FRANCKamente travolgente

Donald Frank Bonin, in arte Franky L'O.G.

Era il 2003 quando mi avvicinai al mondo del rap ascoltando a manetta Lose yourself di un certo Eminem. In seguito, da brava intellettuale, cominciai ad ascoltare Frankie hi nrg. Ebbene, proprio in quegli anni riuscii nell'impresa di rappare in duetto con un altro Frankie, meno famoso forse, ma così simpatico! Il pezzo in questione s'intitolava Prigionieri del sistema: un'accozzaglia di rime contro tutto, di fatto la mia prima canzone (ma ne scrissi solo il testo). Ci esibimmo insieme, Franky ed io, nel teatro del mitico oratorio San Giak; cantammo sopra la base di Clap Back, scelta ovviamente dal super esperto in materia Franky,  allora poco più che un ragazzino, ma già molto a suo agio col microfono in mano.

Dopo un decennio rincontro Donald, cioè Franky, nel frattempo assai cresciuto (o forse sono io ad essere rimasta alta uguale?!). Lo rivedo alle Officine Corsare, dove sta per esibirsi. Sempre spavaldo, sempre scherzoso, lo sento raccontare dei lavori che ha fatto, dei suoi spostamenti, e infine del suo sogno: vuole fare musica. Come lavoro. Al giorno d'oggi una gran bella sfida...
Curiosissima di risentirlo, mi piazzo sotto il palco; prima di iniziare Franky si presenta al pubblico scherzando insieme ai suoi compari che lo spalleggiano efficacemente, finché non parte la base di Questo è il ballo. E' un po' brano di punta, il cui campionamento richiama un qualsiasi pezzo di Snoop Dogg o Tupac, solo che il testo è in italiano. Franky padroneggia perfettamente ogni rima, ogni parola, le incertezze sul palco svaniscono per chi ha la musica nel sangue, e ascoltarlo è davvero un piacere. Il pubblico ulula, batte le mani, qualcuno addirittura si mette a ballare, dominano i sorrisi e la sensazione è che quel ragazzo abbia il potere di spazzare via qualsiasi malumore: i pezzi di Franky, dalle rime pungenti, sono divertenti, ammiccanti, autentici, e "prendono" anche se non si è appassionati del genere.
Non so dove potrà arrivare Franky, chi può dirlo! Ma una cosa è certa: la predisposizione per fare rap ce l'aveva fin da piccolo, molto più dei tanti damerini che oggi si fanno chiamare rapper solo perché adesso il genere spopola. Franky, di origini ivoriane ma italiano e legatissimo a Torino e al quartiere di Porta Palazzo, potrebbe diventare l'emblema di un modo nuovo di concepire la musica rap: travolgere il pubblico e farlo divertire con l'autoironia e l'arte di non prendersi troppo sul serio, anziché riempirlo di rime soltanto rabbiose o soltanto mielose.

Franky L'O.G.
Vi invito ad appuntarvi questo nome
e se poi ne avrete l'occasione
andate a vedere la sua esibizione
dal vivo spacca, eccome!

Beh, non sarò brava come lui, ma mi sembrava doveroso parlare col suo linguaggio...
Vi rimando alla pagina facebook di Franky, in attesa di avere presto un suo album.
https://www.facebook.com/pages/Franky-LOG/714471775284963?fref=ts

Blocco del foglio stanco

Non sono più sicura di quello che voglio, forse non l'ho mai saputo davvero. Sono in crisi per colpa dei non-risultati ottenuti e della cronica condizione di non-status, fino a far fatica pure a scrivere, perché ogni blocco che si rispetti è innanzitutto un blocco artistico. Ebbene, ho deciso allora di scrivere del blocco stesso.

Intendiamoci, non è il blocco del foglio bianco che mi affligge, anzi, semmai io ho sempre avuto il problema contrario. Ecco, allora possiamo parlare di blocco del foglio stanco. Stanco di accumulare tante, troppe idee che non trovano considerazione. Temo anzi che queste troppe idee si siano andate ad ostacolare e intasare a vicenda, nel corso del tempo... o forse si è trattato semplicemente di una mancanza di fiducia? Me lo domando perché quando lavoro su una nuova idea puntualmente una vocina dentro di me sussurra maligna: perché lo fai? Tanto non servirà a niente, ti ignoreranno anche questa volta... E quanta rabbia mi fa dover ammettere che la vocina aveva ragione. Guai azzardarsi a proporre, qui. Devo rimanere buona buona al mio (non) posto.

