London 2012_l'esordio

il 'triplete' italiano nel fioretto
Sabato 28 luglio. Scattano le Olimpiadi a Londra. Chi avrebbe potuto pronosticare una partenza con 5 medaglie per la squadra azzurra? Ci siamo presi un podio intero, quello del fioretto femminile, un oro a squadre nel tiro con l'arco e un argento nel tiro a segno maschile. Meglio di noi solo la Cina, che ha arraffato 4 ori. Ma far meglio di USA e Russia è una bella soddisfazione. E mentre i padroni di casa rimangono a bocca asciutta nella giornata d'esordio, così come Francia e Germania, noi giganteggiamo con le nostre armi. Arco, fioretto e pistola. 
passerella d'ro per gli arcieri
Non sarà sempre così, ma che partenza. Quel dieci finale di Frangilli, quella freccia scagliata che ci permette di superare gli Stati Uniti di un punto. Quella rimonta pazzesca di Valentina Vezzali, il cui bronzo luccica quanto i suoi precedenti ori. Quello scontro fra compagne di stanza Errigo e Di Francisca, e non sapere bene per chi tifare... tanto l'inno lo si canta poi lo stesso...
E poi, la sorpresa di Luca Tesconi, argento inaspettato.
Forciniti dopo la vittoria 
Domenica 29 luglio.
Montano e il suo look spregiudicato sbattono contro Diego Occhiuzzi, trentunenne napoletano, che avanza poi dritto dritto in finale. Impareggiabile la sua esultanza dopo aver sconfitto il romeno Dumitrescu. Peccato per l'oro, ma un argento alle Olimpiadi è comunque un grande risultato.
Poi c'è la bad girl Rosalba Forciniti, specialità judo, categoria 52 kg: una grinta e un'aggressività (sportiva) pazzesche, che la portano a conquistare il bronzo, fra l'altro la prima medaglia vinta da una donna calabrese.
E mentre canoisti, canottisti, ginnaste e Settebello avanzano zitti zitti, la coppia Cagnotto-Dellapé sfiora il podio nella specialità del trampolino. Peccato sì per l'ultimo tuffo che le fa scivolare al quarto posto, ma si tratta comunque di un piazzamento di tutto rispetto, considerato il calibro delle avversarie.
Non è stata una gran giornata per il nuoto: Scozzoli arriva solo settimo nella finale dei 100 rana, Magnini sgrida i suoi compagni per lo scarso impegno in staffetta (che poi chiuderà anch'essa settima nella finale), mentre la fidanzata fatica fin dalla batteria di qualificazione. Tutti l'attendevano. Federica Pellegrini. Lei ce la mette tutta ma non va oltre il quinto posto nella finale dei 400 stile libero. Domenica è toccato ai francesi esultare, e con grande merito: staffetta maschile dello stile libero pazzesca, in grado di battere in volata quella stelle e strisce di Phelps, e poi una grande Camille Muffat che stravince la gara dei 400 stile libero, quella di Federica. La perse anche a Pechino. Poi vinse i 200. Di buon auspicio?
Federica Pellegrini 

Esordio da favola, dunque, per i colori azzurri. In attesa di poter commentare lo spettacolo dell'atletica leggera, godiamoci queste prime emozioni (agrodolci) che solo una cornice olimpica può regalare. Perché, come ha detto Filippo Magnini, si vince e si perde, e se il settimo posto è il massimo cui si può arrivare per merito di avversari più forti, non si può far altro che riconoscerlo. Ma sorprendere è una consuetudine azzurra. Forza azzurri, forza atleti tutti!


Il mondo appare diverso da quassù

L'ATTIMO FUGGENTE. IL PUNTO DI VISTA
Nell'Attimo fuggente Robin Williams invita i suoi allievi a non affogare nella pigrizia mentale, a ribellarsi. La vita è breve, carpe diem. Salire sulla cattedra è spezzare la rigidità di una convenzione quotidiana e riconosciuta e accettata, salire sulla cattedra è un atto di puro anticonformismo e il primo passo per ampliare il proprio punto di vista.

