Non succede ma dovesse succedere

Stella incompiuta che ha voglia di brillare ma ancor non vi riesce. Giochi una partita tutta sofferenza e umiltà, esprimendo un calcio ammirevole. Tieni testa agli avversari e alle avversità che sai esser più forti di te. Scorri sulla fascia, corri, rincorri ogni pallone. Che impegno. Ma. Manca il gol.
La stanchezza ti offusca la vista, ti indebolisce le gambe. Eppure non hai subìto infortuni. Solo una scarica di adrenalina può far la differenza, adesso, con un risultato a reti bianche assolutamente inutile, inerme. Ingiusto.
Ora può succedere di tutto. E può non succeder niente. Probabilmente non succederà. Non succede. Non succede ma dovesse succedere. Chi ti ferma più.
Quella difesa che sembra un muro. Quelle marcature così asfissianti. Quegli sgambetti di avversari scorretti. Il cronometro che corre più veloce di te. Il novantesimo minuto è prossimo. Il mister ti sostituirà? L’avversario ti infliggerà il colpo del K.O? Si andrà ai tempi supplementari?
No, qui serve la giocata. Quella del fuoriclasse. Di occasioni sottoporta non ne hai avute, questo è vero. E che volevi, il gol facile facile? Non è roba per te. Tu puoi inventare il colpo di classe, non hai bisogno di occasioni. Tu sai creare le occasioni. Devi.
Il pallone è lì, vedi? Un avversario ha sbagliato un passaggio. Succede.
L’adrenalina e la rabbia e la voglia di spiccare finalmente il volo ti possono liberare per sempre da quelle inibizioni e paure che fanno ancora di te una stella incompiuta, fantasista inconcludente. Ti avventi sul pallone e guardi il tuo compagno di squadra: sai che hai bisogno di lui. O forse lui di te. Chi dei due deve mandar l’altro in gol? Non ha importanza, il gol sarebbe la vittoria di entrambi. E i tifosi esploderebbero di gioia. Sì, quegli stessi che ora ti snobbano, ti criticano. E anche quei tanti che continuano a gridare il tuo nome perché credono in te.
Il cronometro ha fatto un altro passo verso la fine.
Non c’è più tempo. Raccogli le forze, non vince il più forte ma il più audace. Vinto sarà il meno convinto. E tu, ci credi o no? Ci credi in questa vittoria? Che vuoi fare, continuare a deliziare la platea con colpi di tacco e dribbling senza mai mettere dentro il pallone decisivo? Parti da una situazione di svantaggio, vero. È durissima e i pronostici ti sono ostici, non è certo novità. Ora, prosegui palla al piede. Sai quel che devi fare. Sai che potresti non farcela ma sai che puoi osare. Sai che ormai hai perso troppo tempo, quasi tutta la partita, quasi tutta la vita. Tardi. Recupera. Scatta. Spera. Non succede. Ma dovesse succedere.