Ecco sorgere così il più bizzarro dei conflitti interiori, divisa fra l'impellente bisogno di scrivere, esprimermi, realizzarmi, e l'altrettanto impellente bisogno di stabilizzarmi, temprarmi, trovare questo maledetto ruolo che da sempre mi tormenta... Assurdo, proprio da una stupida riflessione su quale fosse il mio ruolo ne nacque un progetto, il Tealtro, che oggi arranca come quasi tutte le altre cose della mia vita, eppur ancora resiste cercando nuova linfa per crescere.
Presa dalla frenesia di dover fare qualcosa, di reperire un ruolo, anche uno qualsiasi e non necessariamente quello che mi piace, ho cominciato a trascurare il mio serbatoio creativo. E in questi giorni sta succedendo qualcosa.

Le opere che avevo lasciate sospese in un limbo, ora rivendicano attenzione: ho tutti i personaggi in sciopero generale dentro di me. Si sono coalizzati, e ovviamente i personaggi di Damazerico del settore romanzi sono i leader della protesta, ma anche nel settore sceneggiature si ribolle di rabbia; hanno fatto un blocco proprio stamattina, a braccia conserte, iracondi. Qualcuno stringeva in mano dei fogli bianchi, quasi a voler sventolare lo spettro della disoccupazione.
Ho dovuto metterli in cassa integrazione, pur considerandoli come figli, ma d'altronde ero in perdita economica: i bilanci da tempo non quadrano più. Se gli affari non miglioreranno sarò prima o poi costretta a licenziare qualcuno, magari partendo dal settore racconti o quello canzoni, cercando di non toccare i prestigiosi settori workshop e romanzi. Oppure si potrebbe valutare l'ipotesi di cessione dell'attività. Per evitar tutto questo l'unica speranza è inglobare un socio d'affari che porti nuove risorse, in attesa di trovare degli acquirenti affidabili.
Così mi sono accordata col sindacato interiore (inconscio): abbiamo stabilito una scadenza entro la quale dovrò trovare un socio, oppure valutare seriamente l'ipotesi di cessione, per evitar di lasciare i personaggi in mezzo ad un foglio bianco.
Non so se rendo l'idea.

E allora, che dite? Devo continuare?

-- continua --
(...forse... ) 

Numero dodici

Sebastian Giovinco è il numero dodici della Juventus, sebbene per caratteristiche tecniche si avvicinerebbe più a un numero dieci. Ma lui ha scelto di vestire quello che normalmente è il numero del portiere di riserva, forse per non dover sentire il peso della maglia che fu di Del Piero. Una sorta di presagio, la scelta del dodici? In effetti Sebastian ha fatto molta panchina da quando è tornato alla Juve, il club che l'ha cresciuto. E dire che, quand'era al Parma, lontano da casa, segnava tanto ma soprattutto giocava. 

Giovinco vive una strana situazione; è un giovane neanche più tanto giovane (27 anni per chi gioca a pallone non sono pochi), cresciuto a Beinasco, svezzato coi colori bianconeri, dotato di grande tecnica ma con quella bassa statura che forse più che penalizzarlo in campo ne pregiudica il valore agli occhi degli altri.
Sebastian ci mette la buona volontà, ma per quest'anno niente gol ancora. Solo pali, tanti pali beffardi. Questo però è anche il suo ultimo anno, la sua ultima chance, dopodiché il contratto con la Juve scadrà. Finora le opportunità per lui sono state poche, pochissime: ha giocato 106 minuti in campionato, vale a dire poco più di una partita intera, e anche in Nazionale mister Conte gli ha concesso solo spezzoni. La cosa assurda per Sebastian è che ogni volta che tira le assi della porta vibrano ma reggono. Tanti pali e niente gol. Niente gol, niente gloria. E niente contratto. La sua Juve non riesce a valorizzarlo, perché a monte non gli concede il giusto spazio? Forse servirebbe solo un po' di pazienza? O altrove renderebbe meglio? Certo non è facile resistere alle pressioni mediatiche, e a quelle che probabilmente lui stesso si crea. Non si capisce se sia una mera questione di sfortuna, o di minutaggio, o di destino. 
Ma il numero di maglia se l'è scelto lui, e un buon numero dodici dev'essere sempre pronto, che si tratti di giocare due minuti o novantadue, perché prima o poi l'impegno paga. Prima o poi arriverà l'opportunità. Anche per un piccolo creativo del pallone in un mondo in cui si prediligono fisici statuari e potenti.