Mona Lisa Smile è considerato la versione femminile de l'Attimo fuggente. Ambientato nell'America anni 50, in un'atmosfera conservatrice e perbenista, l'insegnante 'open mind' Julia Roberts cerca di diffondere un nuovo modo di pensare. 
Non esistono risposte giuste o sbagliate. Pensare non è così facile quando non si ha un libro di testo sotto al naso che te lo dica. Imparare a pensare significa decretare da soli un'opinione, in totale autonomia... Dannatamente difficile. Ma dannatamente necessario, in una società come la nostra. 

MONA LISA SMILE. CHE COS'E' L'ARTE?

Il mondo appare diverso da quassù. Cogliere l'attimo, guardare le stesse cose da angolazioni diverse, esprimere un'opinione su ciò che accade. Eppure rifiutare le opinioni pre-confezionate della propaganda è assai difficile, giacché significa remare contro. Molto più semplice confondersi tra la folla, sintonizzandosi con la linea dominante. Ma il punto è: siamo sicuri che abbracciare una soluzione accomodante possa renderci felici e soddisfatti?

Giù il cappello

Ho appena saputo di non aver superato la seconda fase di selezione del contest di Eggers 2.0. Tuttavia, oggi vorrei pubblicare la mia ultima fatica... Si tratta di un racconto che aspetta solo di essere condiviso. Pensandoci bene, ci calza a pennello. 
GIÙ IL CAPPELLO

S
e ne stava lì, in quel ritaglio di strada, capo chino e sguardo invisibile, dacché il logoro cappello gli copriva gran parte del viso. Le mani viaggiavano da sole sul violino, a ritmi blandi ma costanti. Attorno a lui il pubblico era per di più un precario stormo di passanti instabili, non esattamente rapiti dalla sua musica. Una musica lenta, malinconica, soffocante. Solo suono senza speranza.
L’altro cappello, quello nero, quello nuovo, giaceva per terra. Vuoto.
Poco distante dal musicista sedeva, su di una panchina, una giovane ragazza armata di matita. Ogni tanto lo fissava, poi scarabocchiava chissà cosa su un quadernone dalla copertina nera. Ma il mesto musicista non si curava troppo degli sguardi. Nemmeno li scorgeva. Egli pretendeva monete, e il sapere che ne luccicavano solo un paio in fondo al cappello nero non faceva che innervosirlo. Mentre il mondo intorno sembrava essergli indifferente, la ragazza seduta poco distante si levò d’improvviso in piedi e d’improvviso gli si avvicinò.
«Salve, scusi se la interrompo…»
Il violinista smise di suonare. Fu obbligato a levare il tacito sguardo su di lei.
«Ho notato che poca gente si ferma ad ascoltarla… e, mi scusi se glielo dico, ma la sua musica è proprio uno strazio!»
Irruente e senza freni. Come si permette?
«Guardi, si guardi lei stesso.» La ragazza gli porse il suo quadernone nero: un disegno appena fatto ritraeva un violinista in mezzo alla strada, chino su stesso. Accidenti, guardare quel ritratto fu come guardarsi allo specchio. Quel disegno svelava un uomo stanco, più vecchio dei suoi anni, dalla lunga barba e i vestiti logori. Sembrava di poter cogliere persino la tristezza della sua musica attraverso le grigie sfumature della matita. Pugno nello stomaco.
«Signorina, ehm… lei disegna molto bene. Ma se nessuno vuol fermarsi ad ascoltarmi io non posso farci niente…»
«Come non può farci niente? È lei quello che suona! Lo vuole qualche consiglio?»
Ancora una volta spiazzato dalla sua irruente vitalità, l’uomo accettò di ascoltarla.
La ragazza cominciò a squadrarlo con professionalità. «Allora, qui ci vuole un ripensamento d’immagine. Voglio dire… Si vesta meglio! E poi, scelga un brano più allegro. E poi, tiri su lo sguardo! E poi, sorrida alla gente!»
Tutti quegli e poi lo mandarono in confusione. «Ma… io non saprei… forse oggi non è giornata, forse potrei tornare domani e…»
Dal canto suo, troppi forse e troppi condizionali.
«No, non domani. La vita non è dopo, non è poi, non è più tardi! Vada a cambiarsi gli abiti e si sistemi la barba. Adesso. Su, vada, signor...»
«Possiamo anche darci del tu. Io mi chiamo Philippe.»
«Oh, io mi chiamo Graziella, come la bici!» gridò entusiasta lei, attirando l’attenzione dei passanti e gettando lui in imbarazzo.
Philippe decise di ascoltare il consiglio di Graziella, nulla avendo da perdere. Corse subito a casa a radersi la barba, lasciandosi solo un sottile pizzetto, che gli ricordò i bei tempi in cui suonava col suo gruppo. Dal guardaroba pescò una camicia colorata a quadretti bianchi e rossi; sostituì il logoro cappello con un basco verde scuro e infine si guardò allo specchio compiaciuto. Poi cominciò a cercare per casa vecchi spartiti, finché lo sguardo non cadde su una fotografia sbiadita; quello scatto lo ritraeva assieme ai suoi amici, quando suonavano nel gruppo… Vi scorse il suo sorriso perduto in quella foto. E a quel punto, non vi fu più bisogno di ritrovare nessuno spartito: la musica che aveva rimosso rinvenne in un secondo.

