Con grande piacere oggi pubblico un racconto ambientato a Porta Palazzo...
Testo elaborato durante il corso di Storytelling a cura
della Scuola Holden per Parole e Nuovi Sguardi per Porta
Palazzo - un progetto HoldenArt
nell'ambito del bando Generazione Creativa della
Compagnia di San Paolo.
docente: Emiliano Amato.
tema del racconto: religione.
Gli autori di Fuori campo sono:
Roberto Mautino, Giulia Muscatelli, Chiara Dolza, Barbara Gandolfi, Elisa Cugliandro e Antonio Calianno.
Finalmente
è domenica. Una giornata di fine maggio calda e luminosa che sembra giugno.
Conclusa
la passeggiata quotidiana con Pimpa, la mia cagnetta, decido di uscire di nuovo
in cerca di fresco e ombra. Il mio palazzo con vista Dora per tutta l’estate
sarà invivibile, anche quest’anno, a causa dell’afa e dell'umidità che sale dal
fiume.
Oggi
sono solo. Mia moglie ha il turno al bar, quindi posso prendermela comoda e
fare quel che voglio. Sorseggio con calma un tè fresco alla menta al bar del mio
amico Samir e poi mi avvio. Senza il mercato il quartiere è più tranquillo e
più veloce da attraversare, penso, anche se meno profumato e colorato.
Quando
ci siamo trasferiti, ormai quattro anni fa, ci siamo subito innamorati del
mercato di Porta Palazzo. I banchi all’aperto, i contadini, la possibilità di
trovare in pochi metri quadrati frutta, verdura, carne, pesce, vestiti, scarpe,
spezie, prodotti etnici, profumi, oggetti utili e oggetti inutili ci hanno
conquistato. Abituati ai supermercati dell’interland milanese ci siamo
convertiti senza problemi al mercato di quartiere.
Proseguo
con calma la mia passeggiata e, arrivato nei pressi di piazza della Repubblica,
scopro con sorpresa che è invasa da decine di persone, banchetti, musica e, qua
e là, qualche artista di strada in cerca di attenzione.
Cerco
di avanzare tra la folla e superarla quando ad un certo punto sono attirato da
un vociare per me inconfondibile che proviene da un angolo della piazza: quello
di una partita di calcio. Mi avvicino ancora un po’ e ne ho la conferma; per di
più scopro che si tratta di una partita tutta al femminile. Le giocatrici
avranno quattordici o quindici anni e rincorrono il pallone su quel campo
improvvisato con l’entusiasmo della loro età.
“Oh
Dio grande e misericordioso veglia sulla mia famiglia. Permetti loro di vedere
la tua luce ed illumina il loro cammino. Inshallah”.
Aveva
pregato lì, incurante della folla, rivolta verso la Mecca come di consueto.
Con
la sua lunga tunica coloro cachi, il capo coperto da un velo beige e le mani
rosse d’henne, destava curiosità tra gli spettatori della partita.
Aveva
faticato a trovare la concentrazione giusta per la sua preghiera perché tutto
ciò che la circondava non era d'alcun aiuto.
Le
pupille dilatate di un gruppo di maschi adolescenti seduti su squallide sedie
arancioni lasciavano trasparire che i loro giovani ormoni fossero ormai in
piena attività.
Si
sentiva un forte odore di sudore.
Trenta
gradi a maggio sembrano quaranta se è da otto ore che non bevi.
Maschi
che osservano femmine giocare a calcio.
Mancanza
di moralità e di regole.
“Queste
figlie cresciute a merendine e televisione saranno il male di chi verrà dopo di
noi”.
“Che
Dio grande e misericordioso vegli sulla mia Sarah”.
Un
vecchio canuto osservava la sua bambina, così diversa dalle altre, correre. La
sua dolce nipote correva.
Donne
a giocare. Uomini a osservare. Non vi era logica in tutto ciò.
Sarah
correva con indosso quei pantaloncini che regalavano troppo di lei agli sguardi
e ai pensieri. Quei pantaloncini di poliestere
blu erano un invito all’oltraggio e a nulla serviva il velo amaranto che
avvolgeva i suoi lunghi capelli neri.