Ecco, anziché di un mito ho narrato di un calciatore, ma che importa? Rende bene l'idea.
Da troppo tempo sono anch'io una panchinara che quando entra in campo sfiora l'estasi del gol e poi cerca di resistere all'impulso della resa dinanzi all'ennesima beffa. Questo deve saper fare un buon numero dodici. Riprovarci.

Cosa farò da grande

Cosa farò da grande,
domanda tale anche senza punto interrogativo che di questi tempi in cui in tremila si presentano per un posto da infermiere assume una rilevanza notevole. Dentro questa domanda ci leggo quesiti esistenziali quali "cosa vuoi fare della tua vita, del tuo tempo?", "che ci stai a fare, qui?" e ancora: "hai una sola vita: dove/come intendi spenderla?"
Ecco, ora sì che viene l'ansia.
Perché l'effetto di porsi queste domande, di porsele veramente, è devastante. Con l'enorme rischio di scoprire che forse non siamo sulla strada che volevamo, che forse ci stiamo uniformando per quattro soldi, ma anche col rischio di mettersi a inseguire chimere astratte e sfuggenti. Con tutti i rischi del caso però, ogni tanto bisogna porsele, queste domande. Perché è del nostro tempo, del nostro esistere, del nostro essere che si sta parlando! Non siamo certo qui per accumulare zeri sul conto corrente, anche se ci preoccupiamo innanzitutto e soprattutto di quelli. E non siamo qui per perdere la nostra dignità con contratti precari, lavori a chiamata, in nero, quando capita... Anche se a volte si deve scendere a compromessi per sbarcare il lunario, con buona pace delle proprie attitudini.

Vi dirò, da qualche tempo mi sono accorta che la mia attitudine è quella di insegnare, sostenere, condurre. Lo è sempre stata, in realtà. Nonostante ciò ho scelto però di studiare scienze politiche, ed ora certamente s'è fatto un pochino tardi per tornare indietro e diventare professoressa di italiano; eppure le mie scelte non sono state sbagliate, né giuste, semplicemente scelte...
Paradossalmente dopo l'università le mie conoscenze/competenze sono lievitate, assieme alle mie consapevolezze, fino a condurmi alla decisione di "giocare" a fare la formatrice, nel modo che so, cioè ispirando gli altri coi miei mezzi da saltimbanco. Per fare questo non sono ricorsa a nessuna iscrizione a nessun albo di professionisti formatori: ho cominciato e basta. Ho cominciato in verità per gioco. Mi è piaciuto. Ho continuato. Ci ho scritto un progetto. E adesso sto continuando a giocare seriamente, per poter costruire questo sogno progetto, e allo stesso tempo esortare gli altri a fare altrettanto con i propri. Perché il nostro tempo è più importante della burocrazia, delle scartoffie e persino di regole, convenzioni e percorsi ordinari.

Rotolando

Non vado avanti perché non me ne va dritta una, ma a furia di curve finisco per girare su me stessa. Mi gira la testa. E poi, la caduta.
Devo stare calma, sebbene abbia un'immensa voglia di scrivere, di raccontare tutto quello che mi sto tenendo dentro, da troppo tempo... voglia di farlo esplodere fuori prima che imploda dentro, sarebbe un peccato... perdere storie e canzoni e versi e immagini pescate dal mio mare interiore. Sarebbe proprio un peccato. Cominciamo allora dalle cose semplici: due versi, così, come vengono vengono.

Non è mai troppo tardi
se pensi che non lo sia

Opinabile. Nulla è eterno, prima o poi sarà tardi, no? Ma relativizziamo: non è mai troppo tardi, basta (ri)cominciare e crederci. Parola di ritardataria cronica che iniziò questo blog con un post titolato "Scusate il ritardo", parola di chi, umanamente, ogni tanto si auto-impone il blocco dello scrittore perché scoraggiata dai non-risultati ottenuti, parola di chi arriva alle cose con tempi biblici. Ma ci arriva. In qualche modo. Sindrome da bicchiere pieno, dopotutto.

Se cadi e non riesci a rialzarti, 
allora... rotola
(perché l'importante è muoversi!)

Stare al tappeto può essere denigrante, se rimani fermo, ma sai che spasso muoversi in maniera alternativa, rotolando! Rotolando, e non strisciando, perché pur rimanendo umili non bisogna mai perdere il sorriso, né la dignità.