Ora viaggiava con la mente, la cornice di quella fotografia era stata così forte da fargli dimenticare il suo status attuale di infelicità, solitudine e miseria. Pensò a come aveva plasmato la musica negli ultimi anni, a quanto il suo miglior mezzo si fosse trasformato in un amplificatore di tristezza e rassegnazione. Ma il rivedere ciò che era stato gli aveva ricordato quanto potesse essere migliore.
Philippe si diresse verso lo stesso sfortunato ritaglio di strada fino a quel momento poco favorevole.
Graziella era ancora là, seduta sulla panchina. Sorrise, forse non si aspettava che avrebbe fatto tanto presto. «Uao, con vent’anni di più potrei anche innamorarmi di te!» esclamò la giovane.
Philippe arrossì un poco. Un complimento del genere da una donna non poteva lasciarlo indifferente. Da quanti anni non capitava?
Forte dell’appoggio della sua nuova (e unica) alleata, Philippe portò le mani sul violino, e fin dalla prima nota l’ordine delle cose venne sovvertito. Ne uscì suono un po’ pop, un po’ folk, sì ballabile, sì orecchiabile... Tatattaratattara tatattaratattara… Sorrideva, Philippe. Batteva il piede, Philippe. Ci cantava sopra, Philippe. E in un battibaleno, molti passanti si fermarono ad ascoltarlo. I bambini presero a saltellare e a scorazzargli intorno, una coppia di anziani - due ex ballerini - cominciarono a ballare. Lì, in mezzo alla strada, senza vergogna. Qualcuno li seguì nella danza. Altri battevano le mani. Il cappello nero prese a gonfiarsi delle copiose monete che la gente gli versava dentro. Graziella osservava a distanza, mentre un nuovo disegno prendeva forma.
Dopo circa un’ora di esibizione ininterrotta - che aveva tutti i requisiti di un concerto folkloristico all’aperto - Philippe si tolse il basco in segno di ringraziamento. Applausi copiosi, urla gioiose, sorrisi ovunque, dannazione, averci pensato prima! Le donne presenti poi lo fischiarono con fare ironico, quasi a volergli confermare che doveva tenerlo giù, il cappello.
Philippe si gustò ancora un poco gli applausi; poi raccolse i due cappelli, il suo e l’altro, quello nero colmo di denaro, e con entrambi si avvicinò a Graziella. La giovane scoppiò a ridere, contagiandolo; in quella risata poteva cogliere un messaggio. Hai visto? Dai sempre retta ai consigli di una donna!
«Graziella, ti prego di accettare metà di quel che ho guadagnato. Se non fosse stato per te…»
«Accetterò denaro solo se comprerai i miei due disegni. Ti ritraggono prima e dopo il cambio di prospettiva.»
«Il cambio di che?»
«Il cambio di prospettiva caro Philippe, quello che fa la differenza. Era mio dovere intervenire… Sai, l’arte ha acuito il mio spirito d’osservazione, in un certo senso mi sento in dovere di correggere le persone di valore, quelle che davvero hanno un grande potere.»
«Potere?»
«Guarda quanta gente sorridente, oggi! Io potrei disegnare tutta la vita e non ottenere nemmeno la metà dei sorrisi che hai forgiato tu in un’ora. Ma così è, ognuno ha il suo dono.»
Philippe la guardò un momento. Un silenzio per comunicarle che sì, la lezione è stata imparata. Il violinista acquistò i due disegni. Diede metà del denaro guadagnato a Graziella, e trattenne l’altra metà, una somma comunque di tutto rispetto. Mentre riponeva il violino nella sua custodia, udì un bambino canticchiare ancora la melodia tatattaratattara tatattaratattara… e fu allora che quel ritaglio di strada divenne un piccolo angolo di pura magia.