“Le
nostre donne devono essere un esempio di rettitudine: preghiera, famiglia e
lavoro.
Dio
grande e misericordioso metti fine a questo scempio”.
Simone aveva programmato tutto. La
partita sarebbe iniziata per l’una, e lui sarebbe arrivato all’una e mezza. A
mezzogiorno doveva passare a ritirare i panini.
Uscì di casa in largo anticipo. Aveva
ancora addosso l’adrenalina della sera prima; lei, la ragazza con il viso
incorniciato di stoffa amaranto, con in mezzo due occhi che esplodevano di blu,
lei, Sarah, l’aveva baciato. Chissà come sarebbe stato il loro matrimonio,
Simone non aveva dubbi, per lei sarebbe anche entrato in una loro chiesa e sì,
si sarebbe anche messo le ciabatte con la punta.
C'aveva messo un po' per fare colpo su
Sarah, ma lei negli ultimi tempi era strana, rifiutava sempre la merenda che
lui le offriva con gli occhi ad ogni intervallo, e dopo scuola non andavano più
insieme a mangiare il gelato. Diceva di fare il ramadan, tipo un periodo che
non puoi mangiare di giorno. O almeno cosi aveva letto Simone su Wikipedia.
Lui non ne coglieva il senso, ma certo
non credeva alle parole di suo padre quando diceva che quelle donne là con il
velo erano tutte uguali: “vuote e frigide”. Che poi, Simone, cosa ‘frigide’
volesse dire, neanche lo capiva. “Te la vuoi sposare?” chiedeva suo padre
sghignazzando. “No perché se te la sposi devi diventare pure tu come lei…”
Simone ascoltava con un orecchio solo; “Che c’entra? Perché lei com’è?” “Me lo
immagino mio figlio in camicia da notte al matrimonio… Bella roba…” E suo padre
continuava a ridere. Simone non rideva, ma neanche lo trovava un problema,
Sarah era così. A volte non mangiava di giorno e da un po’ non le si vedevano
più i capelli. Per lei la sua religione era importante. Simone alla religione
non ci pensava. Simone pensava solo a Sarah.
L’importante per lui adesso era sapere
che lei era interessata. La sera prima si erano lasciati a fatica, però, lui le
aveva promesso che il giorno dopo le avrebbe portato il pranzo a fine partita.
“Non posso mangiare Simo!” aveva detto lei tenendogli la mano. “Manzo e
maionese, niente prosciutto, come piace a te!” e così dicendo aveva cercato di
fregarle un altro primo bacio.
Simone in bici rubava tutto il vento che
poteva, cercava di riportare alla mente la notte prima, senza dimenticare
nessun particolare. Smise di sognare solo una volta arrivato in Via Priocca
alla panetteria da Loubna. Alla fine aveva preso panini per tutta la squadra,
sapeva che Sarah non sarebbe stata gelosa delle altre. Se ne fece incartare uno
con la carta colorata, mise tutti gli altri color alluminio nel sacchetto e
uscito prese l’unico diverso, il più prezioso e con un pennarello portato da
casa ci scrisse sopra ‘Spero ti torni la fame, ti penso, Simo’.
Arrivato
alla piazza cercò di farsi spazio tra la folla, in una mano il sacchetto
nell’altra il panino con la carta colorata. C'era un gran vociare, applausi,
grida, incitamenti, ma Simone non sentiva nulla. Cercava Sarah tra le altre. E
la trovò. Non fu difficile; l’unica a giocare con un velo che le copriva i
capelli. Come le altre invece, pantaloncini che le scoprivano le cosce. Simone
non trovò nulla di ridicolo in quel disaccordo tra gambe e testa, tra celato e
rivelato, piuttosto qualcosa di stupendo.
Fine
primo tempo.
Benyamin
è aggrappato alle transenne a bordo campo.
Beve
una lunga sorsata senza mollare con lo sguardo sua sorella che si dirige verso
la panchina.
Bevo
anch’io.
E
beve tutta la squadra di calcetto dello Steiner che oggi è qui, nell’intervallo
del primo tempo, in finale.