il capolavoro di Cesare Prandelli

-Mexico 70. L'eleganza di golden boy Rivera che nella maratona dei supplementari infila il 4-3 nel partido del siglo e ci porta in finale (dove poi ce le suonerà il Brasile).
-Espana 82. L'urlo liberatorio di Marco Tardelli che fa esplodere il paese intero dopo un mondiale in crescendo dopo averle suonate a Brasile ed Argentina. Campioni del mondo!
-Dortmund 2006. Gli occhi chiusi di Fabio Grosso che non crede a quello che ha appena fatto, cioé un gol da leggenda che manda a casa i tedeschi che sono già a casa; poi sarà trionfo a Berlino.
-Varsavia 2012. Il fisico statuario di Balotelli che finalizza il capolavoro di Prandelli. Una nazionale che gioca a calcio e che mette sotto la Germania grazie a talenti giovani e vecchi baluardi.
Varsavia.
La storia non sceglie mai a caso. Nell'era dello spread, della crisi, delle incertezze, l'Italia le suona ancora alla Germania in quella Polonia invasa e ferita e teatro delle atrocità di una certa guerra mondiale.
L'Italia partita come al solito con uno dei nostri scandali all'italiana, consueto processo mediatico e consueta imbarazzante amichevole pre-europeo con la Russia che mi rifiuto di credere non fosse una mossa per depistare gli avversari. Per la cronaca, i russi nemmeno il primo turno hanno superato.
L'Europeo inizia ad Auschwitz. Gli azzurri vanno a visitare e ad ascoltare la sofferenza del passato che ancora riecheggia. Impossibile non commuoversi.
Poi il campo. Un esordio niente male con la Spagna (e chi l'avrebbe mai detto che ci saremmo ritrovate in finale?) e per non farci mancare niente ci complichiamo la vita con il solito pareggio con quella Croazia  nostra tradizionale bestia nera e bestie pure i suoi non-tifosi malati di razzismo.
Qualificazione appesa a un filo e gli italiani temono il biscotto.
Colpa dello spettro di euro2004; ma quel biscotto allora fu nordico, non è roba da Spagna campioneditutto. Due gol dei bad boys alla simpatica Irlanda turista per caso agli europei nonostante il Trap, e via! Siam passati. Al solito modo.
Quarti regali, c'è l'Inghilterra. Ma gli inglesi non giocano un grande calcio, e difatti li asfaltiamo. Eppur il gol non giunge. Non vuol giungere. Calci di rigore, dunque.
E va beh, ve li serviamo col cucchiaio di Pirlo. Goodbye England! Ricordatevi di noi quando girerete il vostro the delle cinque.
Ma veniamo alla partita del secolo (quello nuovo).
Germania stra-favorita. Non perdono da 15 partite. Giornali tedeschi che scrivono le solite prese in giro da quarta elementare: hanno paura.
Fischio d'inizio è già si capisce che non è la solita partita. E' la partita.
Primi tocchi, primi fraseggi. Gli azzurri sono sicuri e precisi, fanno possesso palla, incantano, è un gioco convincente. Noi abituati a catenacci e difensivismi. Grazie Prandelli, finalmente.
C'è quel pallone d'oro viaggiante di Pirlo che sta facendo ballare i tedeschi là in mezzo. Messi e Ronaldo potranno segnare anche 70 gol, ma Andrea salva sulla linea un gol quasi fatto e dribbla e fa le finte e nasconde il pallone e lancia e dispensa assist. E' il dio del calcio.
Non si passa, vero Ozil? Sarai anche un fenomeno, ma Giorgione Chiellini ha recuperato da uno stiramento pur di non farvi passare. E Barzagli pure era infortunato. E Bonucci indagato. Che vuoi, siamo italiani. Pur di battervi siamo disposti a tutto.
Francamente non capivo perché Prandelli avesse rimesso Cassano che ha un'autonomia limitata. Poi ho capito.
Assist geniale e capocciata di superMario (io perdo ogni autocontrollo e meno male che non faccio la cantante di mestiere). Altro assist geniale per Montolivo che si inceppa, poi però proprio lui si veste da Cassano e va a pescare superMario che nemmeno si cura del piccolo Lahm che lo contrasta e tira una sberla che nemmeno Ibrahimovic. Si è svegliato il talento. Era ora. Balotelli si toglie la maglia e mostra i muscoli. E se segna in finale che fa, tira giù le braghe?
Poi i tedeschi si rimbecilliscono completamente, bastonati e frastornati. Non hanno un gioco, si lanciano davanti e cominciano a battere cento calci d'angolo (noi nemmeno uno). Il portiere Neuer si butta in avanti, è la disperazione totale. Ci mangiamo tre gol fatti - diciamo per la stanchezza - ma reggiamo.
E poi mannaggia, un tocco di mani al 92' e calcio di rigore. Quel fenomeno di Ozil mica lo sbaglia. Italia, ci fai sempre soffrire pure quando domini e asfalti l'avversario oltre ogni ragionevole dubbio. E sia. Sofferenza pura. Tanto ci siamo abituati. Cardiopalma all'italiana, ma stasera non c'è storia. Non c'è mai stata, cari tedeschi. Siamo così, inventiamo capolavori. Vi serva questa lezione di calcio, cari tedeschi. Eravate i più forti, ma noi siamo stati più bravi.
Andiamo a Kiev e terminiamolo questo capolavoro, caro Cesare. Il Mario è tratto.

Intervista ad un alieno


GIORNALISTA: Signor alieno buongiorno. Qual è il suo nome e da dove viene? Come conosce la nostra lingua?
ALIENO: buongiorno signorina. Mi chiamo Ecaep e vengo da quello che voi chiamate Kepler 22-b che in realtà si chiama Ytiradilos. Conosco 56 idiomi terrestri. Sa, ho studiato al linguistico. Da noi l'istruzione è molto buona. Il mio idioma preferito è il calabrese.
G: incredibile, io sono di Catanzaro! Mi fa grande onore che un alieno parli calabrese!
A: e tra un mese ho un esame di sardo, ora che ci pensu.
G: beh, in bocca al lupu. Senta, è lei che va in giro a fare i cerchi di grano?
A: oh, per carità. Sono un traduttore, non un artista. Non credo siano stati i miei complanetari. Li avranno fatti quei simpaticoni dei marziani.
G: cosa pensa la sua gente dei terrestri?
A: l’opinione più diffusa è che siete stupidi, senza offesa. Usate un mezzo di scambio, il denaro, per vivere, e poi lo stesso denaro diventa la vostra principale occupazione, e alla fine può arrivare a distruggervi…
G: ma voi non avete una moneta?
A: mai avuta una. Da noi il mercato non esiste. Esiste solo lo scambio, libero e solidale.
G: sembra che viva in un mondo perfetto.
A: il nostro è un mondo cordiale. Difatti, dica a Spielberg e a tutti gli altri registi che noi non siamo così spietati! E siamo anche più belli
G: beh, in effetti smonta un po’ lo stereotipo dell’alieno, con quella faccia da James Dean… Ragazze, questi alieni non sono niente male!
A: grazie del complimento, anche voi terrestri siete carine. E c'è un'altra cosa che mi piace del vostro pianeta.
G: e quale?
A: il calcio. Seguo le vostre partite di calcio su Galactic Channel.
G: ah sì? E per chi tifa?
A: non posso dirlo…
G: suvvia, signor alieno! Non vorrà deludere le ragazze terrestri!
A: d’accordo. Tengo per l'Udinese.
G: oh, ne saranno contenti in Friuli! E gli Europei li guarda?
A: sì, ho tifato Grecia. Poverina, con questo denaro è proprio messa male…
G: da voi non esistono i tornei fra nazioni?
A: da noi non esistono bandiere.
G: avete una religione?
A: certo, e mi sa che il Dio è lo stesso… solo non capisco perché voi abbiate anche delle guerre religiose. Dalle mie parti se non si è d’accordo si discute assieme, mica ci si tira le bombe!
G: cosa vuole, siamo terrestri. Qualche suggerimento?
A: avete dei paesaggi bellissimi, delle lingue favolose, degli artisti fenomenali, dei quadri che da nessun'altra parte dell'universo Provate a valorizzare la vostra cultura e lasciate perdere i giochini con le monete.
G: quali giochini?
A: mah, stamattina ho visto dei tizi infilarsi nei bar a infilare monetine in bizzarre scatole metalliche… e altri tizi vestiti da pinguini che investono, comprano e vendono dei titoli che nemmeno si possono toccare.
G: allude a gioco d’azzardo e gioco in borsa.
A: bella roba. E perché truccate le partite di calcio? Che senso ha rovinare uno spettacolo così bello come lo sport? 
G: un alieno col senso dell'eticavuol lasciare un ultimo messaggio ai terrestri?
A: sì. Noi non siamo i Visitors e non siamo qui per distruggervi. Non abbiate paura, gli unici che possono farvi del male siete voi.