Vi presento il Tealtro


Rieccomi.
E' passato parecchio tempo dal mio ultimo articolo, ma avevo bisogno di tacere (sul web s'intende!) in un periodo di onesta confusione esistenziale, per capire quale strada imboccare, cosa essere davvero. La verità è che stavo sbandando, insicura e arrabbiata. Negli ultimi tempi era diventata troppo statica, troppo isolata, in un momento peraltro sfortunato sul piano professionale: con Damazerico non ho avuto le possibilità che speravo. Non è stato facile accettarlo. Così mi sono ributtata a scrivere un secondo romanzo, mentre dentro mi accadeva qualcosa di imprevisto: una parte di me reclamava spazio, condivisione, respiro, gioia. Proprio da questo forte bisogno di stare con gli altri e di lavorare per gli altri, è nata l'idea del Tealtro.
Il "te" è inteso come "io", "altro" è inteso come altro te e tanti altri intorno a te. Questo gioco di parole esprime ottimamente il senso dell'idea, richiamando il teatro come finzione: facciamo finta che, fingiamo di. E una scrittrice sa bene quanto la finzione - che non è falsità ma metafora - possa servire per dire e per dirci la verità. Per quanto essa sia scomoda.

Il Tealtro è un progetto inedito, come una rosa dai petali di diverso colore; tanti workshop differenti, costruiti su di un inedito quanto inusuale mix di approcci: dal ludico al formativo, dal teatrale al musicale...
Ho già avuto modo di proporre tre laboratori, e il 1° giugno chiuderò questo ciclo sperimentale con un ultimo workshop. Il filo conduttore (velato) di tutti gli incontri è quello dell'educazione alla pace. Certo, non si tratta di laboratori sulla nonviolenza in senso stretto; il lavoro sull'educazione alla pace è sottinteso, taciuto, fra le righe insomma, può riuscire come no... Perché questi workshop non sono equazioni matematiche, ma mere occasioni di confrontarsi con se stessi e gli altri, divertendosi, a prescindere dall'età o dalle esperienze teatrali.
Allora, vi va di giocare? Vi va di fare qualcosa di diverso vestendo altri panni? In tal caso il Tealtro è il palcoscenico giusto, instabile e sorprendente!
Il workshop conclusivo di domenica 1° giugno si intitola Modelliamoci e ha come tema la sfilata di moda. Orario pomeridiano, cui seguirà una cena conviviale. Per info contattatemi: elisa.freesoul@gmail.com

In questo mio percorso sento che più di una fine è la chiusura. Di un cerchio. Sono tornata alle origini. Di nuovo animatrice. Di nuovo saltimbanco. Forse non mi sono inventata un nuovo ruolo, ma ripresa uno che è sempre stato mio, però con tutte le consapevolezze acquisite dal mio percorso parallelo, quello editoriale. Credo che ambedue i ruoli mi appartengano. Scrittrice e saltimbanco. Perché forse, semplicemente, io e l'altra me ci siamo talmente avvicinate da esser divenute una sola. Ora sì che sono una vera... scrittimbanco.

Scultori di bellezza

La bellezza sta negli occhi di chi guarda, dicono.
Dunque la bellezza è ricerca.
Non basta guardarla però, bisogna saperla vedere, per poterla cogliere.

La bellezza era il tema dell'ultimo Sanremo. "La grande Bellezza" è il film che ci rappresenterà alla notte degli Oscar e che, salvo sorprese, si aggiudicherà l'agognata statuetta quindici anni dopo "La vita è bella". Il bello ricorre ancora, il bello di noi italiani capaci di grandi cose, come ricordava Maurizio Crozza nel suo efficace monologo a Sanremo.
Giorgio Gaber cantava ma per fortuna o purtroppo lo sono: dinanzi però ai luoghi comuni su italiani spaghetti e mandolini, egli citava il Rinascimento. Perché noi italiani in fondo siamo come tanti Michelangeli, piccoli scultori di bellezza che esprimiamo in diverse forme... Siamo il serbatoio creativo del pianeta! L'Italia, l'unico Paese ove è nata prima la cultura e poi la nazione, come sosteneva Roberto Benigni. Per questo è difficile spiegarsi come mai oggi l'Italia che fu di Michelangelo e Raffaello sia ora Paese per vecchi, patria della fuga dei cervelli e dei talenti sottopagati, sede delle peggiori ruberie ma, nonostante tutto, teatro delle resistenze intellettuali di quelli che ancora s'ostinano a voler cambiare il Paese, piuttosto che cambiar paese, giusto per fare un'autocitazione; perché in quel mucchietto di non arrendevoli ci sono anch'io. Non vivo un momento fortunato, ma ancor ci credo. E la bellezza? Non c'è. Per questo la cerco... creandola.
Credo sia questa la nostra peculiarità: scolpire un blocco di marmo fino a trasformarlo in un'opera d'arte. Ma la bellezza necessita fatica. Pazienza. Sacrificio. Rinuncia. Determinazione. Anche un po' di testardaggine. Scoprirsi capaci di questo enorme potere di abnegazione significa scoprire il segreto della bellezza.
Fatte tali affermazioni, suppongo che dovrò proseguire a scolpire pure io. Fatelo anche voi. Scolpite. I vostri sogni. Le vostre speranze. Scolpite, gente. Anche se vi dicono di lasciar perdere e di abbandonare il vostro marmo. Credeteci, modellatelo. Non importa quanto ci vorrà. Colpite, scolpite, scoprite, non scappate!