Acqua,
Gatorade, the freddo, Coca, latte di mandorla. “Vuoi un po’?” “Bevi piano che
poi stai male.” “Ancora?” “Ecco, così ti riprendi che hai sudato.”
Sarah
fa stretching. Fa, soprattutto, finta di niente.
Ora
tira fuori il cellulare dalla sacca per controllare se intanto le è arrivato
qualche messaggio. Si china a slacciarsi e riallacciarsi le scarpe. Aggiusta i
parastinchi. Sarah ha le labbra secchissime su un volto paonazzo e incorniciato
da due bande di stoffa amaranto.
Mia
figlia mette il velo.
La
nostra famiglia sta recitando la commedia del fervore religioso in occasione
dell’arrivo della nonna. Ognuno fa la sua parte: una folta barba Josef,
calendario del Sanpaolo sostituito con uno del 1433, Ben ha tirato fuori le
fiabe in arabo e Sarah mette il velo.
Quando
è apparsa in soggiorno Beppe ha detto che era abbastanza.
Che
farsa idiota.
Che
tanto valeva che Behira si mettesse il cuore in pace una volta per tutte e si
rassegnasse a un figlio emigrato, una nuora atea e dei nipoti italiani.
Sarah
ha detto “Per una volta che viene.”
E
noi abbiamo esitato.
“E
poi cosi provo sto Ramadan.”
Il
suo tono era gentile ma fermo. Come una donna che ha solo quattordici anni.
La
capisco. Alla sua età avrei fatto lo stesso. La guardo e sono orogogliosa di
lei.
Però.
Però
mi si secca la bocca per questo pomeriggio afoso e per le labbra aride di Sarah
che non beve dalle 5.20.
La
canicola opprime di più dopo un’intera settimana di Ramadan.
Ben
finalmente la raggiunge. Si sbraccia, cinguetta garrulo ed eccitato e con
trasporto le porge la sua borraccia.
Per
un bambino di tre anni tutto è intermittente e il Ramadan non fa eccezione.
Sarah
sorride e gli scompiglia i ricci.
Non
sente nemmeno il bisogno di rifiutare l'offerta del fratello.
Quella
borraccia è come non appartenesse a questa dimensione. Un’allucinazione. Un
trucco.
Cerca
di attraversarla con lo sguardo.
Ma
che ci vuoi fare, è una borraccia di nalgene blu e per quanto lei faccia finta
che non esiste, quella rimane imperterrita lì.
Mi
chiedo se devo intervenire, se devo dire a Sarah che è ora di bere, se la mia
preoccupazione deve imporsi sulla sua scelta.
Ma
resto a guardare.
Sto
dietro alle transenne. Nel fuori campo.
Mi
mangio le unghie ma questa è la sua partita.
E
sta ri-iniziando.
Ci
tenevo.
Dio,
quanto tenevo a quella partita! Affamata di vittoria.
Eppure
stavamo perdendo, a causa di un gol sciocco subìto nei minuti iniziali. E
Sarah? Lenta e spossata per tutto il tempo. Proprio lei, quella su cui tutte
puntavamo. Purtroppo per la squadra però, Sarah proprio oggi aveva deciso di
onorare puntigliosamente i precetti islamici.
Ovvio,
da capitano, disapprovavo.
Mancava
poco all’inizio del secondo tempo. Mentre mi avviavo al campo, ripensai a
quanto successo nel pre-partita.
C’eravamo
trovate tutte davanti a The Gate, che ci aveva concesso i locali a mo’ di
spogliatoio. Ma quando era arrivata Sarah, avevo sgranato gli occhi. Santo
cielo, Santi tutti, aveva il velo! Il
velo vero! Le avevo chiesto subito spiegazioni, non l'avevo mai vista così.
“Sarah, mica vorrai giocare con quell’affare? Dai, è la finale! Non avrai una
buona visione di gioco!”
“Il
velo non mi darà nessun fastidio. Sai, sto facendo il Ramadan e...”
A
quel punto mi ero arrabbiata sul serio. “Il Ramadan? Perché? Perché devi
digiunare? A quale scopo?”
