Clé de Soul (decimo anniversario)


Giugno 2009. Una ragazza di ventitré anni lascia Torino per andare in Francia, precisamente nella verdissima Bretagna, a Redon, a svolgere il Servizio Volontario Europeo come animatrice. Non sa il francese, non conosce nessuno, pare anche un po' svampita e timorosa, eppure alla sua tutor mostra una sceneggiatura con cui intende farci un musical- progetto già visionato e respinto in patria. E la tutor, anziché gridarle contro che è un progetto troppo folle, le dà il via libera. Carta bianca per la realizzazione del musical...
Inizia così la pazzesca avventura di Chiave di Soul, francesizzato in Clé de Soul, che fra lo stupore generale s'avvia, s'inceppa, riparte, fino a fiorire completamente.
Quella ragazza, poi, tornerà a Torino carica di aspettative e convinta di poter replicare, ma così non sarà.



Quella ragazza, l'avrete capito, ero io.
Ben prima dei romanzi, scrivevo sceneggiature teatrali; il mio passatempo era creare mondi fantastici con cui veicolare importanti messaggi di inclusione a suon di canzoni e coreografie. Lo so, avrei dovuto dedicarmi di più allo shopping e agli aperitivi...
Malgrado all'epoca non sapessi ancora suonare la chitarra, mi arrangiai con canzoni note per comporre la playlist di Chiave di Soul. Volevo a tutti i costi realizzare quel musical, ma non c'era verso nemmeno di cominciarlo.
Nessuno è profeta in patria, a me nessuno avrebbe dato due lire! Ero in effetti molto acerba, ma l'unico modo di fare esperienza è... fare esperienza. Insomma, come si fa a capire quanto si vale, se non c'è la possibilità di misurarsi e soprattutto di sbagliare (per poi migliorarsi)?
Quando in Francia mi consegnarono una chance vera, su un piatto d'argento, iniziai a dedicarmici anima e corpo. Di Clé de Soul avrei dovuto esserne solo sceneggiatrice e supervisore, invece dovetti anche recitare, ballare e cantare: non che mi dispiacesse, però fu tutto molto faticoso.
Anche a Redon trovai molte resistenze e difficoltà nel convincere le persone a partecipare, ma la differenza con l'Italia è che mi dettero fiducia, oltre a un budget non proprio da poco. Tuttavia il tener testa a tutte le avversità che si presentarono mi costò perdita di chili, stanchezza assoluta, rinunce. Ma i sogni sono fatica, perdita di chili, stanchezza assoluta e rinunce.
Clé de Soul fu rappresentato il 28 maggio 2010 a Redon. L'applauso finale e prolungato che ci riservarono alla fine dello spettacolo mi ripagò con gli interessi di tutto il lavoro fatto.
                              
L'anno successivo il progetto fu premiato ad Anversa, in una sorta di hit parade dei migliori progetti SVE; per quanto onorevole, avrei volentieri scambiato il premio per un'altra chance.
Clé de Soul servì a farmi capire molte cose. Dopo dieci anni riconosco il valore di quel musical, gli effetti benefici che regalò agli attori, al pubblico, a me. Forse è un peccato che non abbia potuto farne un altro di musical 'sociale', però da allora la strada mi è parsa più illuminata. Abitiamo un tempo povero di sogni, dove tutto è quantificato, mercificabile, arido, ma vi assicuro che l'emozione di stare su un palcoscenico a cantare- recitare- ballare è un qualcosa che non si può comprare.

Didattica distante

C'è una cosa che mi ha lasciato particolarmente perplessa in questo periodo pandemico, ed è la cosiddetta dad- la didattica a distanza, necessaria nell'emergenza per proseguire in qualche modo la scuola, ma che si sta protraendo sempre più in là senza certezze neanche per settembre. Eppure gli altri paesi europei si stanno muovendo in maniera differente, per esempio con la scuola all'aperto: fantastica idea! E in Italia?
Oltre all'anno perso, alla difficoltà di sostenere gli esami, al dibattito su promossi o bocciati, all'orizzonte si profila un settembre in cui i ragazzi andranno a scuola a giorni alterni. Come le auto a targhe alterne nei giorni di smog. 
La cosa grave è l'atteggiamento adultocentrico mostrato dalle istituzioni, che si è purtroppo visto anche nelle piccole cose (per esempio vietando la vendita di articoli di cancelleria nei supermercati, come a voler sottolineare la secondarietà dei bambini e della didattica).
La dad è stata necessaria per fare un po' la supplente della scuola ma ha mostrato tutti i suoi limiti: i collegamenti che vanno e vengono, l'audio intermittente, le parole spezzate, l'impossibilità dell'insegnante di tenere sott'occhio la sua classe per carpirne il livello di attenzione... E' chiaro che un tecnologico surrogato di scuola, nel lungo periodo, non basta.
L'origine del termine didattica affonda le sue radici nel greco antico didàskein che sta a indicare l'acquisizione della pratica dell'insegnamento e del mostrare; scuola invece deriva dal greco scholé e significa tempo libero, da interpretare come una liberazione della dimensione del tempo dal lavoro servile per dedicarsi a più nobili attività. Ne possiamo dedurre che la scuola da sempre non è imparare meccanicamente delle nozioni, versate a imbuto nelle menti dei ragazzi, ma è un luogo dove plasmare quelle stesse menti attraverso la socializzazione (orizzontale, quindi l'importantissima interazione coi compagni, e verticale, il prezioso rapporto con l'insegnante) e la sperimentazione.
Credo che gli insegnanti abbiano dovuto gestire, unitamente ai genitori, una situazione molto difficile, e sono certa che abbiano lavorato con grande abnegazione (incluse le maestre di nido, che si sono date da fare per proporre attività a distanza per i nostri piccolissimi, privati dello spazio dell'asilo) ma bisogna ritornare in aula, o in cortile, bisogna ricreare uno spazio- scuola al più presto! La scuola all'aperto potrebbe essere una possibilità concreta per scongiurare il pericolo di contagio, oppure si potrebbe pensare a piccole classi a orari differenti, come già sta avvenendo nella vicina Svizzera, per poter rispettare la distanza di sicurezza.
Che fare nel frattempo, però, per evitare che questa didattica a distanza resti distante in tutti i sensi dagli obiettivi educativi?
Fintanto che le scuole rimarranno chiuse, credo che gioverebbe un approccio più montessoriano alla dad: l'insegnante fornisce delle linee guida, lasciando poi il bambino libero di sperimentare un'attività anche da solo... Immagino quindi la realizzazione di un piccolo esperimento scientifico, il prendersi cura di una piantina, il recitare a voce alta un testo o una poesia travestendosi da un celebre personaggio, insomma, idee che puntino a stimolare l'alunno anziché riempirlo di compiti. E' possibile che idee brillanti siano già state messe in pratica, anzi, ne sono certa: chi meglio degli insegnanti sa mettere in campo resilienza e creatività?

