenzione, presa com'era dal meditar ripicche contro l'altro Jack.

La giocatrice scartò un 3 di fiori, mentre il suo vicino - il cui gioco andava a gonfie vele - sorrideva ironico. Egli pescò e poi gettò sul tavolo un ennesimo tris, stavolta di picche; e tra il 6 e l'8 v'era proprio il 7, il suo sette accidenti, la cartachetuttopuòcambiare! La giocatrice cercò di rimanere lucida, parzialmente consolata dal fatto che il suo vicino non aveva ancora chiuso, anche se era molto prossimo a farlo... Il giocatore esitò un momento prima di scartare finché, dopo un'espressione perplessa, decise di disfarsi di una carta che evidentemente doveva essere un doppione: era proprio un 7 di picche. Un altro. L'ultimo.
La giocatrice sentì il cuore batterle sempre più forte, come se ora qualsiasi ipotesi di via di mezzo fosse dissoltasi: doveva portare a termine la scalata epocale, altrimenti il suo gioco sarebbe sfumato. Trattenne il fiato quando il giocatore di fronte, dopo un breve momento di riflessione, pescò dal mazzo e fece tranquillamente il suo gioco, senza peraltro scendere carte. La giocatrice tornò a respirare; ormai toccava soltanto più al suo vicino di destra, ultimo ostacolo fra lei e la scalata, il cosiddetto pinacolone.
Il giocatore, però, stava indugiando con troppo interesse sulle carte a terra. Troppo. Il 7 di picche, scartato e prezioso, brillava lì in mezzo. L'avversario allungò la mano verso quelle carte. "E' finita" pensò la giocatrice, consapevole che, anche se non avesse usato il 7, avrebbe potuto tenerlo in mano per chissà quanti giri...
Attorno al tavolo cresceva la tensione. La giocatrice seguì minuziosamente il movimento del braccio destro del suo avversario, finché egli afferrò con veemenza l'ultima carta, un 5 di quadri, e niente altro; incredula, ella lo osservò poi scendere un poker di 5, e scartare subito dopo un 3 di fiori. I due giocatori si guardarono con aria di sfida; la povertà di punti di lei era quasi imbarazzante rispetto ai vari poker messi a segno da lui, che per ripicca amorosa s'era anche divertito qualche giro prima a prendere tutte le carte a terra, solo per rovinarle il gioco... Ora però, il rivale ignorava completamente l'importanza del sette di picche, giacché ella aveva giocato a carte coperte, copertissime. Aveva celato il suo gioco, sopportato la povertà di punti per quella faticosa strategia, corso un rischio, ma infine il destino l'aveva premiata. Certo, dopo averla tenuta sulle spine, probabilmente l'invisibile quinto seme del gioco...
Sorridendo, la giocatrice prese a scoprire con inaudita lentezza tutta la sua bella scala, partendo dall'asso e salendo fino ai reali, aggiungendo poi in ultimo l'altro asso. Frattanto, la donna di cuori aveva notato che il fante di cuori non era poi tanto male; decise dunque di abbandonare i suoi progetti vendicativi cedendo qualche sorriso al suo esplicito corteggiatore, proprio mentre la giocatrice concretizzava fior di punti.

L'avversario alla sua destra rimase allibito. S'era concesso qualche piccola ripicca convinto che lei fosse bloccata, e invece proprio lei li aveva appena beffati tutti.
Dopo aver sceso il pinacolone, la giocatrice si accorse d'avere in mano anche un tris di 3, collezionati negli angoli del suo ventaglio di carte e quasi dimenticati. Li scese, poi scartò il 9 di quadri, pur avendo ancora in mano altre carte. Ma che le importava di chiudere e vincere... Lei aveva già fatto ciò che voleva...
Nel mezzo del pinacolone di picche spiccava Jack Spades, bello fiero. Quando però il fante di picche si voltò, vide una scena inaspettata: l'altro Jack stava flirtando con la regina di cuori, la quale sembrava starci. Suonava un po' come una beffa per lui. Ma non v'erano ripicche, soltanto cuori.

Tabula rasa

Tabula rasa.
Ci vuole dopo un trasloco. Tabula rasa. Non vorrei scomodare aristoteliche teorie, piuttosto richiamare una semplice metafora di un nuovo foglio, bianco. Dopo un biennio di predicate rivoluzioni interiori, di scalate e progetti e tentativi, di rovinose cadute e successive prese di coscienza, eccomi dunque all'epilogo.
O al prologo del nuovo che verrà.
Attorno a me sono successe tante cose significative, ultimamente. Fra i miei amici e parenti e conoscenti c'è chi si è sposato, chi ha messo su casa, c'è poi chi aspetta un bambino, chi ha trovato lavoro, chi si è laureato, chi si è sistemato. Persino la mia ex redazione ha cambiato sede, trovandone una più bella. Tutto ciò è un inno alla speranza che stride col clima di inaudito negativismo genera(ziona)le.
Ed io invece, dopo aver sovvertito gli equilibri percorrendo strade atipiche al limite del praticabile, dopo aver sopportato quieta in attesa senza palesare le ferite più del necessario, mi son ritrovata ferma. Sola. Inconcludente. Così ho pensato bene di 'traslocare'. E ricominciare. Strano, non vi pare? Così prossima a conquistare qualcosa di molto importante -che presto racconterò nei dettagli- e così bisognosa di ricominciare... Perché? Perché tabula rasa?
Perché i palazzi della mia periferia interiore stanno crollando definitivamente dentro me. Più scrivo e più qualcosa crolla, qui dentro. E fa male. Sta cadendo giù tutto, ormai. Ma da un caos dell'anima così non si può che rinascere.
Rinascere ricostruendo tutto, e con nuovi parametri; ricostruire gli sguardi, i sogni, i sentimenti, i sorrisi...
In attesa di ufficializzare un paio di cosette a settembre, scelgo di giocare d'anticipo, scelgo di vivere l'oggi al meglio delle possibilità. Scelgo di scegliere e non di rinunciare a farlo.
Fra l'altro, dal precedente post è nata una canzone che un giorno senz'altro pubblicherò... Che ci volete fare, sono fatta così! Scelgo così.
Dunque, scusate, ora scelgo di ricominciare.
Tabula rasa.

