Sala mezza piena o sala mezza vuota?


 

Ogni autore deve misurarsi con la sala mezza piena o mezza vuota. Il lavoro di scrittura e riscrittura di un libro è relativamente semplice, ben più difficile è attrarre pubblico alla presentazione del medesimo libro. Preparare questi eventi porta via una mole di tempo impressionante, è a tutti gli effetti un lavoro! Dunque, trovarsi dinanzi a sale mezze vuote, o a scatoloni di copie invendute, può essere devastante. Lho sperimentato varie volte, ma lho visto accadere anche ad altri colleghi. 

Vi racconto la mia esperienza.

Per La Resa del Riso avevo di fronte a me tre presentazioni, molto diverse fra loro per modalità e ambienti, e tutte e tre con un coefficiente di difficoltà importante: intervenire a notte fonda (ehm, alle dieci di sera, ma io a quell’ora già dormo...) davanti a un pubblico di perfetti sconosciuti parlando per un quarto d’ora, intervenire al Salone del Libro senza relatori (questo è stato un inghippo dell’ultimo minuto all’insegna della sfortuna) e intervenire in libreria nel post-Salone senza alcuna certezza di pubblico (come già avevo potuto constatare l’anno prima).


Avevo talmente voglia di rivalsa che sarei andata spedita anche davanti a una sala vuota, cosa che peraltro nella vita mi è già capitata… Non si trattava di una presentazione di libri - all’epoca non potevo ambire a così tanto - ma di un workshop di Tealtro in un ambiente di prestigio fuori dalla mia confort zone; mi era andata bene la prima volta, ma non quella seconda serata, dove appunto non si presentò nessuno. Reagii molto male, piena di astio e costernazione, ben lontana dal prenderla con filosofia o ironia. Se potessi tornare indietro, mi metterei a parlare a quelle sedie vuote facendo il saltimbanco, perché le sfighe vanno anche esorcizzate e non prese troppo sul serio. Ma questo l’ho imparato molti anni dopo.

Così lo scorso martedì 17 maggio, serata del debutto, ho fatto un monologo per gran parte impostato sulla mia, ehm, esperienza e inclinazione al fallimento, con auto-ironia e leggerezza. Ho portato lo stesso spirito al Salone del Libro e poi in libreria. Non mi sono adirata del fatto di aver venduto complessivamente pochi libri, so che quello è un aspetto su cui devo lavorare, e che comunque conta meno del valore umano di un evento in presenza; non mi sono adirata per aver perso due relatori nei giorni antecedenti il Salone, dispiaciuta sì naturalmente, ma ho pensato che con loro si potrà combinare una nuova presentazione in futuro ancora più bella; non mi sono adirata se qualcuno che doveva esserci non si è presentato, perché nella parte della sala mezza piena sedevano inaspettati sconosciuti, venuti apposta per ascoltarmi.

L’ingrediente magico che ha fatto sì che tutto filasse si chiama mindfulness, e ha ben poco a che fare con fortuna o sfortuna. Semplicemente si impara ad accettare e a essere grati per ciò che si riceve, non per ciò che ci manca. È una questione di atteggiamento mentale oltre che di meditazione e respirazione (utilissime, anzi, fondamentali) che una volta acquisito ti porti dietro per la vita.

Certo, nemmeno la mindfulness ha potuto nulla contro il caldo bestiale di questi giorni!

Nel corso di queste presentazioni ho strappato sorrisi, riflessioni, risate, energie positive. E questo mi basta. Venderò milioni di copie un’altra volta, in un’altra vita, in questa penso ad anteporre il mio benessere e quello di chi ascolta alla vendite. (... Che devo lavorarci su, sul vendermi, lho già detto?!)

Non è così scontato riempire la sala, ecco perché io sono più che grata del pubblico che ho trovato di fronte a me. Mi è capitato poi, in queste occasioni, di dovermi mettere in ascolto di altri, di altre presentazioni, diventando io la sala mezza piena di qualcun altro. Vi assicuro che ormai, per deformazione professionale, posso entrare in empatia anche coi pali della luce, figurarsi con un collega autore!, tanto che mi preoccupo per lui o per lei: starà ricevendo la giusta attenzione? Venderà abbastanza copie? Ecco, cari colleghi autori, presenziare gli eventi altrui aiuta a capire meglio su come migliorare i propri, e in più si allena lascolto. 