Greenpolis e Darkpolis

IL CORRISPONDENTE DA GREENPOLIS
Più la guardo e più me ne innamoro. Questa città verde e fiorente vive nel cuore immenso dogni suo cittadino. 
Greenpolis è la mia città, e vorrei lo fosse per sempre.

Armonia e dialogo sono ciò che il mondo ci invidia. I turisti affollano i nostri viali, verdi e disarmanti. 
Qui ogni persona ha il diritto di svolgere un lavoro dignitoso, equamente remunerato, con una tutela sindacale vigile su ogni settore e categoria.
I politici non sono che meri funzionari del popolo, reggenti temporaneamente un potere che non è loro ma di cui dispongono per far le veci degli elettori stessi. Chi prova a fare il furbo viene immediatamente pressato dalla stampa, libera e critica, feroce quando serve per mettere al corrente i cittadini circa il comportamento dei loro rappresentanti. Noi greenpolisiani applichiamo la cosiddetta democrazia partecipativa in maniera totalizzante, protestando e scioperando appena annusiamo il minimo odore di ingiustizia.
La polizia svolge una funzione di attenzione ai cittadini, giacché sono rari i casi di interventi per fermare aggressori o vandali.  Nessuno qui ha motivo per distruggere. 
Noi greenpolisiani amiamo spostarci in bicicletta, in tandem, con i mezzi pubblici oppure a piedi. L’auto viene utilizzata solo da chi ne ha davvero bisogno, e comunque molte delle vetture in circolazione sono elettriche. 
I senzatetto sono scomparsi da qualche anno. Chi resta disoccupato percepisce un sussidio statale con assistenza obbligatoria da parte dell’agenzia del lavoro. Anche i detenuti lavorano, grazie agli appositi programmi di riabilitazione a loro riservati.
La scuola è il progetto centrale di Greenpolis: sull’istruzione vengono investiti milioni e milioni affinché le generazioni future dispongano di tutti i mezzi necessari per affrontare la vita. La scuola è pubblica e propositiva. I metodi dinsegnamento sono efficaci, la formazione dei docenti, del resto, è eccellente. Oltre alle lezioni gli allievi godono di svariate attività: dallo sport alla musica, dall’arte ai laboratori, dalle gite alla ginnastica mattutina. Anche la nostra università è un fiore allocchiello; le menti più brillanti hanno la possibilità di proporre, studiare, sperimentare in qualunque campo purché ne siano meritevoli.
Se si ha un’idea, e se è una buona idea, le porte sono spalancate, senza bisogno di credenziali di nessun tipo.
La squadra nazionale greenpolisiana è un modello per tutto il mondo sportivo: gli atleti sono corretti e votati alla fatica. Difatti primeggiamo in diverse discipline…
Gli artisti sono liberi di esprimersi e di vivere delle loro opere con un corrispettivo equo; sono lavoratori esattamente come gli altri.
Noi greenpolisiani siamo un popolo di mentalità aperta (ospitali e cortesi verso gli stranieri) e siamo anche lettori voraci: divoriamo i libri. Quando incontriamo un problema siamo soliti tirarci su le maniche puntualmente cè poi un vicino/parente/amico/passante pronto a porgere una mano!
La famiglia è un’istituzione forte, funzionante ma qui anche gli omosessuali possono vivere serenamente, fintanto che vigeranno rispetto, solidarietà e dialogo.



IL CORRISPONDENTE DA DARKPOLIS

Più la guardo e più mi addoloro. Questa città tetra e arida vive della rabbia dogni suo non-cittadino. 
Blackpolis è la mia città, ma vorrei non lo fosse.