Trasloco

Stacco i pensieri dalle pareti, e con essi i ricordi di una vita. Sorridente e malinconica nel guardarli, li avvolgo con accuratezza in uno scatolone che celere prende a riempirsi. Accanto alla porta, ecco il già stracolmo scatolone dei rimpianti: dovrò portar giù anche quello, ma lo lascerò nel cestino dei rifiuti. Non voglio che essi prendano ulteriore spazio nel mio futuro appartamento.
Apro i cassetti e tiro fuori i sogni. Alcuni sono impolverati. Ma, guardandomi bene attorno, noto che ci son sogni e progetti sparsi un po' dappertutto, in ogni angolino di questo piccolo alloggio... Prendo a catalogarli uno per uno, ricordandomi così di quante cose volevo/vorrei realizzare. Alcuni, ahimè, devo gettarli. Non mi ci stanno tutti nello scatolone, devo per forza selezionarli. Abbandono dunque molte delle cose che vorrei. E tengo soltanto quelle che voglio davvero.
Dal comodino prendo le imprese, sono poche ma tutt'altro che leggere: le imballo per bene, col polistirolo, la carta e i cartoni, affinché si custodiscano nel migliore dei modi. Poi noto un cassetto aperto. Lì c'è il sogno che sto per realizzare, difatti sta già prendendo una forma interessante. Lo avvolgo in una carta argentata, per distinguerlo dal resto, e lo metto in mezzo ai sogni che ho deciso di tenere. Li lego insieme, con un filo conduttore, non sono poi così dissimili, anzi, potrebbero addirittura mescolarsi... 
Arriva però il momento di prendere le paure dall'armadio. Le maledette paure, con le quali ancora mi vesto. Evito di piegarle, le guardo con disprezzo e poi le infilo in valigia. Tranne una. E' una grossa paura di cui voglio provare a fare a meno, sebbene questo implichi l'andar in giro più scoperta. Decido di buttarla via, il cassonetto è il suo posto, non la mia pelle, via, lontana da me!
Proseguo il lavoro.
Svuoto la credenza dai valori, indispensabili per nutrirmi bene. Qualcuno è scheggiato, qualcun altro usurato, ma la maggior parte è ancora integra.
Esco fuori in balcone. Ho appena riseminato l'amore, non è ancora fiorito ma aspetterò. Fiorirà, basterà continuare a fornirgli acqua e soprattutto luce, tanta luce a questo amore. Più di quanto abbia potuto far qui, in questa casetta umida, ombrosa, celata, fredda. Difatti è la terza estate che provo a seminare. Ora voglio che fiorisca! Accetterò anche le spine, certo.

E' tutto pronto. Come al mio solito, sono in largo anticipo. Mi toccherà aspettare che arrivi il camion, sperando in qualche gentiluomo che m'aiuti a caricar ogni cosa, ogni scatolone, buttando via le cose inutili. Sperando di poter vincere l'imbarazzo di mostrarmi così, senza i miei abiti di sempre, spoglia di paure e prudenze che oggi scelgo consapevolmente di abbandonare. Certo, ora è facile lontana da sguardi e giudizi,  vedremo dopo, alla luce del sole... E' un trasloco da cui non posso tornare indietro. Si sa, nel trasporto tante cose si disperdono, altre si buttan via, e altre ancora si ritrovano. La prossima sistemazione sarà in alto, molto in alto; dovrò, per entrarvi, depositare nel cestino dei rifiuti il paio di vertigini di insicurezza e salire. Scalza. Non v'è altro modo.
So che il nuovo alloggio sarà molto più spazioso: dovrò darmi un gran da fare per tenere pulito e in ordine. Ma non avrò bisogno di tenere sogni impolverati chiusi nei cassetti, né imprese relegate sopra al comodino... E vedremo poi, se la luce che filtrerà da fuori sarà forte abbastanza per scaldarmi quanto basta per non vestirmi più di paure, e se aiuterà i fiori a sbocciare. 

Convinciti di esserlo

Fare o non fare, non c'è provare! (Maestro Yoda)
Innumerevoli fasi di smarrimento, fatte di progetti mai partiti, sorrisi mai sbocciati, storie sospese, feste mancate, per poi osservare il cielo: le nuvole nere cominciano a dissiparsi molto lentamente.
Dopo due anni di sforzi, corse, fatiche, tentativi vari di fare le cose, sto avvicinandomi al raggiungimento di un risultato. Ma in realtà non sarà un epilogo, piuttosto un prologo: come se cominciassi una nuova storia, tutta ancora da vivere.
D'altronde da troppi giri la partita troppo statica. Era arrivato il momento di giocare il jolly. E che jolly...