Ho da dire che

Ho qualcosa da dire, e lo dirò adesso. Non è la sede nè il momento, non importa. Ho qualcosa da dire, e lo dirò adesso. E come ho imparato al corso di storytelling della Holden, ho da dire che...

Ho da dire che cercherò di essere sintetica.
Ho da dire che questo Paese non mi valorizza. Ma in fondo, l'arte di sapersi inventare, dove l'ho appresa?
Ho da dire che non voglio regali né aiutini, ma ogni tanto un po' di fortuna non guasterebbe affatto.
Ho da dire che non sono considerata abbastanza. Per stupire, sto imparando a separare le acque del Po. 
Ho da dire che se tornassi indietro mi prenderei a calci. Ma ho imparato le lezioni.
Ho da dire che non posso tornare indietro per cambiare la mia storia, ma posso andare avanti e riscriverla.
Ho da dire che c'è troppa paura dentro di me che dovrebbe cortesemente farmi il piacere di levarsi di torno. Ho già troppa speranza e non c'è posto per due. L'uscita è in fondo a destra.
Ho da dire che sono più forte delle mie paure.
Ho da dire che sono innamorata. Incondizionatamente. Al diavolo se ho sostenuto il contrario.
Ho da dire che sono una maledetta testarda.
Ho da dire che non mi arrenderò mai.
Ho da dire che voglio correre. Non rincorrere, correre.
Ho da dire che ho voglia di divertirmi, cantare, ballare e giocare. Avrei anche tanta voglia di lavorare, ma... 
Ho da dire tante di quelle cose che avrei bisogno di cento blog.
Ho da dire che più mi si ignora e più mi farò sentire.
Ho da dire che certi schiaffi fanno male da morire, ma poi, a sorpresa, fanno anche bene.
Ho da dire che sono una gran pasticciona, ancora risultati non se ne vedono, ma certi fiori sbocciano proprio in ritardo. Cercatemi fra quelli.
Ho da dire che posso contare su degli amici veri, dopo anni difficili. Una conquista del genere non me la leverà nessuno. E vale tantissimo.
Ho da dire che l'unico vero talento che possiedo si chiama determinazione.
Infine, ho da dire che ho da dare.
Ho da dare un sacco di cose. 
Ho da dare un sacco di baci, abbracci, sorrisi. E ho un po' di arretrati.
Ho da dare orecchie per ascoltare, sguardi per sedurre, occhi per apprezzare, mani per stringere.
Ho da dare un sacco di parole. Libri, romanzi, racconti, poesie, canzoni, poesie-canzoni in chiave rap, monologhi, diari, sceneggiature, articoli, biglietti, lettere, lettere d'amore.
Ho da dare un sacco di tempo.
Ho da dare un sacco di sogni.
Ho da dare un sacco di amore. Che faccio, vuoto il sacco?