“Senti
un po’, se fosse venerdì Santo lo faresti tu, il digiuno!” mi aveva risposto
lei. Sì, però il digiuno del venerdì Santo dura un solo giorno...
Provai
a concentrarmi sul secondo tempo che stava ricominciando, non senza un sottile
velo (è proprio il caso di dirlo) di preoccupazione: Sarah non aveva bevuto
nemmeno un goccio d’acqua durante l’intervallo. Porgerle la borraccia sarebbe
stato inutile. Ma ci provai ugualmente. “Dai, bevi solo un piccolo sorso!”
“No.
Berrò quando sarà calato il sole.”
“Sarah,
per piacere! Nel primo tempo non ne hai beccata una, almeno togliti ‘sto velo!”
Lei
si portò le mani sul capo e se lo sistemò meglio.
Fischio
d’inizio. Irritata dallo svantaggio e dalla situazione, partii in avanti, palla
al piede. Mi lanciai sulla fascia, poi crossai. Sarah finalmente fece uno
scatto dei suoi e si precipitò in area di rigore. Era l'occasione giusta per
pareggiare. Seguii con lo sguardo la traiettoria della palla che si avvicinava
alla testa di Sarah.
“Questo
quartiere non è più lo stesso, amico! Ma quanto urlano questi ragazzini!?”
“Sempre
a lamentarti Liu! Neanche voi siete più gli stessi! Dove sono i cinesi col
sorriso in faccia, eh? Giorno e notte sempre col sorriso. E poi qui strilliamo
tutti, sempre, anche tu!”
“Sì,
ma noi lo facciamo per lavoro. Dobbiamo lavorare Peppe! Non possono obbligarci
a chiudere per mezza giornata. Ogni giorno ce n’è una diversa: ieri il circo,
oggi la partita, domani chissà cosa si inventeranno. E noi? Quando lavoriamo?”
“Sempre
con quest’ansia di lavorare! E goditi la partita mo’! Rilassati un po' e vedi
che so’ brave queste ragazze!”
“Sì,
saranno brave però urlano troppo, non le sopporto...”
Non
bastò il tempo per terminare l’ennesima lamentela che Liu e Peppe furono
paralizzati da un evento che sembrava avere tutte le virtù per essere ricordato
come paranormale.
“Senti
Liu!”
“Sccccchh...”
Il
gocciolìo della fontana appena accennato dialogava con il cigolio della
finestra al secondo piano, il fruscio di un sacchetto di carta portato dal
vento si accompagnava al suono di un campanello in lontananza. Per la prima
volta i due commercianti assistevano al surreale chiacchiericcio degli oggetti
nella piazza, solitamente celato dalle voci diurne delle migliaia di presenze
che occupavano quel suolo.
“Si
sono fermati tutti...” bisbigliò Peppe col premuroso intento di non guastare la
magia.
“Cos’è?
Forse un miracolo?” rispose Liu, adeguandosi volentieri al tono dell’altro.
“Non
lo so, non ho mai visto un miracolo ma c’è una ragazza stesa a terra. Iniziano
così i miracoli?”
Da
qui si vede bene la piazza.
Scorribande
di bambini entusiasti, di passanti incuriositi e accaldati, di padroni a
passeggio coi loro cani. Là, ecco i commercianti confabulare su quanto accaduto
poco fa; ecco la sorte di una finale in bilico destinata a rimanere così.
Sospesa.
Giocatrici
ferme e distese formano un mosaico multicolore. Al centro, ancora avvolta nel
suo velo amaranto, Sarah, e tutte le altre disposte attorno a lei, in una
sublime geometria di volti e corpi. Attorno la gente è prima sgomenta, poi
sorpresa. E adesso pare quasi divertita. Della partita non si cura più nessuno.
Hanno fermato il tempo. Hanno sovvertito le regole. Hanno preferito sdraiarsi e
tacere, le ragazze. Un bambino sta entrando proprio ora in campo per sdraiarsi
pure lui, e proseguire così il mosaico.
Come si vede bene tutto questo da quassù.
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GIOVEDI' 21 GIUGNO ore 18.30 Cortile del Maglio
http://www.holdenart.it/eventi/parole-e-nuovi-sguardi-per-porta-palazzo