A furia di ripetermi ciò che volevo essere, beh, alla fine mi sono convinta di esserlo veramente. E poi è successo che anche altri se ne sono convinti, dunque devo supporre di esserlo a tutti gli effetti, ora. Non ci ho provato: ho fatto sul serio, fin da subito. Certo, è stato tutt'altro che facile. Ma. Devo supporre che non il talento, né la fortuna, né il caso mi stanno conducendo al raggiungimento di un risultato (che peraltro coincide con l'avverarsi di un sogno...): è soltanto una questione di scelte. Con un pizzico di testardaggine nel portarle avanti. Perché ognuno di noi è più forte di quel che pensa. Certo, bisogna crederci fino in fondo. Più ci si crede, più si sovvertono gli equilibri. Ne so qualcosa. Due anni fa non ero nessuno. Ora, fra poco sarò... Elisa :)
Don't think you are. Know you are. - Non pensare di esserlo. Convinciti di esserlo. (dal film Matrix)

Un milione di Balotelli

Domenica sera da Fazio s'è parlato di un tema molto d'attualità, lo IUS SOLI.
Ovvero, il diritto alla cittadinanza italiana per chi nasce sul suolo italiano.
 
Si parla di un milione di ragazzi nati in Italia da genitori stranieri e quindi non considerati italiani, secondo quanto dettato dallo IUS SANGUINIS, per il quale almeno uno dei due genitori dev'essere italiano affinché la prole abbia diritto alla cittadinanza. In sé, la questione si ridurrebbe a favorevoli e contrari, ma c'è un problema che va oltre l'orientamento politico: questi ragazzi sono italiani quanto me. Sono nati e cresciuti qui, parlano non solo l'italiano, ma pure il dialetto delle regioni d'appartenenza... Del loro Paese d'origine, o meglio, del Paese d'origine dei genitori, ne sanno poco, alcuni non ci sono mai nemmeno stati (figurarsi che trauma se dovessero ritornarvi perché espulsi), e comunque appartengono all'Italia. E ora si trovano in una situazione paradossale per colpa di una macchina burocratica che impiega anni a rispondere loro, quando viene inoltrata la domanda per la cittadinanza...
Non è comunque una questione ideologica: non mi pare che gli Stati Uniti abbiano ignorato il fenomeno migratorio impedendo ai propri nuovi cittadini di acquisire la cittadinanza... Si tratta di un milione di giovani, un serbatoio di talenti che non si può proprio ignorare!
Il Governo deve occuparsi di questa questione, dopo aver sbrogliato quelle prioritarie (abbiamo un tasso di disoccupazione che fa paura) perché semplicemente conviene a tutti. Riconoscere a questi giovani la cittadinanza significa dar loro speranza. I leghisti dovranno farsene una ragione. Il Balotelli con l'accento bresciano è un qualcosa che bisogna accettare con positività. D'altronde, quando Mario segna per la Nazionale mi pare che nessuno osi fischiarlo. Ecco, ne abbiamo un milione di Balotelli, sparsi per la penisola, col loro parlar romagnolo, piemontese, napoletano. Non tutti potranno essere calciatori e guadagnare milioni di euro. Ma fra loro ci sono potenziali ricercatori, dottori, professori, lavoratori. Ministri. Che ne vogliamo fare?!

Del video qui sotto, con l'intervento di Saviano, vi inviterei a guardare dal minuto 8, e di soffermarvi sulle testimonianze dei tre ragazzi negli ultimi 5 minuti. Dà secondo me un'idea della questione.

Eurovision: we are one?

Ieri sera a Malmo, Svezia, si è disputata la finalissima dell'Eurovision 2013, il Festival europeo della musica, evento seguito in tutto il mondo da milioni e milioni di telespettatori. 

Ha trionfato la danese Emmelie De Forest con la sua Only Teardrops, senza dubbio la canzone più bella: quasi tutti i Paesi infatti hanno dato almeno un punto alla Danimarca, e l'Italia le ha assegnato il punteggio massimo, al fronte del fatto che sappiamo riconoscere la buona musica.

Perché, diciamolo, l'Eurovision è una manifestazione musicale di livello quantomeno discutibile. E noi che ci lamentiamo del nostro Sanremo... Ma esibirsi con coreografie spettacolari, fra espedienti di qualunque tipo - fumo, abiti che si gonfiano fino a salire a 4 metri di altezza, giganti che portano in braccio cantanti, ecc ecc - non servono a coprire la musica né a renderla migliore.
Il nostro rappresentante, Marco Mengoni, ha praticamente cantato un capolavoro musicale, in confronto agli altri, Danimarca esclusa; L'essenziale è davvero una bella canzone, ma. Non poteva vincere. E difatti Mengoni è arrivato soltanto settimo. Molto è dipeso dal discutibilissimo sistema di voto, che si basa sui voti che ogni Paese europeo deve assegnare ad altri Paesi: e dunque nascono le lobby, i blocchi, le votazioni per simpatia. I Paesi nordici si sono votati fra loro snobbando la melodia italiana, apprezzata guarda caso solo dai Paesi mediterranei e confinanti. Forse è anche una questione culturale, ma che i Paesi dell'ex Unione Sovietica votino Russia, o che Finlandia e Svezia si diano il massimo punteggio a vicenda non ha molto senso. Fortunatamente quest'anno è andata bene, dacché Only Teardrops è una canzone obiettivamente  bella. Nulla da dire, di questa Shakira nordica che ha sagacemente portato sul palco le giuste atmosfere, e difatti il pubblico applaudiva già dalla prima nota emessa dal flauto che apre il brano...

