L'autodidatta- lettere

 Seconda puntata


Lettere. Non è un riferimento alla facoltà universitaria che forse avrei potuto scegliere, e nemmeno un generico trattato sulle componenti elementari delle parole, bensì un elogio alle materiali composizioni con mittente e destinatario.

Il diario segreto era terapeutico, ma segreto, appunto. Ecco perché la mia inclinazione esondò presto verso altre forme, affini al diario, forme che si rivolgevano al mondo esterno. Avevo ormai l’abitudine di scrivere tutti i giorni, sicché quando mi capitavano cartoline o biglietti d’auguri era abbastanza naturale lasciarmi andare oltre le frasi fatte, verso qualcosa di più profondo.

Oltre ai biglietti delle ricorrenze e alle dediche sui diari delle mie compagne di scuola, si aggiunse presto una forma di comunicazione scritta ancora più profonda: la lettera. All’epoca ero una giovanissima animatrice nella mia parrocchia; ai campi estivi l‘usanza di scambiarsi bigliettini e messaggi divenne per me fertile terreno di lunghissimi mattoni- lettere baluardi dell’amicizia vera (ero troppo timida per le lettere d’amore; ne scrissi una sola abbastanza velata, senza ricevere risposta, e da allora prevalse la paura del rifiuto). Alcune volte le lettere erano davvero difficili da redigere: cosa si poteva scrivere a persone che conoscevo poco? Era infatti usanza, ai campi estivi, scrivere a tutti o quasi tutti i partecipanti. Così mi sforzavo di calarmi nei panni dell’altro, per trovare qualche punto in comune. Non lo potevo immaginare, ma stavo compiendo un esercizio di primordiale empatia.

Come sono cambiati i tempi! Oggi se vuoi scrivere a qualcuno apri WhatsApp. E spesso lasciamo che siano Instagram, Facebook, Linkedin, Twitter le nostre finestre di comunicazione sul mondo, con l’obiettivo più o meno consapevole di raggiungere più utenti possibili, in modo da incassare più like e commenti e condivisioni. Si può dire che siamo alla costante ricerca di attenzione e approvazione. Magari ostentando una felicità che non ci appartiene solo per costruire un’immagine di noi socialmente accettabile, evitando di mostrare le debolezze.

Ma la lettera, no. Non ammette questo tipo di comunicazione, nella lettera bisogna essere autentici. È vero, soltanto un destinatario la leggerà, ma è proprio questa selezione che permette di farci conoscere dall’altro, un altro speciale. Nella lettera la segretezza tipica del diario viene condivisa in un rapporto esclusivo col destinatario prescelto, che a sua volta potrà scegliere di raccontare il proprio sé autentico rispondendo con un’altra lettera. I sentimenti prendono piede facilmente tra le parole, ci si sente più sciolti al punto da rivelare all’altro ciò che proviamo meglio di qualsiasi discorso. E rivelare le nostre paure e le nostre cadute diventa molto più facile, se non addirittura conveniente: chi meglio di un amico (o di un parente) può consigliarci e comprenderci?

Era un periodo in cui prediligevo la scrittura a mano, ma questa non si limitò a essere solo un’analisi introspettiva o una forma di comunicazione: ero pur sempre un’adolescente, quindi una non-adulta che aveva voglia di divertirsi. Andavo matta per i giochi, quelli da cortile e quelli di ruolo. Senza particolare fatica mi trovai a inventare per i bambini dell’oratorio grandi giochi d’azione con cura minuziosa di dettagli.

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Terza puntata: il gioco di scrivere

L'autodidatta- Caro diario

 

Prima puntata

“(...) Uno dei modi per diventare ‘ciò che si è’ è l’esercizio della scrittura personale in cui, specialmente attraverso la stesura di diari autobiografici, il soggetto che si racconta - nello scrivere, cancellare e riscrivere le definizioni di sé, ma anche nell’annotare esempi e riflessioni, si scopre e si costituisce.”

Sara Nosari, L’educabilità, editrice La Scuola, 2002

 

Iniziai così.

Non so cosa scrivessero Dostoevskij e Kafka da ragazzi, ma io non mi cimentai in nessuna opera letteraria, iniziai invece da una inconsapevole e profonda autoanalisi. Come tutti gli adolescenti avevo solo bisogno di sfogarmi un po’. Buttavo giù tutto quello che di solito divora a quell’età: l’incertezza del futuro, la paura di amare, il conflitto col mondo, il dramma esistenziale in qualsiasi evento quotidiano come un 4 in matematica…

Non iniziavo mai il diario scrivendo mio caro diario, ma il senso era un po’ quello. Quando ho buttato giù la prima frase non era mia intenzione cimentarmi in chissà quale impresa, il primo anello di quella lunga catena fu semplicemente il riflettere su cosa mi stava accadendo in quel momento. Estate 2001. Facendo animazione in oratorio iniziai a capire molte cose di me che prima ignoravo. Così, frase dopo frase, decisi di auto-regolamentarmi e di iniziare un diario di bordo a tutti gli effetti. Chi l’avrebbe mai detto che ci sarei andata avanti per dodici anni.