senza futuro e senza memoria

Propaganda.
Qui non si fa altro che scialba ma efficace propaganda. E il partito di qui, e il partito di là... Che mondo, questo. E la gente guarda il Grande Fratello senza esserne costretta. E i cittadini non pensano. Qualcun altro pensa per loro.
Qui il potente si permette di raccontare quel che vuole, attraverso teleschermi disseminati ovunque che amplificano verità immaginarie. La cosa più grave è che il potente può permettersi persino di contraddirsi, di sostenere una tesi e poi la sua antitesi, deviando l'opinione pubblica e portandola a prendere per vero l'esatto contrario. La verità è credere a ciò che viene raccontato dai teleschermi. La verità esiste solo nel presente e basta. La memoria non esiste più. Il passato qui è controllato, occultato, cancellato. Nemmeno il futuro esiste, giacché fare progetti è un'attività onirica e insulsa, irrealizzabile. Poco a poco, tutti vi rinunciano. Perché conta solo sopravvivere.
Il moralismo abbonda, ma non v'è spazio per l'amore, qui. Gli impegni lavorativi e mondani di ognuno non lasciano spazio alle relazioni umane, che diventano vuote, meccaniche, distanti. Unioni e matrimoni diminuiscono, amarsi diventa troppo impegnativo e troppo difficile.
Telecamere qui, telecamere ovunque. Non v'è modo di scappare, se non in aperta campagna, dove l'erba è più fitta.
E che dire di questi individui, tutti uguali, omologati nei comportamenti e nei pensieri, svuotati, distratti dagli schermi che annunciano l'ennesima guerra contro i nemici di sempre? Che dire di loro? Potrebbero ribellarsi, ma una rivoluzione al momento non è possibile, non finché vige questa accondiscendenza. Troppi gli spettacoli orrendi per le strade a deviare l'attenzione, troppo controllo, troppa manipolazione delle coscienze. E la cultura, l'identità e la forza di ogni popolo, è stata compressa e dilaniata e banalizzata. Nessuno scrive più a mano, nessuno legge più. I libri vanno morendo. Bruciano. Persino nel linguaggio vi sono perdite importanti. Le parole vengono ridotte e semplificate sempre più; diminuisce la capacità di pensiero critico. Tutto secondo quanto il potente e la sua piccola schiera desideravano. Senza futuro e senza memoria, il popolo diviene una moltitudine di sordi sudditi. Ma. Qualcuno sente ancora. Qualcuno ignora i teleschermi e corre a scrivere il suo diario segreto, a mano. Vi riporta i suoi pensieri. Si interroga, si tormenta. Per questo non è felice. Ma tenta di ricostruire il passato. Tenta di capire. S'innamora. Cammina. Resiste. 

Qualunque cosa abbiate pensato, questo testo era un mio sguardo immaginario sul mondo descritto da George Orwell nel suo celebre romanzo "1984".

PS: Sebbene sia ormai entrato nel linguaggio comune, "Grande Fratello" è una traduzione errata di Big Brother che in realtà significa fratello maggiore, così come Orwell lo intendeva.

http://it.wikipedia.org/wiki/1984_(romanzo)                                                   RESISTANCE

Speranza è

Speranza è l’acqua contenuta
nel tuo bicchiere mezzo pieno
Speranza è la tua pozione magica
il tuo antidoto contro il quotidiano veleno. 
Speranza è scoppiare a ridere
quando la gente, da te, si aspetterebbe lacrime.
Speranza è cantare
anche quando nessuno ti ascolta
Speranza è ballare
anche quando nessuno ti guarda.
Speranza è inseguire un sogno
anche quando nessuno ti incoraggia.
Speranza è deporre la rabbia
e costruire con pazienza una vita degna
anche quando si è immersi nella nebbia
anche quando sembra che non serva.
Speranza è alzarsi dalla sedia e uscire fuori
senza meta magari,
alla ricerca di nuovi odori, nuovi colori
Speranza è farsi mittenti di nuovi destinatari
Speranza è rischiare desser visionari.
Speranza è fare la raccolta differenziata
è spostarsi in bicicletta
è avvicinarsi all’ultima rata
è rinunciare alla fretta
Speranza è emettere la fattura
è aver cura della natura
è investire nella cultura
è concedersi senza misura.
Speranza è restare
è saper rinunciare
è saper lottare
Sperare vuol dire
sorridere a prescindere.


Un piccolo inno alla vita che ho composto oggi, e che condivido volentieri.
E dato che siamo in tema, spero vi piaccia.

Franklyn

"Non è quello che sembra" disse il mio amico Luca, nel porgermi il DVD di Franklyn.
La locandina mostra un tizio mascherato, al suo fianco Eva Green e la frase "questa notte ucciderò un uomo".
Ma aveva ragione Luca. Il film non è quello che sembra.