Ma torniamo a Mengoni. Ottima la sua scelta di cantare in italiano, troppo facile cantare in inglese come del resto fanno quasi tutti (e dunque un plauso per esempio a Islanda e Ungheria i cui artisti hanno cantato nella propria lingua); Marco però era emozionato: all'inizio pareva una statua, poi si è sciolto, malgrado un lievissimo tremore nella voce e nel viso, ma ci sta, è il bello di cantare live. Lui ha optato per la semplicità (nessuna coreografia, nessun accompagnatore, solo lui e la musica) e anche per lo stile, ma era chiaro che non avrebbe vinto. Figurarsi. Col senno di poi mi verrebbe da suggerire all'Italia di inviare in Svezia Antonio Di Maggio, semplicemente perché il suo brano sanremese, Mi Servirebbe Sapere, era più allegro e masticabile per una platea anglofona e un po' refrattaria alla melodia italiana...

Comunque sia, si sono veramente udite delle cose assurde, persino Spagna e Germania hanno deluso. La cosa più brutta nelle 26 canzoni finaliste era la (non) melodia. Non basta avere una bella voce, né costruire una bella coreografia, nemmeno infilare nel brano certi espedienti dance- pop facilmente smascherabili. E persino artiste del calibro di Bonnie Tyler e Anouk hanno deluso.
Molte cose andrebbero cambiate in questa manifestazione. L'Italia, lo ricordo, non ha partecipato per molti anni, dal '98 in poi, e si è capito il perché. Ricordo che nel 2010 ero in Francia a guardare l'Eurovision: mi toccò spiegare ai miei amici francesi ed europei il perché l'Italia non partecipasse. Livello musicale mediocre. Ma nel 2011 si è giustamente deciso di tornare, con Raphael Gualazzi che arrivò peraltro secondo.
Nel 2014 sarebbe bello poter ascoltare anche la musica di Portogallo, Turchia, Repubblica Ceca e Polonia, nazioni che sono mancate quest'anno. E a proposito, avrei qualche consiglio per la prossima edizione, che dovrebbe tenersi a Copenhagen:

- La situazione dell'Europa non è proprio buona (la Grecia ha rischiato di non mandar nessuno per problemi economici), perciò mi piacerebbe vedere una manifestazione più sobria che promuova e valorizzi le diverse culture e la conoscenza di esse attraverso la musica. Dico davvero. Datemi in mano l'organizzazione, ho due Youthpass e tante idee, ci penso io! :)

- Privilegiare musica folk, dacché come per il cibo, è sempre meglio portare qualcosa di tipico del proprio Paese piuttosto che ostinarsi ad omologare musica pop, rock o dance già trita e ritrita.

- Smetterla di cantare in inglese (detto da una che adora scrivere musica in inglese!) e provare a portare brani nella propria lingua. Vorrei sentire un brano in finlandese, per esempio.

- Cambiare completamente il sistema di voto e porre fine ad un assurdo scambio di favori fra Paesi 
vicini per confini o cultura. Far sì che ci siano più canzoni rappresentanti della cultura nazionale, per arrivare a comporre un mosaico musicale di qualità e ricchezza per tutti gli spettatori. Visto che si parla tanto di Europa e spirito di unità. 




Obrigada Portugal (parte II)

Lisboa: il mitico tram e l'ascensore (sotto)
GIORNO IV- Lunedì

Che bello svegliarsi e scendere in piazzetta a fare colazione! E' stamattina che ho assaggiato per la prima volta i Pasteis, tipici dolci portoghesi.
La giornata di visita in Lisbona è stata decisamente intensa; fortuna che c'era il piccolo tram, simbolo della città, vi assicuro che val la pena farsi un giro sopra. Lisbona è tutta un saliscendi, ottima palestra per chi vuol tenersi in forma. Oggi è stata la giornata dei Pasteis perché abbiamo deciso che erano troppo buoni, e che meritavano dunque un bis per merenda.
Pur di fretta, abbiamo potuto ammirare l'intera città dall'alto, grazie alla vista dell'ascensore. E qui, nel contemplare Lisbona, è arrivata l'ispirazione musicale, te pareva... Per tenere a mente la melodia però, non avendo la chitarra, dovevo canticchiarla (in realtà ho canticchiato parecchio e tante canzoni, i miei compagni di viaggio  possono confermarlo...) e sono riuscita a conservarla fino a Torino ove ne è venuto fuori un brano in "sole" cinque lingue.... va beh, torniamo a Lisbona!
Ho visto un bellissimo monumento che a momenti mi metto a piangere. Sono rimasta imbambolata davanti alle fontane di cui la foto sotto, chissà perché... Ho assaggiato il liquore tipico, la Ginjinha,  non un granché ma detto da una quasi astemia non è un parere attendibile...
Bellissima è stata la discesa verso Plaza Marqués de Pombal. 
In serata, mentre compievo la follia di mettermi i tacchi, siamo andati a mangiare... cosa secondo voi? Pesce, ovviamente! Ma oggi devo lodare soprattutto i dolci:  la bava di cammello e una torta di mirtilli da favola!