Violenza e discordia sono ciò che mostriamo al mondo. I giornalisti stranieri affollano i nostri viali, feriti e spenti. 
Qui nessun soggetto ha il diritto di svolgere un lavoro dignitoso, equamente remunerato, e non esiste alcuna tutela sindacale.
I politici non sono che oppressori del popolo, reggenti un potere che tendono ad allargare e diluire il più possibile, sfociando in comportamenti dittatoriali. Chi prova a fare l’onesto viene divorato dal suo stesso partito e persino infangato dalla stampa, schiava e parziale, feroce quando serve a massacrare qualcuno. I blackpolisiani non sono interessati alla democrazia, si lasciano cullare e manovrare a piacimento dei potenti in maniera totalizzante, protestando e scioperando solo quando mancano pane e partite in TV.
La polizia -insieme all’esercito e ai vari corpi militari- svolge una funzione di controllo dei cittadini, giacché sono plurimi e all’ordine del giorno i casi di interventi per sedare aggressori, piromani, vandali. Ogni motivo qui è buono per distruggere.
Qui in pochi si spostano in bicicletta o coi mezzi pubblici. Molti preferisco lauto a prescindere dal bisogno, e questo produce spesso grossi ingorghi in qualsiasi orario nonché incidenti, anche banali, perché dettati dal nervosismo e dalla fretta degli automobilisti.
I senzatetto sono in costante aumento. Chi resta disoccupato non percepisce nulla e spesso è candidato a passare allo status di senzatetto. I detenuti vengono ammassati nelle carceri, in una spirale di ozio, violenza e desolazione. Chi esce da lì diventa poi davvero pericoloso.
La scuola è il non-progetto per eccellenza di Blackpolis: sull’istruzione vengono investiti pochissimi soldi affinché le generazioni future non dispongano dei mezzi necessari per affrontare la vita e rimangano  il più possibile ottusi. La scuola pubblica cade a pezzi, i metodi dinsegnamento sono mediocri, la formazione dei docenti, del resto, è decisamente  imbarazzante. Oltre alle lezioni gli allievi non godono di nessunaltra attività. Anche luniversità è allo sfascio; le menti più brillanti non hanno la possibilità di proporre, studiare, né sperimentare in nessun campo, nemmeno se ne sono meritevoli.
Se si ha un’idea, e se è una buona idea,  le porte rimangono ben sprangate. A meno che non si ricorra a mezzi scorretti.
La squadra nazionale è un modello negativo per tutto il mondo sportivo: gli atleti sono scorretti, arroganti e votati a vizi e denaro. Difatti primeggiano in diverse copertine…
Gli artisti sono impossibilitati desprimersi e di vivere delle loro opere. Se fanno arte, fanno del volontariato.
I blackpolisiani sono un popolo di razzisti (inospitali e xenofobi verso gli stranieri) e anche un popolo di pigri: si lasciano divorare da programmi TV e videogiochi. Quando incontrano un problema sono soliti lamentarsi e arrabbiarsie mai una volta che ci fosse un vicino/parente/amico/passante pronto a porgere una mano!
La famiglia è un’istituzione messa a dura prova, tra crisi economiche ed umane… figurarsi se qui gli omosessuali possono vivere serenamente, fintanto che vigeranno disprezzo, rabbia e diffidenza.

Ecco, ora trovate le 7 piccole differenze tra Greenpolis e Darkpolis!


Fuori campo

Con grande piacere oggi pubblico un racconto ambientato a Porta Palazzo...

Testo elaborato durante il corso di Storytelling a cura della Scuola Holden per Parole e Nuovi Sguardi per Porta Palazzo - un progetto HoldenArt

nell'ambito del bando Generazione Creativa della Compagnia di San Paolo. 

docente: Emiliano Amato.

tema del racconto: religione.

Gli autori di Fuori campo sono: 
Roberto Mautino, Giulia Muscatelli, Chiara Dolza, Barbara Gandolfi, Elisa Cugliandro e Antonio Calianno.


FUORI CAMPO
Finalmente è domenica. Una giornata di fine maggio calda e luminosa che sembra giugno.
Conclusa la passeggiata quotidiana con Pimpa, la mia cagnetta, decido di uscire di nuovo in cerca di fresco e ombra. Il mio palazzo con vista Dora per tutta l’estate sarà invivibile, anche quest’anno, a causa dell’afa e dell'umidità che sale dal fiume.
Oggi sono solo. Mia moglie ha il turno al bar, quindi posso prendermela comoda e fare quel che voglio. Sorseggio con calma un tè fresco alla menta al bar del mio amico Samir e poi mi avvio. Senza il mercato il quartiere è più tranquillo e più veloce da attraversare, penso, anche se meno profumato e colorato.
Quando ci siamo trasferiti, ormai quattro anni fa, ci siamo subito innamorati del mercato di Porta Palazzo. I banchi all’aperto, i contadini, la possibilità di trovare in pochi metri quadrati frutta, verdura, carne, pesce, vestiti, scarpe, spezie, prodotti etnici, profumi, oggetti utili e oggetti inutili ci hanno conquistato. Abituati ai supermercati dell’interland milanese ci siamo convertiti senza problemi al mercato di quartiere.
Proseguo con calma la mia passeggiata e, arrivato nei pressi di piazza della Repubblica, scopro con sorpresa che è invasa da decine di persone, banchetti, musica e, qua e là, qualche artista di strada in cerca di attenzione.
Cerco di avanzare tra la folla e superarla quando ad un certo punto sono attirato da un vociare per me inconfondibile che proviene da un angolo della piazza: quello di una partita di calcio. Mi avvicino ancora un po’ e ne ho la conferma; per di più scopro che si tratta di una partita tutta al femminile. Le giocatrici avranno quattordici o quindici anni e rincorrono il pallone su quel campo improvvisato con l’entusiasmo della loro età.

“Oh Dio grande e misericordioso veglia sulla mia famiglia. Permetti loro di vedere la tua luce ed illumina il loro cammino. Inshallah”.
Aveva pregato lì, incurante della folla, rivolta verso la Mecca come di consueto.
Con la sua lunga tunica coloro cachi, il capo coperto da un velo beige e le mani rosse d’henne, destava curiosità tra gli spettatori della partita.
Aveva faticato a trovare la concentrazione giusta per la sua preghiera perché tutto ciò che la circondava non era d'alcun aiuto.
Le pupille dilatate di un gruppo di maschi adolescenti seduti su squallide sedie arancioni lasciavano trasparire che i loro giovani ormoni fossero ormai in piena attività.
Si sentiva un forte odore di sudore.
Trenta gradi a maggio sembrano quaranta se è da otto ore che non bevi.
Maschi che osservano femmine giocare a calcio.
Mancanza di moralità e di regole.
“Queste figlie cresciute a merendine e televisione saranno il male di chi verrà dopo di noi”.
“Che Dio grande e misericordioso vegli sulla mia Sarah”.
Un vecchio canuto osservava la sua bambina, così diversa dalle altre, correre. La sua dolce nipote correva.
Donne a giocare. Uomini a osservare. Non vi era logica in tutto ciò.
Sarah correva con indosso quei pantaloncini che regalavano troppo di lei agli sguardi e ai pensieri. Quei pantaloncini  di poliestere blu erano un invito all’oltraggio e a nulla serviva il velo amaranto che avvolgeva i suoi lunghi capelli neri.
“Le nostre donne devono essere un esempio di rettitudine: preghiera, famiglia e lavoro.
Dio grande e misericordioso metti fine a questo scempio”.