E' una di quelle visioni alla Memento, un puzzle-movie impegnativo che richiede tutta l'attenzione e la pazienza possibili da parte dello spettatore. Perché per tre buoni quarti d'ora è davvero difficile comprendere.
Storie apparentemente estranee fra loro, due mondi così distanti, la Londra attuale e una Londra sconosciuta, gotica, dittatoriale, in cui infiniti culti governano tutti gli individui tranne uno (il tizio mascherato della locandina). 
Nonostante il ritmo narrativo un po' lento, il film si dimostra originale e sorprendente. I personaggi sono anime perdute, afflitte da mali oscuri, e pertanto cercano rifugi e scappatoie; ma per ognuno si delinea poco a poco la strada dell'epilogo. Forse quella della guarigione.
Stupenda l'ambientazione della gotica "Città di Mezzo", la cosa più valida dell'intera pellicola che pecca un po' per i ritmi lenti nella prima parte, in favore di analisi introspettive dei guai dell'animo umano.
Si parla d'amore, di destino, di credo, di immaginario, di follia.
A proposito della delicata tematica del suicidio, particolarmente significativa è questa frase:
"Non è solo per le persone che lasci qui, è per quelle che non hai ancora incontrato." Amazing!

Mi fermo qui nella descrizione perché altrimenti rovinerei la visione a chi non l'ha mai visto. Nonostante sia uscito più di tre anni fa nelle sale, mi sento di consigliarvene la visione, se amate i film complessi, contorti, impegnativi. 

Itaglia

Più tasse meno servizi. Più tagli meno investimenti. Sale l'inflazione scende l'occupazione. C'è qualcosa che non mi torna. I soldi, tanto per cominciare...
Le tasse e l'illusione dei servizi. Le rate e l'illusione del possesso. I prestiti e l'illusione di ricchezza.
Il governo Monti, quello tecnico, quello non eletto dal popolo, sta spremendo questo Paese generando problematiche sociali che nemmeno il governo-circo precedente avrebbe potuto architettare.
Hanno creato gli esodati, una nuova non-categoria. Benvenuti in Itaglia.
Hanno creato l'IMU, la Spending Review. Continuano a tassare i cittadini senza fornire agli stessi un adeguato impianto assistenziale, il cosiddetto welfare, candidato a divenire specie in via d'estinzione.
Ma ridurre le siringhe e i posti letto non ci salverà dalla scure del debito pubblico. Tagliare laddove bisognerebbe investire -scuola, università, ricerca, tre cose assolutamente a caso- suona come un clamoroso autogol che ipoteca il futuro. Il nostro futuro.
Il guaio di questo Paese è, ridotto all'essenza, che non si vuol scommettere (partite truccate a parte, s'intende). Non si rischia, non si investe, non si cambia, soprattutto. Non si ha il coraggio di farlo. In questo senso, siamo assolutamente un Paese vecchio. Che pur di non investire lascia partire le menti brillanti. Arrivederci. E giù un altro colpo di forbice.
Giovane, hai un'idea? Tienitela. Oppure mettila in valigia e prova da un'altra parte.
Qui sorge un problema, allora. Di idee io ne ho mille e non ho alcuna intenzione di fare la valigia, al momento. Dunque, io e chissà quanti altri giovani in questo Paese, rappresentiamo la volontà del cambiamento. Se permettete, cari ministri e industrali e alte cariche supreme, se permettete noi non ci rassegnamo alla situazione. Continuate pure a fare gli Edward mani di forbice. Noi, giovani e meno giovani, continueremo a fare i Dylan Dog. Indagatori dell'incubo contro mostri quali cassa integrazione e precariato e disoccupazione.
La metafora perfetta di tanto disastro è il nostro amato sport nazionale: il calcio. Grandi club che utilizzano i giovani dei propri vivai come merce di scambio o come tesoretto per fra quadrare i bilanci. Strutture che cadono a pezzi, ultras facinorosi che comandano e mietono paura, porcherie all'italiana tipo partite vendute, bilanci truccati. Campioni osannati e ricoperti di milioni e giovani talenti messi in panchina o lasciati in squadre di provincia perché sono troppo giovani.
Tagliate le borse di studio. Tagliate le pensioni. Tagliate la ricerca. Tagliate il personale. Tagliate il futuro direttamente. E non sia mai però, non tagliate i privilegi dei parlamentari. Nella storia, una volta è successo che han cominciato a tagliare le teste, in una certa rivoluzione. Qui invece tagliano i cervelli. E magari succede che ti ritrovi laureato, plurilaureato e troppo qualificato o senza esperienza per lavorare. Per lavorare, si sa, devi avere esperienza. (E per avere esperienza, devi lavorare...)