Cattedrale di S. Maria Maggiore


GIORNO V- Martedì
La sveglia è suonata presto: d'altronde il tempo era poco. Ci siamo subito incamminati per la città, non senza fare prima una colazione da favola! Comunque oggi abbiamo bazzicato in vari punti di Lisbona, con particolare premura per il quartiere di Alfama, il più antico della città. Qui abbiamo fatto un giro anti-turistico, passando per vie e vicoli non così noti ma intrisi di tradizione e quotidianità. Ho gradito molto il pittoresco mercato ove c'erano molti oggetti di antiquariato, ma io sono una fan dei mercati e quindi c'è poco da stupirsi :) Nel pomeriggio invece ci siamo dedicati a Belém; abbiamo fatto una lunga camminata  fino a raggiungere la Torre di Belém, simbolo del Portogallo che fu, al tempo delle grandi esplorazioni, al tempo di Vasco de Gama. La torre è davvero splendida, dentro e pure fuori. Ci siamo soffermati a guardare l'oceano, per me è stato talmente bello... erano anni che volevo vederla coi miei occhi...
La torre di Belém
Comunque, dopo questa lunga visita di alto contenuto culturale, ci siamo concessi un'altra buona "pausa pasteis", per poi fare una tappa di riposo al Bairro Alto. Il mio ginocchio ha fatto un po' di capricci, pertanto ho faticato a camminare... Ma ho tenuto duro, anche perché c'era una cena che ci aspettava al Pateo 13, un ristorante di Lisbona i cui tavoli sono sistemati in un cortile, mentre all'interno ci sono solo le cucine; abbiamo mangiato davvero come signori, senza peraltro spendere
tantissimo. Il vino bianco andava giù alla grande, così come il pesce grigliato e gli ottimi contorni. Abbiamo ancora fatto una tappa fino alla splendida cattedrale, per poi concludere la serata in un  locale molto carino del Bairro Alto. Giornata intensissima... 


Fontana in Piazza Don Pedro IV

GIORNO VI- Mercoledì 
Prima di partire c'è stato il tempo per un'ultima colazione in piazza. Poi ci siamo diretti all'aeroporto e, tra una cosa e l'altra, stavamo per fare tardi... Ci siamo imbarcati al "Final Call"! Comunque siamo saliti in tempo sull'aereo e in poco più di due ore eravamo di ritorno a Caselle.

Sono tornata scombussolata, con tante sensazioni addosso. Belle e meno belle. Perché tanto lo sapevo. Un viaggio del genere non ti restituisce come prima. Se c'è qualche questione in sospeso emerge, ovunque si vada. Staccarmi da Torino ha acuito molte sensazioni che avevo già, in realtà, rendendole solo più nitide. Non importa se non ve le spiego, il punto è che scoprire nuovi posti e nuove culture ci aiuta ad essere migliori. Ho poi volutamente fornito una buona immagine del Portogallo perché ritengo sia una meta davvero fantastica per una vacanza o un'esperienza; buon cibo, bei posti,  l'oceano... e pure i portoghesi non sono male =) 
Che volere di più?






Obrigada Portugal (parte I)

Sì, viaggiare...
Quando si parte bisogna essere consapevoli che si tornerà cambiati. Lo sapevo bene, perché mi è sempre capitato. E anche stavolta è successo. Era quello che ci voleva. D'altronde, cosa aspettarsi da un posto che sognavo da circa un decennio? Questo Paese mi ha lasciato dentro tantissimo, sì, più di quanto mi aspettassi...

GIORNO I- Venerdì 3 maggio
Portugal_un viaggio on the road
Sono partita da Caselle con tre amici di Pinerolo, Marco, Paola e Giuseppe. Siamo arrivati in super anticipo all'aeroporto, che è sempre molto quieto e poco trafficato. Ottima impressione mi ha fatto la compagnia Tap Portugal, sarà forse per il pasto gratuito che ci è stato dato in volo... O forse per l'affascinante steward...
2h e 25' di traversata su Alpi e penisola iberica, fino a giungere a Lisbona. Già planando ero con gli occhi fuori dalle orbite per catturare le prime immagini dall'alto, e che immagini! Piazze e monumenti disseminati dappertutto. E poi verde, parchi. Case. L'oceano.
Appena ho messo piede fuori dall'aereo un vento intenso e diverso mi ha invaso piacevolmente.
Il nostro viaggio è stato un concentrato di cose ed eventi, fin da subito: non avendo un mese a disposizione ma solo 5 giorni, abbiamo dovuto velocizzare gli spostamenti; il nostro itinerario prevedeva il pernottamento a Evora, così mi sono accontentata di vedere Lisbona dall'auto (che abbiamo affittato), ma che immagine ragazzi... Sull'infinito ponte Vasco de Gama col tramonto sulla città da una parte, l'oceano Atlantico dall'altra. E la macchina che andava. In tarda serata abbiamo raggiunto Evora, una bellissima cittadina nel Sud del Portogallo, quasi verso la Spagna. L'ostello presso cui abbiamo pernottato si chiama Sant'Antao e lo consiglio fortemente a chiunque volesse soggiornare in quelle zone: 14 € a notte, colazione inclusa, una vista da sogno dalla terrazza, gestore affabile e oltretutto è in pieno centro.