Dodici anni, raramente saltando dei giorni. Se mi rileggo mi metto le mani nei capelli, per la dose esagerata di tormento che scandiva le mie giornate in ogni ambito. Però... se mi fossi tenuto dentro tutto sarei implosa. Invece, per dodici anni il diario mi è servito da valvola di sfogo, non ho mai pensato di farlo leggere a qualcuno, anzi, lo custodivo con estrema attenzione lontano da sguardi indiscreti.

Ho letto delle cose interessanti riguardo alla pratica del diario segreto: pare sia davvero un ottimo strumento di autoanalisi interiore, un modo per conoscersi, raccontarsi, aprirsi un varco dal di dentro con meno vergogna rispetto, per esempio, al parlarne con qualcun altro. Il diario non dà facili soluzioni ai problemi, ma fornisce una sorta di monitoraggio costante che nel tempo può consentire di correggere il tiro. Naturalmente è un qualcosa di molto spontaneo, e i procedimenti terapeutici che si possono innescare avvengono perlopiù in maniera inconsapevole.

Scrivere il diario segreto non implica ovviamente che si diventi poi autori di fama mondiale, ma può essere un chiaro segnale della propria inclinazione. La tenacia con cui mi chinavo sulle pagine, nonostante la mole di compiti appena smaltita o ancora da smaltire, era come una forza magnetica che mi attraeva. Non potevo sottrarmi alla narrazione, ancorché minima, della mia giornata.

Se fossi stata una teenager nel 2020 probabilmente avrei tenuto un blog, sparso i miei tormenti in giro per i social, al massimo scribacchiato su un foglio word, ma il lento gesto di scrivere a mano obbliga a pensare bene a ciò che si sta formulando, ed è molto più terapeutico. Inoltre, la segretezza fa sì che i molteplici sfoghi rimangano lì al loro posto, senza che nessun utente commenti quanto scritto.

Il primo step dell’autodidatta è stato questo, per me. Scrivere fiumi di pagine... Non per tutti gli autori è così, naturalmente. C’è chi frequenta dei corsi di scrittura creativa, c’è chi inizia scrivendo dei racconti o delle poesie, o magari un romanzo. Ricordo distintamente che al liceo mi imbattei in un racconto di un coetaneo, pubblicato su un giornaletto; fui molto onesta con me stessa nell’ammettere che no, io non ero assolutamente capace di scrivere così bene; io ero solo quella che scriveva un diario segreto con cura minuziosa.

Ma l’inclinazione prese presto a manifestarsi sotto altre forme. Dediche, lettere, bigliettini, cartoline... portando la mia attrazione fatale sotto gli occhi di tutti.

Continua

Prossima puntata: lettere

L'autodidatta

Introduzione

Vi siete mai chiesti quando gli scrittori hanno deciso di fare gli scrittori?

Quand'è che a un certo punto della vita uno decide di intraprendere una determinata strada? Per alcuni mestieri c'è addirittura la Chiamata, ma la vocazione di scrivere sembra essere oggigiorno un pochino inflazionata... Anzi, mi correggo, la vocazione di pubblicare. Esistono molti modi per arrivare a tale obiettivo, tant'è vero che in Italia si pubblicano circa 65000 titoli l'anno. Emergere da questa mole è assai difficile, perciò pubblicare non basta a decretare il successo di un autore e a definirlo tale: bisogna vendere. Quindi contano solo le copie vendute? Quindi Cinquanta sfumature di grigio è una pietra miliare della letteratura? O forse conta il successo di critica? E se un libro recensito come pessimo viene venduto in milioni di copie, come la mettiamo? Mmh, ci sono troppe variabili. 

Insomma, chi può autodefinirsi scrittore o scrittrice, dal momento che non esiste un albo apposito? Quand'è che si acquisisce lo status sociale di autore? Wattpad, Youcanprint, casa editrice tal dei tali, crowdfunding, corsi accademici, raccolta punti, cosa?

I grandi autori del passato hanno dovuto fare i conti con rifiuti, scarso successo di pubblico, mancanza di soldi, e tante altre magagne. Ma un tempo la possibilità di produrre un manoscritto e in seguito di pubblicarlo non era certo alla portata di tutti.

Oggi il web dà una chance praticamente a chiunque, e questo non vale solo per i libri, eppure sono sempre i lettori ad avere l'ultima parola: se certi titoli diventano dei best seller è perché qualcuno li ha pur comprati.

E voi, cari lettori in questo blog, che direste di me a primo impatto? Sono una scrittrice? Una che ci prova? Un'aspirante ispirata? Una promessa incompiuta? Una panchinara cronica che attende speranzosa la sua chance? 

Per fare luce bisogna affrontare un viaggio a ritroso. Ripercorrere le tappe, raccontare delle radici piuttosto che dei frutti.

Racconterò di vecchi gesti caduti in disuso, ma molto in voga vent'anni fa. Racconterò di come può essere complesso un processo di formazione, complesso quasi come un'adolescenza. Racconterò di me, ma aprendo a un confronto sulle vostre personali esperienze di autori o di semplici lettori.   

Per questo viaggio a ritroso bisogna partire da quel momento in cui ho preso in mano una penna non per fare i compiti. Non per scrivere scemenze. Non perché me l'aveva ordinato qualcuno. Solo per smisurata incontrollabile attrazione

E' proprio lì, a quasi quindici anni, che ho cominciato il mio percorso di

autodidatta 

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I BUONI PROPOSITI DEL LETTORE

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