Itaglia, bisognerebbe avere il coraggio di cambiare. Nuova economia, nuovo sistema.
Urge un'economia etica, capace di porre al centro l'essere umano e non la moneta. Altrimenti saremo punto da capo. C'è la crisi e la gente corre al casinò e a giocare al lotto. C'è la crisi e tanti imprenditori, troppi imprenditori, pensano a come farla finita. C'è la crisi e i giovani girano il mappamondo per capire dove andare. C'è la crisi e i malati fanno in tempo a guarire da soli, fintanto che aspettano i tempi biblici della mutua. C'è la crisi e in un attimo perdi lavoro e dignità. Basta.
Una civiltà evoluta dovrebbe essere in grado di vivere degnamente il suo tempo, invece di pensare a come sopravvivere.

Dare


Ecco il secondo inedito. Dare è più 'seria' rispetto alla precedente Mille MiRe, difatti era talmente seria che ho deciso di farla partecipare al contest creativo indetto da Eggers 2.0. A quanto pare il brano ha superato la prima selezione ed ora incrociamo le dita per la seconda... Nel frattempo, ho pensato di condividerla con voi. In questo primo videoclip ecco la canzone con testo e traduzione. Esecuzione e registrazione sono assolutamente imperfette... Ho azzardato, registrando prima la chitarra e poi la voce sopra, ma come risultato finale non mi dispiace. Che ne dite?

(video non più disponibile)


E qui, una chicca: la storia che si cela dietro questo brano, e il modo rocambolesco in cui l'ho presentata al contest creativo. Nel mio tipico modo di fare.
Tirando le somme, questa non è che una mera versione acustica, primitiva, in attesa di poterla vestire con abiti molto rock (vero, Marco?! Are you ready?). 
Chiudo con qualche ringraziamento, dacché condividere sul proprio blog due mie canzoni in pochi giorni non è da poco. Ringrazio allora i miei due insegnanti di musica, Fabio-chitarra e Marcello-batteria, quelli dell'associazione Comala con cui ho condiviso la registrazione e la non-registrazione, nonché tutte quelle persone che credono in me più di quanto sarebbe lecito aspettarsi. E siete un bel po', per fortuna. Thank you.

(video non più disponibile)

Mille MiRe

Ci siamo. Finalmente pubblico una mia canzone sul blog. Paradossalmente, il mio esordio musicale sul web avviene con il brano che ho composto per ultimo.
Mille, come le cose che sono, quelle cui miro. Appunto, mire, obiettivi, progetti, idee, sogni, ambizioni. 
Ma, dato che non ne azzecco una, mi son detta: strappiamo via la radice d'ogni male, ovvero la mancanza di concretezza. Bene, cominciamo subito concretamente a sovvertire la storia. Canzone sul blog. Chi se ne frega dell'audio. Chi se ne frega della voce e della qualità. Chi se ne frega del copyright (ma chi mai potrebbe rubarmi una canzone tanto autoironica? Ci vorrebbe coraggio...) E pazienza se non piacerà. Pazienza se non è perfetta. Pazienza anche se quel che dico è tutto vero. Ho mille MiRe. 

(video non più disponibile)

Io che al momento sono in attesa -più che in cerca- di risposte di vario tipo. Sono una specie di stand-by viaggiante. Scrittrice? Giornalista? Cantautrice? Innamorata? Lavoratrice? Realizzata? Stimata? Concreta? Regista dei miei sogni? Padrona del mio destino? ...No, l'ultima spero proprio di no, sono troppo pasticciona. Che ci pensi la Divina Provvidenza. Mando subito una mail lassù.

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