GIORNO II- Sabato

Sì, abbiamo pranzato qui!
Il mattino dopo, a piedi, siamo andati alla scoperta di Evora. Il centro storico, circondato da mura, è un contenitore di storia e tradizioni;  fra cattedrali, monumenti, mercati, piazzali, formaggi buonissimi e la splendida università, il nostro bazzicare è stato assai piacevole. Lasciato (con un po' di rammarico) l'ostello Sant'Antao, siamo rimontati in auto. Destinazione ignota... Ci siamo infatti fermati per un pic nic in mezzo alla natura e al nulla, nessun riferimento artificiale attorno a noi. Con pochi euro ne abbiamo ricavato un  pranzetto niente male ;) Quando siamo ripartiti in auto abbiamo cantato a squarciagola Under Pressure, su di una sperduta stradina sterrata. Peccato, i portoghesi si son persi la nostra performance canora! Nel pomeriggio abbiamo raggiunto Sao Pedro do Corval - ove in un negozio di ceramiche la negoziante ci ha praticamente fatto fare la visita turistica dell'intera bottega, ove l'anziano marito lavorava il tornio - e poi Monsaraz, per visitare il noto castello sotto un caldo pazzesco (alla fine è come stare in Sud Italia) con lo sfondo delle colline verdi e la Spagna non così distante. Le tappe successive sono state Mourao e Baja, per una buona mangiata di pesce accompagnata da vino rosso portoghese. Rimontando in macchina ci siamo messi alla ricerca del secondo ostello ad Almograve, con meno fortuna di ieri: siamo terminati in una strada sterrata a mezzanotte con un cane un poco ehm, arrabbiato, che ha tentato di inseguirci con fare poco amichevole. Per fortuna siamo poi riusciti a trovare l'ostello, accompagnati da un freddo che strideva col calore del giorno appena trascorso.

GIORNO III- Domenica

...Eh beh!
Il risveglio non è stato dei più piacevoli; il freddo comunque è andato a dissolversi gradualmente, di fronte alla vista della costa. Dopo aver indugiato un po', mi sono buttata nel freddo oceano contagiata dai miei amici temerari: mi sono buttata e ho provato una sensazione pazzesca. L'impatto con l'acqua gelida mi ha dato una sveglia, il mio corpo ne ha giovato per tutto il giorno. Per non parlare del pranzo: abbiamo mangiato pesce grigliato con vista mare. Mi sono sentita una signora.
Poi una lenta risalita verso la capitale, la città dei sogni. Ma prima una fermatina in spiaggia! Ci siamo presi del tempo per stare un po' fra sabbia e oceano, io ne ho approfittato per raccogliere conchiglie giganti e inspirare forte tutta l'aria che potevo. Io e l'oceano. Son rimasta un paio di minuti imbambolata ma sarei potuta restare là davanti per ore. Perché è bellissimo. L'itinerario finalmente culmina nella meta più prestigiosa, la capitale. Lisboa. Una volta arrivati ci siamo incontrati con due amici di Giuseppe, Stefania e Giovanni, due fra i tanti italiani che lavorano all'estero. Ci hanno subito portato in un posto per mangiare bene, tanto per non smentirsi ;) e nel mentre mi sono gustata Lisbona di notte. Monumenti che svettano sulle piazze, tram che schizzano velocissimi su e giù per le strette strade... La cena è stata, manco a dirlo, ottima: zuppa di pesce, verdure e patatine a far da contorno ai gamberetti... Siamo andati a dormire nel noto quartiere del Bairro Alto, stravolti dall'intensa
giornata.

sunset on the road
Mourao
CONTINUA...

Come fanno i lavoratori

dellavoro.altervista.org
Ho scritto questa poesia nel giugno scorso per un concorso.
Non saprei dire come sia andata a finire, perché di tal concorso niente nessuno m'ha saputo riferire... Ma adesso, a ridosso d'un viaggio e del giorno del 1° maggio, ho deciso di condividerla sul blog; codesto è il post numero novantanove... Senza averlo calcolato, il centesimo sarà il celebrativo del primo anno di Man esca allo scoperto. 






Come fanno le commesse
a restar sospese sui tacchi ore e ore
e come fanno le celeri cassiere
a sopportare dei soldi altrui il peso e l’odore?
Come fanno gli operai lassù
a passeggiare fra vuoto e vento
a restar equilibristi sulle gru
a modellar cemento?
E gli operatori di un call center qualunque
con la schiena rigida e la voce rauca
come fanno a chiamar chiunque
mentre il corpo curvo una passeggiata invoca?
E gli artisti, diffusori di cultura
autori d’opere a rischio disparte
commedianti d’un teatro a rischio chiusura
come fanno a vivere della loro arte?
E gli esodati come fanno
dopo decenni di fabbrica
a sperar nel riposo remunerato
o anche solo nel ritorno alla fatica?
Come fanno i lavoratori a sopportare
i contratti come clessidre
i turni notturni, i tagli al personale
Come fanno a regger tali sfide
e a ritrovare poi un quieto soggiorno
ove distendersi fra sudore e onestà
col cuore che adorno
trabocca dignità?

Qualora qualcuno volesse utilizzare / leggere / diffondere la poesia è liberissimo di farlo purché citi la fonte, cioè me :)
Personalmente mi farà soltanto piacere se qualcuno la decantasse in giro! Anzi, sotto sotto è forse questo il motivo per cui l'ho condivisa. Viva i lavoratori. Viva chi non si arrende.