Vedere la sala mezza piena aiuta ad apprezzare ciò che di positivo accade, ma al contempo è bene non scordarsi della sala mezza vuota, se capita: come riempirla in futuro? Nel mio mondo ideale la gente farebbe la coda per ogni singola presentazione di qualsiasi libro, prosa e poesia, narrativa e saggistica, in un tripudio culturale unico. ... Ho esagerato, okay, allora un motivo in più per noi autori di far squadra facendo appassionare le persone come se andassero allo stadio a tifare per i loro beniamini: a colpi di parole e di versi, anziché di gol.  

Farò ancora un ultimo evento, un firmacopie, presso la libreria Nisa di Torino venerdì 17 giugno. Chiuderò, ehm, di venerdì 17 ;)

(E)UTOPIA

L’Utopia- Repubblica- Storia dell’utopia

Il tema dell’utopia mi è molto caro, si vede?!

Recentemente ho deciso di colmare qualche lacuna teorica, perché a scuola in genere si studiano solo Moro e Campanella. Ho dunque approfondito largomento, un argomento affascinante, leggendo Storia dellutopia di Lewis Mumford e successivamente anche la Repubblica.

 La Repubblica è l’opera che per prima nella Storia si preoccupa di disegnare una città ideale, per merito di Platone, che in questo libro ci presenta diverse idee sotto forma di un lungo dialogo tra i suoi fratelli e Socrate, suo maestro. Vi riporto qui il passaggio che mi ha colpito di più:

    “Luomo libero non deve imparare niente per costrizione. (...) Non educare a forza i fanciulli negli   studi, ma educali attraverso il gioco: così saprai discernere ancora meglio le inclinazioni di ognuno”

Ecco dunque che Platone ci regala un preziosissimo e attualizzabile consiglio su come dovremmo impostare un’educazione ideale. Ma è con Tommaso Moro che, effettivamente, il termine utopia compare per la prima volta. Quello che forse non tutti sanno è che questa parola ha un doppio significato (anche al signor Moro piacevano i giochi di parole, se non altro almeno questo l’abbiamo in comune!):

Eu-topia= modello del vivere buono o del vivere felice

Ou-topia= non-luogo o di un luogo diverso dal quale ci troviamo

Utopia può voler dire, dunque, sia buon posto che nessun posto. Cambia completamente il modo di intenderla, in questa duplice lettura, poiché rimanda non solo a qualcosa che in effetti non esiste, ma che in quanto modello ideale può essere costruita come buon posto dove vivere.

    “Una repubblica di lavoratori che vivono in eguaglianza, desiderando la pace, e rinunciando alle ricchezze.”

Dopo Moro sono molteplici i tentativi letterari di raffigurare l’utopia, ma Mumford li stronca quasi tutti nella sua analisi. Io personalmente sono rimasta affascinata da Christianopolis di Johann V. Andrae, un’opera poco conosciuta che immagina una comunità senza denaro, dove nessuno può superare laltro in termini di possedimenti, ma in cui tutti devono lavorare. In pratica, labolizione delle classi sociali.

Con l’industrializzazione, ahimè, nulla di buono viene prodotto in quest’ambito: le utopie non fanno altro che aggiungere mirabolanti invenzioni a quelle già preesistenti, candidandosi come modelli utilitaristici; nel frattempo avviene la scissione fra arte e scienza, e la loro compartimentazione in mille altre suddivisioni. Mumford stronca gli artisti, colpevoli di essersi allontanati dalla comunità concependo larte come estasi o cura personale, e persino i musei, considerati contenitori di cianfrusaglie di un’epoca passata che si vuol deridere rispetto al moderno progresso. L’accenno alla multi-potenzialità di Leonardo e Michelangelo, le due figure dominanti del Rinascimento, non è affatto casuale: un tempo gli artisti erano anche scienziati e viceversa. Michelangelo nel XX secolo si sarebbe limitato agli affreschi? A un Leonardo oggi basterebbe forse solo dipingere la Gioconda? L’importanza di padroneggiare discipline così apparentemente distanti fra loro è malvisto al giorno d’oggi, nell’era dell’iper-specializzazione, ma la Storia ci racconta unaltra storia. Mumford sostiene insomma che questa compartimentazione abbia prodotto mediocrità per la comunità, anziché ricchezza.