Simone aveva programmato tutto. La partita sarebbe iniziata per l’una, e lui sarebbe arrivato all’una e mezza. A mezzogiorno doveva passare a ritirare i panini.
Uscì di casa in largo anticipo. Aveva ancora addosso l’adrenalina della sera prima; lei, la ragazza con il viso incorniciato di stoffa amaranto, con in mezzo due occhi che esplodevano di blu, lei, Sarah, l’aveva baciato. Chissà come sarebbe stato il loro matrimonio, Simone non aveva dubbi, per lei sarebbe anche entrato in una loro chiesa e sì, si sarebbe anche messo le ciabatte con la punta.
C'aveva messo un po' per fare colpo su Sarah, ma lei negli ultimi tempi era strana, rifiutava sempre la merenda che lui le offriva con gli occhi ad ogni intervallo, e dopo scuola non andavano più insieme a mangiare il gelato. Diceva di fare il ramadan, tipo un periodo che non puoi mangiare di giorno. O almeno cosi aveva letto Simone su Wikipedia.
Lui non ne coglieva il senso, ma certo non credeva alle parole di suo padre quando diceva che quelle donne là con il velo erano tutte uguali: “vuote e frigide”. Che poi, Simone, cosa ‘frigide’ volesse dire, neanche lo capiva. “Te la vuoi sposare?” chiedeva suo padre sghignazzando. “No perché se te la sposi devi diventare pure tu come lei…” Simone ascoltava con un orecchio solo; “Che c’entra? Perché lei com’è?” “Me lo immagino mio figlio in camicia da notte al matrimonio… Bella roba…” E suo padre continuava a ridere. Simone non rideva, ma neanche lo trovava un problema, Sarah era così. A volte non mangiava di giorno e da un po’ non le si vedevano più i capelli. Per lei la sua religione era importante. Simone alla religione non ci pensava. Simone pensava solo a Sarah.
L’importante per lui adesso era sapere che lei era interessata. La sera prima si erano lasciati a fatica, però, lui le aveva promesso che il giorno dopo le avrebbe portato il pranzo a fine partita. “Non posso mangiare Simo!” aveva detto lei tenendogli la mano. “Manzo e maionese, niente prosciutto, come piace a te!” e così dicendo aveva cercato di fregarle un altro primo bacio.
Simone in bici rubava tutto il vento che poteva, cercava di riportare alla mente la notte prima, senza dimenticare nessun particolare. Smise di sognare solo una volta arrivato in Via Priocca alla panetteria da Loubna. Alla fine aveva preso panini per tutta la squadra, sapeva che Sarah non sarebbe stata gelosa delle altre. Se ne fece incartare uno con la carta colorata, mise tutti gli altri color alluminio nel sacchetto e uscito prese l’unico diverso, il più prezioso e con un pennarello portato da casa ci scrisse sopra ‘Spero ti torni la fame, ti penso, Simo’.
Arrivato alla piazza cercò di farsi spazio tra la folla, in una mano il sacchetto nell’altra il panino con la carta colorata. C'era un gran vociare, applausi, grida, incitamenti, ma Simone non sentiva nulla. Cercava Sarah tra le altre. E la trovò. Non fu difficile; l’unica a giocare con un velo che le copriva i capelli. Come le altre invece, pantaloncini che le scoprivano le cosce. Simone non trovò nulla di ridicolo in quel disaccordo tra gambe e testa, tra celato e rivelato, piuttosto qualcosa di stupendo.