Filtra della luce

In quasi un anno da blogger ho pubblicato 97 post, augurandomi tante belle cose, inneggiando alla speranza e incoraggiando la virtuale platea a crederci, così, in generale.
Non so quante volte però ho dovuto disfare la matassa, rimettermi in gioco, rimettere tutto in discussione, ricominciare da capo perché no, così come avevo previsto non è andata. Praticamente ho passato il tempo a fare e a disfare e poi, appena scoccato il 2013, ho deciso di disfarmi completamente. Sì, ho rischiato, perché ero stufa di continuare a raschiare, tanto per rifarmi ad una delle metafore di quel periodo. Però mai avrei potuto sperare in un colpo di fortuna, in un disegno architettato da angelici ingegneri tanto ero abituata a fare da sola... ecco il punto. Stavo seguendo un sentiero di egocentrismo al rovescio, della serie ce la devo fare da sola. Ero già pronta per proseguire e resistere al buio. Non è andata così. Perché non funziona in questo modo. Per fortuna. Esiste. Un mondo. Là fuori.
Filtra della luce, dunque. E non ho intenzione di restare ferma e quieta, giacché tutto è vivo e tutto possibile.
Filtra della luce e non ho più bisogno di questi piccoli e precari fiammiferi per illuminare tutt'attorno... Perché poco a poco va diradandosi l'oscurità. Non serve ricorrere ad espedienti, né brillare di luce propria. Filtra della luce quanto basta per cominciare a guardarmi meglio intorno. E illuminarmi. E scaldarmi.

Work in progress

Non so se questa strada imboccata sia giusta o sbagliata, ma son certa che sia la mia.
Con questa premessa aggiorno il mio blog, dato che ultimamente ho avuto poco, pochissimo tempo per farlo...
Un po' mi spiace, se penso che ero partita col botto, scrivevo praticamente ogni giorno e pubblicavo 3 post a settimana. Non è più possibile, per mia fortuna. Nel senso che sto lavorando e sto allo stesso tempo gettando le basi (concrete stavolta) per progetti futuri. E in generale per la mia vita.
Ma è tutto un work in progress. E difatti eviterei di parlarne adesso, non per scaramanzia ma perché ancora sono in piena fase di modellamento, e comunque ci vorrà un po'. Eppure credo proprio che alla fine di questo po' potrò mantenere la promessa sul romanzo. E non solo.
Vivo una situazione in continua evoluzione.
E il blog ne prenderà parte.
Il primo anno da Man esca s'è rivelato turbolento, mai scontato, chissà il secondo. So per certo che il blog sarà un veicolo preziosissimo per dar voce a quei progetti sui quali sto già lavorando.

Riguardo al progetto della cooperativa, le cose sono molto complicate, al momento posso dire che non è una strada fattibile. Per ragioni economiche soprattutto. Tuttavia sono dell'idea che nulla si distrugga, e tutta si trasformi. Ecco perché si può continuare, sotto diverse forme.
Così mi è successo.
Spesso non lo si decide, succede e basta. Succede che cerchi per anni le cose e poi le cose arrivano da te, ti prendono di sorpresa. Succede pure di non avere il tempo per raccontarlo! E' un bene, no? Comunque, qualunque cosa succeda, per ora è un mero work in progress. Siete pregati di non fare i pensionati della situazione che sbirciano al di là del cantiere. Un po' di pazienza. A presto :)
 

Semplicemente Francesco

Abbiamo un nuovo Papa. Speriamo di avere anche un governo... ci servirebbe pure quello!
Nel frattempo desidero esternare qualche fugace considerazione su questo nuovo pontefice che mi ha colpita, fin dal primo istante in cui si è esposto al mondo, spoglio e senza ornamenti.
Da credente non posso che essere contenta dei primi umili gesti di Bergoglio. Piccole cose ma estremamente significative. Voglio dire, si è presentato al mondo restando in silenzio per diversi istanti di fronte alla folla trepidante, ha giustificato il suo ingaggio in Vaticano con una battuta ironica e infine ha ammansito la folla prima col silenzio e poi con due preghiere. Il neo-Papa si è poi inginocchiato, ha chiesto che fosse il popolo a pregare per lui, il vescovo di Roma. Una presentazione suggellata da un nome, Francesco, che dice tutto.
Appena nominato, Francesco ha già manifestato chiari segnali di sobrietà. L'abbiamo visto quasi inciampare mentre salutava un cardinale, l'abbiamo visto con la sua croce di ferro (e accanto a lui quanto strideva quella d'oro del vescovo...) parlare ai "fratelli" ed esortarli ad andare in mezzo ai poveri. Nel suo primo Angelus ha raccontato aneddoti e dispensato battute. Questo vale tantissimo. Ma dove lo trovate un Papa che paga il conto dell'albergo, ride, scherza e vi augura buon pranzo?! E' anche andato in strada a incontrare la gente. Per uno che usava i mezzi pubblici è cosa normale. Uno di noi. Un uomo. Semplicemente.

Ecco però, quello che non mi va è il modo in cui molti non-credenti si siano scagliati contro di lui a poche ore dalla sua nomina, speculando sulla scelta del nome, facendo circolare una foto (che poi s'è scoperto esser falsa: non era Bergoglio il prete!) con Videla ed esternando quelle che comunque rimangono illazioni.
E' partito bene, ma avremo modo di valutare il suo operato. Diamogli tempo, diamogli fiducia.
Ora la Chiesa è, almeno così pare, in mani molto buone. Mi piace Francesco, non ho mai provato tanta simpatia verso un Papa. Lo seguirò attentamente, spero davvero possa riformare la Chiesa. Il suo predecessore non ci è riuscito. Benedetto XVI si è trovato suo malgrado di fronte allo scandalo dei preti pedofili. Una cosa orribile, inaccettabile. E durante il suo pontificato c'è stato pure un maggiordomo spia! Non ha avuto fortuna, Benedetto. Ma se c'è una cosa che ho davvero apprezzato è stato il suo gesto dimissionar-rivoluzionario. Ammettere di non avere più le forze per proseguire è stato un qualcosa di sublime, umile, utile, spiazzante. E' il mio pensiero, per carità, ma dimettersi non è necessariamente un gesto di debolezza. Politici, prendete nota.