     "L’uomo comune ama l’arte e vive di essa; è solo quando non è disponibile una buona opera che si accontenta di una di minor qualità. L’unico modo per mantenere la gente lontana dall’arte è di non offrirgliene." (Storia dell'utopia, L. Mumford)

Credo però che oltre alla teoria bisognerebbe pensare anche alla pratica dellutopia. Vi faccio un esempio. Nel 2019 realizzai un progetto con gli anziani in RSA: immaginare una città ideale. Quel progetto ebbe il suo culmine col plastico della città presentato al pubblico (quando ancora si poteva entrare nelle RSA). La voce dei Custodi della Memoria può davvero essere interessante, se solo ci sforziamo di ascoltarla senza pregiudizi. Venne fuori, da quella fantasticheria collettiva, che nella città ideale non dovessero esserci per esempio centri commerciali, bensì le care vecchie botteghe di quartiere. Gli anziani si basarono in gran parte sul loro vissuto, arrivando a disconoscere una buona parte delle istituzioni e delle consuetudini oggi preesistenti.

Chissà quanti altri progetti sociali, più o meno consapevoli, hanno toccato questa tematica! E immaginate cosa si potrebbe fare, per esempio, mischiando i target generazionali e culturali...

L’utopia non è una fantasia sfrenata e irraggiungibile, ma un esercizio di idee e valori che tutti possiamo mettere in pratica, sotto forma di lettura, di gioco, di pensiero. Essa esercita la nostra creatività e allena il nostro spirito critico a servizio di un avvenire più prospero. Immaginare ci aiuta a uscire da schemi preconcetti, a disegnare un ideale magari irrealizzabile, ma verso cui tendere. Mumford nel suo libro distingue tra utopia della fuga e utopia della ricostruzione: se nel primo caso ci si vuole rifugiare su unisola incantata, nel secondo caso si intende creare una nuova scala di valori in costante riferimento alla realtà, la vera meta di questa utopia che si fa strumento di cambiamento. Molte cose mi hanno sconvolto di questo libro, in particolar modo la critica al mito dello Stato Nazionale, per Mumford causa di gran parte dei problemi che ci affliggono. Credetemi se vi dico che è purtroppo difficile dar torto alla sua analisi. Ecco perché ve ne consiglio la lettura, è un libro (e in generale un filone letterario) che apre la mente e il pensiero critico.

Tornerò in futuro a parlare di utopia. Credo ce ne sia un gran bisogno.

Se il tema utopia ti ha stuzzicato, clicca qui:  https://faresol.blogspot.com/p/utopia.html

Elogio del fallimento

I miei 4 libri: Damazerico, Fuga dall'amore, Miracoli metropolitani, La Resa del Riso

Ti sei accorta anche tu, che siamo tutti più soli? Tutti col numero dieci sulla schiena, e poi sbagliamo i rigori Ti sei accorta anche tu, che in questo mondo di eroi Nessuno vuole essere Robin

(Cesare Cremonini, "Nessuno vuole essere Robin")

In questo tempo spietato e frettoloso, nessuno sembra avere tempo per godersi il processo, tutti vogliono i risultati. Se non centri il bersaglio sei un fallito, una fallita. In questo tempo spietato e frettoloso, i sogni sono materia che scotta. Perché il marchio del fallimento sembra essere una vergogna, un disastro, un brutto voto dopo uninterrogazione, unirrimediabile dimostrazione di ciò che che vali. In un tempo in cui tutto è quantificato e misurato, si guarda solo al risultato.

Ecco perché desidero raccontarvi la mia esperienza, spiegandovi come mai sogni e fallimento stanno nella stessa frase. Siete pronti?

Dieci anni fa, il 2 maggio 2012, debuttava questo blog col titolo che la man esca allo scoperto, da cui trassi lo pseudonimo manesca. Il mio sogno era quello di diventare una scrittrice e, benché avessi cominciato a scrivere nel 2011, fu proprio il 2012 il mio anno di grazia: aprii questo blog, completai Damazerico e scrissi altri due romanzi, composi una vagonata di canzoni, e poi un numero imprecisato di post, pensieri, progetti... Lavoravo anche in una redazione come praticante giornalista sportiva, quindi mi ritrovai dentro un percorso professionale coerente. Ecco, dovevo solo riuscire a pubblicare Damazerico, magari anche il nascente Fuga dall’amore, e il successo sarebbe arrivato. Non nego di averci fantasticato su, e daltronde l’ispirazione mi scorreva dentro con una facilità impressionante!