Fine primo tempo.
Benyamin è aggrappato alle transenne a bordo campo.
Beve una lunga sorsata senza mollare con lo sguardo sua sorella che si dirige verso la panchina.
Bevo anch’io.
E beve tutta la squadra di calcetto dello Steiner che oggi è qui, nell’intervallo del primo tempo, in finale.
Acqua, Gatorade, the freddo, Coca, latte di mandorla. “Vuoi un po’?” “Bevi piano che poi stai male.” “Ancora?” “Ecco, così ti riprendi che hai sudato.”
Sarah fa stretching. Fa, soprattutto, finta di niente.
Ora tira fuori il cellulare dalla sacca per controllare se intanto le è arrivato qualche messaggio. Si china a slacciarsi e riallacciarsi le scarpe. Aggiusta i parastinchi. Sarah ha le labbra secchissime su un volto paonazzo e incorniciato da due bande di stoffa amaranto.
Mia figlia mette il velo.
La nostra famiglia sta recitando la commedia del fervore religioso in occasione dell’arrivo della nonna. Ognuno fa la sua parte: una folta barba Josef, calendario del Sanpaolo sostituito con uno del 1433, Ben ha tirato fuori le fiabe in arabo e Sarah mette il velo.
Quando è apparsa in soggiorno Beppe ha detto che era abbastanza.
Che farsa idiota.
Che tanto valeva che Behira si mettesse il cuore in pace una volta per tutte e si rassegnasse a un figlio emigrato, una nuora atea e dei nipoti italiani.
Sarah ha detto “Per una volta che viene.”
E noi abbiamo esitato.
“E poi cosi provo sto Ramadan.”
Il suo tono era gentile ma fermo. Come una donna che ha solo quattordici anni.
La capisco. Alla sua età avrei fatto lo stesso. La guardo e sono orogogliosa di lei.
Però.
Però mi si secca la bocca per questo pomeriggio afoso e per le labbra aride di Sarah che non beve dalle 5.20.
La canicola opprime di più dopo un’intera settimana di Ramadan.
Ben finalmente la raggiunge. Si sbraccia, cinguetta garrulo ed eccitato e con trasporto le porge la sua borraccia.
Per un bambino di tre anni tutto è intermittente e il Ramadan non fa eccezione.
Sarah sorride e gli scompiglia i ricci.
Non sente nemmeno il bisogno di rifiutare l'offerta del fratello.
Quella borraccia è come non appartenesse a questa dimensione. Un’allucinazione. Un trucco.
Cerca di attraversarla con lo sguardo.
Ma che ci vuoi fare, è una borraccia di nalgene blu e per quanto lei faccia finta che non esiste, quella rimane imperterrita lì.
Mi chiedo se devo intervenire, se devo dire a Sarah che è ora di bere, se la mia preoccupazione deve imporsi sulla sua scelta.
Ma resto a guardare.
Sto dietro alle transenne. Nel fuori campo.
Mi mangio le unghie ma questa è la sua partita.
E sta ri-iniziando.

Ci tenevo.
Dio, quanto tenevo a quella partita! Affamata di vittoria.
Eppure stavamo perdendo, a causa di un gol sciocco subìto nei minuti iniziali. E Sarah? Lenta e spossata per tutto il tempo. Proprio lei, quella su cui tutte puntavamo. Purtroppo per la squadra però, Sarah proprio oggi aveva deciso di onorare puntigliosamente i precetti islamici.
Ovvio, da capitano, disapprovavo.
Mancava poco all’inizio del secondo tempo. Mentre mi avviavo al campo, ripensai a quanto successo nel pre-partita.
C’eravamo trovate tutte davanti a The Gate, che ci aveva concesso i locali a mo’ di spogliatoio. Ma quando era arrivata Sarah, avevo sgranato gli occhi. Santo cielo, Santi tutti, aveva il velo! Il velo vero! Le avevo chiesto subito spiegazioni, non l'avevo mai vista così. “Sarah, mica vorrai giocare con quell’affare? Dai, è la finale! Non avrai una buona visione di gioco!”
“Il velo non mi darà nessun fastidio. Sai, sto facendo il Ramadan e...”
A quel punto mi ero arrabbiata sul serio. “Il Ramadan? Perché? Perché devi digiunare? A quale scopo?”
“Senti un po’, se fosse venerdì Santo lo faresti tu, il digiuno!” mi aveva risposto lei. Sì, però il digiuno del venerdì Santo dura un solo giorno...
Provai a concentrarmi sul secondo tempo che stava ricominciando, non senza un sottile velo (è proprio il caso di dirlo) di preoccupazione: Sarah non aveva bevuto nemmeno un goccio d’acqua durante l’intervallo. Porgerle la borraccia sarebbe stato inutile. Ma ci provai ugualmente. “Dai, bevi solo un piccolo sorso!”
“No. Berrò quando sarà calato il sole.”
“Sarah, per piacere! Nel primo tempo non ne hai beccata una, almeno togliti ‘sto velo!”
Lei si portò le mani sul capo e se lo sistemò meglio.
Fischio d’inizio. Irritata dallo svantaggio e dalla situazione, partii in avanti, palla al piede. Mi lanciai sulla fascia, poi crossai. Sarah finalmente fece uno scatto dei suoi e si precipitò in area di rigore. Era l'occasione giusta per pareggiare. Seguii con lo sguardo la traiettoria della palla che si avvicinava alla testa di Sarah.

“Questo quartiere non è più lo stesso, amico! Ma quanto urlano questi ragazzini!?”
“Sempre a lamentarti Liu! Neanche voi siete più gli stessi! Dove sono i cinesi col sorriso in faccia, eh? Giorno e notte sempre col sorriso. E poi qui strilliamo tutti, sempre, anche tu!”
“Sì, ma noi lo facciamo per lavoro. Dobbiamo lavorare Peppe! Non possono obbligarci a chiudere per mezza giornata. Ogni giorno ce n’è una diversa: ieri il circo, oggi la partita, domani chissà cosa si inventeranno. E noi? Quando lavoriamo?”
“Sempre con quest’ansia di lavorare! E goditi la partita mo’! Rilassati un po' e vedi che so’ brave queste ragazze!”
“Sì, saranno brave però urlano troppo, non le sopporto...”
Non bastò il tempo per terminare l’ennesima lamentela che Liu e Peppe furono paralizzati da un evento che sembrava avere tutte le virtù per essere ricordato come paranormale.
“Senti Liu!”
“Sccccchh...”
Il gocciolìo della fontana appena accennato dialogava con il cigolio della finestra al secondo piano, il fruscio di un sacchetto di carta portato dal vento si accompagnava al suono di un campanello in lontananza. Per la prima volta i due commercianti assistevano al surreale chiacchiericcio degli oggetti nella piazza, solitamente celato dalle voci diurne delle migliaia di presenze che occupavano quel suolo.
“Si sono fermati tutti...” bisbigliò Peppe col premuroso intento di non guastare la magia.
“Cos’è? Forse un miracolo?” rispose Liu, adeguandosi volentieri al tono dell’altro.
“Non lo so, non ho mai visto un miracolo ma c’è una ragazza stesa a terra. Iniziano così i miracoli?”