FUGA DALL'AMORE- VIA DI NUOVO

Finalmente posso presentarvi il sequel di Fuga dall'amore! Si tratta di un racconto ambientato due anni dopo gli eventi dell'epilogo del romanzo. Qui trovate giusto l'incipit: chiunque desideri leggerlo per intero me lo richieda via mail- elisa.freesoul@gmail.com. Provvederò a inviarvelo gratuitamente. 


(Attenzione! Se desideri leggere prima il romanzo, non proseguire a leggere quest'anteprima, contiene spoiler)

PROLOGO

Un tempo ero io a fuggire con la maschera.

Oggi, invece, sembra che il mondo intero lo stia facendo. Un rattoppo sul volto, come supereroi con la maschera al contrario, nella speranza che funga da protezione per se stessi e gli altri.

Benvenuti nel 2020, dove l’umanità ha perso le sue certezze e si ritrova rinchiusa in una morsa di paura.

Anche se per la famiglia Ghift le cose sono andate un pochino diversamente.

Tutta colpa, o merito, di mio padre Ivan. È stato lui a pianificare una fuga, dalla città, dal mondo, dalla vita stessa, e l’ha pianificata ben prima che dilagassero i contagi nel nostro Paese: era solo gennaio, infatti, quando lui cominciò a muoversi nell’ombra prendendo decisioni che tutti gli criticammo… Per esempio comprando una baita in montagna! Una follia, se non fosse stato per l’eredità di nonno Antonello che gli ha permesso di farlo. Concluso l’affare ha iniziato poi ad accumulare provviste, giusto per non creare fraintendimenti su quanto aveva in mente. Io, Francesca, Dennis e Giulia lo abbiamo sbeffeggiato alla grande, mentre mamma poco a poco si convinceva dell’azione estrema del marito, rimproverandoci pure per il nostro sarcasmo.

A parte l’allarmismo paterno, devo dire che le cose mi stavano andando bene, finalmente bene! Mancava solo una cosetta: che Alex me lo chiedesse. Sapete, quella cosa lì che sognano tutte le ragazze... Specie se hanno trent’anni. Mentre restavo in attesa, sul fronte lavorativo mi dilettavo a far consegne a domicilio, dopo aver lasciato un noiosissimo lavoro d’ufficio. È che ho intravisto della bellezza nel pedalare per la città. A tutte le ore del giorno. Lavorando per due miseri spicci. Senza mutua. Senza ferie. Ho voluto la bici e ho pedalato, insomma.

Poi è cambiato tutto, per tutti, quando il 21 febbraio è stato accertato il primo caso di Covid-19 in Italia. Papà è andato in paranoia totale. Noi abbiamo minimizzato anche dinanzi all’evidenza dei primi casi in Veneto e Lombardia, mentre lui smetteva di andare a lavorare per provvedere alle provviste. Infine ci ha messo alle strette: si va tutti in montagna. Le discussioni sono state notevoli… Ne ho parlato con Alex, il quale però non ha mostrato il benché minimo entusiasmo all’idea della fuga in montagna con noi, e nemmeno all’ipotesi che io mi sistemassi nel suo appartamento, in quella che sarebbe diventata una convivenza a tutti gli effetti. In realtà credo fosse risentito della nostra fresca litigata sulla questione matrimonio, durante la quale l’ho mandato a cagare, stanca del suo continuo vaneggiare e cambiar discorso. Non so di cos’abbia paura, so solo che d’improvviso la fuga proposta da papà mi è sembrata un’ottima idea.

(continua)


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