Ognuno è libero di pensarla come vuole, ma mi chiedo con quanta passione i non-credenti parlino di Chiesa quando di per sé a loro non interessa, dacché, appunto, non credono. Dibattere delle ricchezze del Vaticano è giusto, anzi, sacrosanto, per restare in tema; fare pulizia dei preti che commettono certe porcherie altrettanto giusto e necessario, ma non c'è solo questo. Parlare del male è una tendenza oggi mediaticamente troppo frequente. Non dimentichiamoci dei don Ciotti. Né dei vescovi come Cesare Nosiglia. Li ho sentiti parlare entrambi dal vivo, vi assicuro che sono predicatori e uomini eccezionali. 'Spaccano'!
La fede non è solo dogmi. Credere è universalmente molto di più, che dovrebbe accomunare tutte le religioni, e in un vivere frenetico e materialista un poco più di spiritualità non ci guasterebbe affatto. L'importanza del silenzio, della riflessione, del perdono... queste sono cose umane, mica soltanto religiose!
Ecco, ho esternato i miei pensieri, ma non ho la verità in tasca: sono solo una giovane scrittrice intrisa di speranza. E Papa Francesco me ne ispira molta.

Dal riparo alla selva

Affrontare la paura di petto. Facendo tutto ciò che più temiamo, andando incontro proprio alle cose che più ci spaventano, giacché questo è il modo più tremendamente efficace per liberarsi della paura stessa.
Intorno a me vedo un Paese sempre più allo sbando. Negozi che chiudono, gente disperata, governi che nemmeno riescono a costituirsi. Tutti temono il futuro. La paura è dunque il sentimento dominante.
Non posso che unirmi alla corrente di pensiero "sono stufa" ma con una riserva. Cioè che non voglio né posso permettermi di attendere un cambiamento; dunque, ho deciso che cambierò io.
Questo in verità accade già da parecchio. Ma non mi era mai successo di chiudere delle esperienze importanti, rimettermi di nuovo in discussione, e poi vedersi aprire delle nuove porte presso le quali nemmeno avevo bussato. Okay, è successo. In un solo giorno poi, ho 'vinto' un lavoro e un viaggio. Davvero. Avanti di questo passo chissà, entro fine anno mi sposo e vinco il premio Nobel :)

In questo debutto di 2013 ho dovuto chiudere alcune porte.  Mi ero resa conto che quello che vivevo era un equilibrio precario, una sorta di riparo. Un rifugio che mi conferiva protezione ma che mi impediva di andare avanti. Se volevo di più, dovevo cambiare. E così ho fatto. Ma non è stato affatto facile. Mi sono ritrovata ferma. Tutto da rifare. Una nuova tabula rasa fra le mani. Poi. Si sono aperte alcune porte. Cose inedite, inaspettate, non mi era mai successo negli ultimi anni, ero sempre stata io a proporre e a propormi... Che succede? Mi è venuto spontaneo chiederlo. Quale strana congiunzione astrale mi ha condotta a questa nuova conformazione? http://manesca.blogspot.it/p/prossimi-progetti.html
Comunque, fortuna o non fortuna, sono consapevole che nei prossimi mesi si renderanno necessarie delle azioni ancor più difficili. Ho una selva oscura interiore ancora tutta da attraversare. Una bella selva di paure. Chi non ha paure? Chi non ha paura delle proprie paure? Io ho deciso che attraverserò le mie. Dal riparo alla selva. Me ne infischio del rischio di possibile fallimento, del grande livello di difficoltà, me ne infischio. Vado. Incontro. Alla paura. Masochista? No, devota al cambiamento.

Nelle ultime settimane ho preso decisioni clamorose, ma nulla in confronto a quello che sto meditando. Perché qualunque cosa accada o non-accada in questo Paese, io ho solo molta voglia di sentirmi felice. Detta in altri termini, ho voglia di vivere e di sentirmi viva. Se potrò farlo qui, non è tempo per dirlo. Vedremo. Non so proprio come immaginare il mio futuro, qui gli equilibri che si sovvertono sono ormai all'ordine del giorno.
Parlo di me ma in realtà potrebbe servire anche a voi questa riflessione sulle paure. E' scomoda lo so, ma non v'è altro modo di vincerle se non affrontandole.
Provate così: quando vi capiterà di rinunciare/rimandare/evitare qualcosa perché sentite paura, andateci incontro. Lasciate i vostri ripari e mettetevi in gioco; fate quella determinata cosa proprio perché la temete. Andate spavaldi. Immagino che molte delle paure in questione abbiano a che fare con l'amore, il rapporto con gli altri, l'esposizione di se stessi. Pensate sia sconveniente o folle affrontare così di petto la paura? Beh, può darsi. Ma ricordate anche questo: chi non rischia niente, non si aspetti niente.
Elisa

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