Da qui si vede bene la piazza.
Scorribande di bambini entusiasti, di passanti incuriositi e accaldati, di padroni a passeggio coi loro cani. Là, ecco i commercianti confabulare su quanto accaduto poco fa; ecco la sorte di una finale in bilico destinata a rimanere così. Sospesa.
Giocatrici ferme e distese formano un mosaico multicolore. Al centro, ancora avvolta nel suo velo amaranto, Sarah, e tutte le altre disposte attorno a lei, in una sublime geometria di volti e corpi. Attorno la gente è prima sgomenta, poi sorpresa. E adesso pare quasi divertita. Della partita non si cura più nessuno. Hanno fermato il tempo. Hanno sovvertito le regole. Hanno preferito sdraiarsi e tacere, le ragazze. Un bambino sta entrando proprio ora in campo per sdraiarsi pure lui, e proseguire così il mosaico.
Come si vede bene tutto questo da quassù.


INCONTRO FINALE DEL CORSO (GRATUITO E APERTO AL PUBBLICO):
GIOVEDI' 21 GIUGNO ore 18.30 Cortile del Maglio
http://www.holdenart.it/eventi/parole-e-nuovi-sguardi-per-porta-palazzo


Ca-u-tautrice

Ieri avevo in programma le "solite" cose da fare: comporre una nuova poesia, avanzare il lavoro sul romanzo e spedire curricula per i quattro angoli della galassia. E invece. Scrivo una nuova canzone.
Sapevate ch'ero cantautrice? No? Nemmeno io.
Ca-u-tautrice, in verità. Perché tanta prudenza è necessaria in questa fase, dove l'entusiasmo potrebbe trasformarsi in avventatezza. Ma non le ho scritte per me queste canzoni... Pertanto sì, saranno presto vostre. Presto... relativamente! I mezzi sono quelli che sono ;)
Eppure i presupposti per comporre non li ho mai posseduti. Mai avuta una band, mai suonato uno strumento prima dei XXV anni, mai avuto una voce soul. Insomma, non era roba per me. Appunto...

Ma ricordo bene, a 17 anni scrivevo dei testi. Rap. Già, non sapevo suonare alcuno strumento allora. Però la penna girava, eccome! E ricordo, componevo dei versi che mai ho capito se fossero canzoni o poesie... Mah...
A 22 anni mi capitò l'occasione per comporre un brano rap in inglese. Sebbene l'episodio rimase circoscritto, pensai: ma se in un'ora riesco a tirare giù dei versi in chiave american rap, cosa potrei fare se solo conoscessi la musica?
Per molto tempo restai in stand-by. Eppure in famiglia mio padre scriveva canzoni, mio cugino pure, mia cugina era (ed è tuttora) una grandissima interprete... Tutti canterini, tutti strumentisti, perfino compositori... E allora dai, è una questione genetica!
Come sempre arrivo tardi alle cose. Ma ci arrivo. Decisi ad un certo punto di intraprendere una formazione musicale, quasi si trattasse di un istinto che non si può ignorare. Formazione un poco in salita se sei una mancina che decide, di botto, a 25 anni, di impugnare la chitarra (al contrario...) e la musica. Mesi di teorie ed esercizi col buon mastro Fabio, questi accordi e queste scale che non sembrano riuscire... Finché cominciano a capitare cose (im)prevedibili. Ecco che mi scappa una canzone, rap.
Durante l'inverno scrivo "Be born again" che proprio rap non è: introspettiva, struggente. Insomma, roba grossa per me. Pochi giorni dopo, eccone un'altra. E poi un'altra ancora...
La creatività esplode. Accidenti, e mo' che faccio?!
Sono fortunata. Il mio amico chitarrista Marco si offre di fare degli arrangiamenti, giacché le mie canzoni non sono che brani acustici solo voce e chitarra classica. Io frattanto mi getto su un altro strumento: la batteria. Anche il mastro Marcello mi butta nella mischia selvaggia di spartiti e letture e rognosi esercizi per le mani e i polsi, aprendomi un mondo nuovo. Ma la strada è bella lunga, ancora.
E tra un solfeggio e l'altro, prendo coscienza della situazione.
La realtà è che scrivo canzoni.
Non sono e mai sarò una cantante, per carità. Ma sono cantautrice o qualcosa del genere. Cautautrice, me lo concedete?
Non importa come andrà a finire, magari niente di che, però quanto mi fa stare bene...
Ogni canzone che scrivo è una piccola finestra che lenta s'apre e chissà quel che ognuno vi vedrà attraverso.
Molto presto. 

Dieci buoni motivi per passare alle due ruote

Andare in bici conviene perché...
1. Ti porta dove vuoi. Gratis.
2. Nessuna revisione né assicurazione da pagare.
3. Se passi dalle quattro alle due ruote, presto ti dimenticherai dell'incubo nontrovomaiparcheggioneancheapagarlo.
4. L'unica benzina di cui hai bisogno è il tuo sudore. A meno che non compri un tandem, ti metti dietro e lasci pedalare la persona davanti a te...
5. Andare in bici è un po' come guidare e fare palestra contemporaneamente. E poi, la vera fatica non è pedalare, bensì interpretare le intenzioni degli automobilisti...
6. In salita ti fai fiato e muscoli, e in discesa ti rilassi (relativamente: ci sono sempre quei 6-7 pedoni refrattari al suono del campanello da scansare).
7. Code? Pfff... Lasciale agli altri: con la tua graziella fuoriserie puoi comodamente scorrere a destra beffandoti di suv, wolskwagen e peugeot vari!
8. Pioggia? Pfff.... dettagli. A meno che tu non sia appena stata dal parrucchiere.
9. Ladri di biciclette? Munisciti di doppio lucchetto: se proprio devono rubartela, che se la sudino!
10. Una volta che ne cogli la magia, non la molli più. Provare per credere.