Eppure.

Ho fallito. Tante, tante di quelle volte che sono diventata, ehm, professionista del settore.

Iniziai la mia carriera fallimentare con Damazerico, respinto da varie parti e pubblicato forse per riconoscenza dall’editore con cui all’epoca collaboravo, a fine 2013. Ma il lavoro si reggeva solo sulle mie fragili competenze, tutte ancora in costruzione, e scomparve dopo sole 40 copie ormai rarità.

Se non avessi fallito sarei stata travolta dalle critiche e magari anche dal successo; in entrambi i casi non ne avrei retto il peso.

Abbandonai il giornalismo e mi buttai in una delle mie mirabolanti imprese, il Tealtro. La forza che mi stava riportando verso l’animazione mi portò a concepire questo progetto da zero ma, anche in questo caso, non avevo competenze specifiche! Il progetto durò ben oltre i primi workshop sperimentali, ma le prospettive di farne un progetto a lungo termine, magari finanziato, fallirono. Già che cero abbandonai pure il blog.

Se non avessi fallito non avrei mai conosciuto la realtà della RSA, fondamentale per la mia formazione, né avrei fatto il corso di animazione (la cui più grande ricchezza è stata quella umana), tantomeno avrei iniziato a scrivere La Resa del Riso.

Nel frattempo incassai rifiuti da ogni direzione, per ogni mia opera. Mi lanciai anche nei giochi da tavolo, ma alla fiera decisiva leditore restò perplesso davanti al testing del mio gioco. Cominciavo a sentire la frustrazione, sentivo di aver fallito. A questo si aggiungevano pure le canzoni che non riuscivo a condividere, tanto meno a incidere. Vedevo il disastro generale ma non larricchimento.

Se non avessi fallito sarei diventata distratta e vanagloriosa, troppo acerba per riuscire a gestire critiche, opportunità o successo.

Nel 2018 ero sposata, madre di una cucciola, prossima a tornare a quel lavoro di animatrice che ormai adoravo. Tentai ancora una volta con i libri, partecipando al torneo letterario "Io Scrittore" con La Resa del Riso, ma niente da fare: dalle critiche ricevute capii che dovevo lavorarci su ancora. Nel 2019 riuscii finalmente a centrare una selezione per Fuga dall’amore: è fatta! O forse no. C’era linghippo, e si chiamava crowdfunding. Mi ci lanciai, non avendo nulla da perdere. Ma sapermi vendere non era proprio la specialità di casa. Fu infatti un fallimento. A oggi il romanzo non è ancora stato pubblicato. Però, dai, ci ho guadagnato ben 30 euro di royalties sulle copie stampate ai sostenitori...

Se non avessi fallito non avrei imparato le lezioni fondamentali sulla scrittura, né ripreso questo blog. Inoltre, non avrei mai potuto gestire una pubblicazione fra trasloco, poppate, inserimento al nido e brusco rientro al lavoro.

Ripescai l’idea del blog proprio da quell’ultimo fallimento. Gli diedi un nuovo nome, FaReSol, perché la natura e la cultura della mia professionalità erano cambiate. Ottenni riscontri bassi, più bassi ancora di manesca. Un capolavoro di fatica al vento, insomma.

Se non avessi fallito mi sarebbe balzata l’idea di fare smartworking e diventare blogger, rinunciando al mio lavoro di animatrice, visto che da lì a poco sarebbe scoppiata la pandemia.