PS: una roba proprio da evitare è tenere le cuffie nelle orecchie mentre si va in bici: esistono tanti altri momenti per ascoltare la musica, in strada è sempre meglio essere vigili e attenti!


ASSOCIAZIONE MUOVI EQUILIBRI: http://muoviequilibri.blogspot.it/

21 juin


Ecco qui una delle mie poesie storiche, leggermente restaurata per l'occasione; composta in due lingue esattamente 3 anni fa, in terra bretone, ricorre per me in ogni splendido solstizio d'estate. 
(Tanto ormai ci siamo quasi ;)

Ecco il sole salire lento
a scaldare una mattina quieta che adesso ancora tace
dopo ogni mattina a sole spento.
E guardare il verde acceso del prato, e la luce
filtrare e battere sugli alti alberi
dopo ogni scorcio verde stanco e sparso.
E sentire il vento e il sale del mare, veri e intensi
spirare su di me che accarezzo la sabbia così fine
parte di un raro silenzio
che insegna ad ascoltare il lieve rumore delle onde
dopo il rumore stonato dell'asfalto.
Ecco il volo dei gabbiani su una città di mare
dopo il posarsi di un passerotto sulla mia grigia finestra.
E l'aria che sa di aria, così forte che
quasi non t'accorgi di respirarla
dopo il respiro affannoso per le affollate vie.
E il freddo dell'acqua di mare, così a Nord
dopo il freddo dentro e fuori di me.
E le rondini che volando in cielo
inseguono l'ultimo sole in un solstizio d'estate
così come io ho inseguito questo sogno
e per farlo ho dovuto trovare il coraggio di volare.
E ora che la luce più non è, e il buio è già qui...
Uscirò fuori
a cercare stelle.

Voilà le soleil monter lent
à chauffer un matin calme, qui maintenant encore tait
après chaque matin à soleil éteint.
Et regarder le vert du pré, et la lumière
filtrer et battre sur les hautes arbres
après chaque raccourci fatigué et épars .
Et sentir le vent et le sel marin, vrai et intenses
respirer sur moi qui caresse la sable comme ça fin
partie de un rare silence
qui enseigne à écouter le léger bruit des ondes
après le bruit qui chante faux de l'asphalte.
Voilà le vol des mouettes sur une ville maritime
après  un petit moineau que s'est posé sur ma grise fenêtre.
Et l'air qui sente d'air, comme ça fort que
presque on apercevait pas de la respirer
après le souffle essoufflé pour les bondes routes.
Et le froid de l'eau de mer, comme ça à Nord
après le froid à l'intérieur et au dehors de moi.
Et les hirondelles qui en volant en ciel
poursuivent le dernier soleil dans un solstice d'été
pareil à moi, qui j'ai poursuivi ce rêve
et pour le faire j'ai dû trouver le courage de voler.
Et maintenant que la lumière plus n'est, et le noir c'est déjà ici ...
J' irai dehors
à chercher d'étoiles.

la grinta di Sara


Piccola, grande Sara.
25 anni e una grinta che solo una romagnola può mettere in campo. Già. La tua storia mi fa pensare. Che come al solito questo Paese abbia deciso di non scommettere, di non credere in un potenziale talento qual eri tu, fin da giovanissima. Ma tu hai coltivato il tuo sogno, con pazienza e duro lavoro, in Spagna.
Ed eccoti ora onorare la tua patria, avanzando fra l'olimpo delle grandissime del tennis, eccoti divorare terra rossa fino a giungere alla finale. Anzi, alle finali.
Vinci il doppio con Roberta Vinci, contro la coppia russa Petrova-Kirilenko, mica due qualsiasi!
Vinci il doppio, dopo aver battuto la Stosur nel singolare ed esserti guadagnata la finale. Vinci e lo dedichi alla tua terra romagnola, resa grigia dalle macerie. Pretendi che Roberta rimanga a Parigi per sostenerti, insieme ai tuoi familiari, nel match che vale il titolo contro la numero uno al mondo del tennis: Maria Sharapova. La russa è reduce da un torneo perfetto, in cui ha dominato le avversarie. Sulla carta non c'è storia. E infatti.Vince lei.
Resisti un'ora e mezza sotto ai colpi della rivale, la numero uno, resisti con classe e onore. Non molli mai. Sugli spalti la gente lo coglie e ti applaude, ti incoraggia, ti dedica cori. Sono tutti per te.
E poi, non sempre conta la vittoria. Quella grinta che ti contraddistingue ti porterà lontano, ci scommetto. Per ora sei la numero dieci al mondo, ma poco importano i numeri quando ti giochi le emozioni...
Altre sfide ti attendono. Wimbledon, US Open, Londra per i giochi olimpici. Contagia con la tua grinta tutto l'Italtennis. Contagiali con la tua determinazione!

Una scalata così imprevedibile nel prestigioso Roland Garros sa di gustosa rivincita per te, Sarita. Se in futuro scriverò una storia su uno sportivo mi ispirerò a te, che conosci la fatica e che, ci scommetto, nonostante i clamori rimarrai sempre te stessa.

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