Nel 2020 scrissi il racconto-sequel di Fuga dall’amore, manco l’avessi pubblicato, e Miracoli metropolitani. Sentivo uno spirito diverso, dentro quei racconti. Il racconto-sequel ottenne qualche timido consenso. Troppo poco rispetto alla fatica spesa. Nel frattempo, il mio meraviglioso lavoro stava piegandosi alle peggio cose causa covid. Di lì a poco decisi di condividere le mie canzoni, che da troppo tempo giacevano dentro il dimenticatoio… Rispolverai i miei brani migliori, allacciai qualche contatto per una probabile collaborazione artistica, ma i risultati furono impietosi. "Te la sei cercata" me lo dissi da sola. Poi finalmente la luce (editoriale)! Si manifestò a fine 2020, per Miracoli metropolitani. Ma non ero una scrittrice di romanzi? Va beh, fa lo stesso. Neanche il tempo di stappare lo champagne che dovetti affrontare inenarrabili batoste professionali che mi fecero perdere fiducia e serenità. 

Se non avessi fallito non avrei mai sentito la necessità di intraprendere il cammino del Fattore 1%, la rivoluzione dolce delle abitudini, la mindfulness…

Ma con la pubblicazione era fatta, o no?

Pubblicai la mia prima raccolta di racconti a maggio 2021. Presentai il mio libro davanti a una manciata di persone. Doveva essere il mio momento di gloria, invece sbattei contro l’amara realtà. Successivamente incassai vari rifiuti per presentare il libro. Un gran bel risultato che mi valse il master di specializzazione in scienze del fallimento.

Se non avessi fallito avrei lasciato il lavoro che in quel momento mi stava logorando, senza mai arrivare alle idee successive e senza completare il percorso di consapevolezza già intrapreso.

Per gettarmi via le scorie puntai tutto sui concorsi, quasi che la letteratura debba essere una competizione. Diedi un’ultima chance a Fuga dall’amore. Le probabilità di vincere erano davvero basse, e invece… arrivò terzo! Che bello!

Ma non successe niente di niente. Niente eventi mondani, niente stampa, niente discorso, niente proposte editoriali, niente. Bella croccante questa medaglia di bronzo... sa di fallimento.

Se non avessi fallito avrei trascurato lavoro e formazione, e considerata inconsciamente la competizione come il giusto mezzo per raggiungere obiettivi scavalcando tutti (ed ecco il senso della rubrica Esplorautori, nata per promuovere i libri degli altri).

Nel frattempo, neanche La Resa del Riso ce l’aveva fatta a vincere. Tuttavia, attirò l’attenzione della casa editrice LuoghInteriori. Giunsero poi altre insperate possibilità sul piano professionale e formativo, ma tutte puntualmente naufragarono sul più bello. Il blog, da parte sua, portava sempre meno visualizzazioni.

Se non avessi fallito sarei salita di livello senza considerare la resiliente opportunità di creare dal nulla idee come il Museo Sensoriale, il Museo da tavolo e la Libreria da tavolo. Attualmente sto continuando a fallire: queste idee non sono un risultato favoloso di cui potersi sfregiare, ma laboratori pieni di insidie e piccole soddisfazioni e paziente lavoro.

Ecco, ora sai che la mia storia di animautrice è costellata di tantissimi fallimenti. E ti ho raccontato solo una parte, i più eclatanti, nel montaggio ho dovuto tagliare varie scene ;) Non so dirti come andrà La Resa del Riso, ma so che affronterò ogni presentazione con una consapevolezza diversa dal passato, che il valore conta assai più del successo.

Non bisogna avere paura di fallire: in questa epoca spietata e impaziente anche il più meraviglioso giardino necessita di molto tempo e molta cura per poter fiorire.

Se non avessi fallito non sarei la persona che sono oggi.

Se non avessi fallito, altro che mindfulness, cura di me stessa e ricerca del benessere autentico.

Se non avessi fallito non avrei imparato un bel niente.

- Sono certa che anche tu hai fallito varie volte, ed è un bene! Vuol dire che avevi qualcosa di bello da costruire. Pazienta. Persevera. Rimodella. Ritenta. -

Se non avessi fallito i miei sogni non si sarebbero fatti così belli e consapevoli.

Sognare e fallire non sono che due facce della stessa medaglia. Possono stare nella stessa frase, come nella stessa vita.

Sognavo di diventare una scrittrice, ora sogno di farti sognare fra le pagine che ho scritto.

Post in evidenza

I BUONI PROPOSITI DEL LETTORE

Vorrei cominciare questo nuovo anno condividendo i buoni propositi... del lettore. Molte persone, infatti, mettono fra i buoni propositi qu...