Ma ci vuole coraggio, per procedere Controvento. Non sono una fan di Arisa eppure devo ammettere che, oltre alla soddisfazione di aver azzeccato il pronostico del vincitore per il quarto anno di fila (sì, faccio i pronostici perché seguo il Festival tutti gli anni, amo anche la musica italiana!) penso abbia vinto la canzone migliore, perlomeno fra i big. A mio parere infatti, i brani dei giovani erano molto più autentici; oltre al vincitore Rocco Hunt che si batteva sul palco per la sua terra campana, bella e martoriata - forse giusta metafora dell'Italia - anche Diodato e Zibba hanno portato delle ottime canzoni. Ho sentito tanta ispirazione in loro, tanta voglia di emergere e di esprimersi e di... scolpire, scolpire note e parole, come solo un giovane debuttante può fare. 
Dicono che non sia stato un Sanremo indimenticabile, certamente non un'edizione fortunata; ma quel flash mob canoro, da molti ritenuti la cosa più riuscita del Festival, mi fa ricordare che la bellezza la si può esprimere anche e soprattutto uscendo dagli schemi, perfino scendendo dal palco. Quei cantanti hanno scolpito a modo loro una bellezza musicale unica, mischiandosi fra gli spettatori, fingendo un'azione di disturbo, cantando a cappella e facendosi forza l'uno con la voce dell'altro, vestendo panni diversi e stravaganti. Perché la bellezza è andare controvento... Non per vanagloriarsi di un'impresa difficile, quanto perché spingersi ostinatamente verso quella direzione significa andare verso ciò che davvero si vuole.


Cambiare paese o cambiare il Paese?

Devo dire che non è stato facile prendere coscienza della mia attuale situazione - mi auguro transitoria - che mi fa fluttuare e girovagare verso l'indefinito; credo però che tal situazione non sia poi così dissimile da quella di chissà quanti altri laureati e plurilaureati di questo bizzarro Paese... bizzarro, per non dire contraddittorio, o peggio ancora stupido: plasma e istruisce i suoi giovani, li loda, li veste con la toga salvo poi, dopo tanta seduzione, abbandonarli. Ma come?
Da anni sento coniare cortesi termini apposta per noi - bamboccioni, fannulloni, schizzinosi e via dicendo - come se il lavoro intellettuale valesse di più o di meno, a seconda dei punti di vista, di un qualsiasi altro mestiere. Io sono stata giornalista e redattrice oltre che scrittrice; creavo, plasmavo e correggevo parole, così come altri plasmano e correggono viti, bulloni, chiodi, fili. Non sono ahimè portata per lavori manuali, sono maldestra e pasticciona da sempre, però possiedo tanta creatività (mannaggia a me!) che mi spinge a pensare fuori dagli schemi. Brutta roba, da queste parti. Quante idee ho tirato fuori, solo negli ultimi due anni... Tante, troppe. E la gente che le sentiva, magari ne restava colpita, ma faticava poi a starmi dietro. Infine arrivava puntuale il sistema a troncare sul nascere ogni cosa, per mancanza di mezzi e soldi. E' stato così l'anno scorso per il progetto di cooperativa sociale (cooperativa, non casinò!) di cui ho anche raccontato qui sul blog.
Come si fanno ad anticipare soldi per un'attività imprenditoriale, se l'ho progettata apposta per guadagnarli, quei soldi che non possiedo? Ancora me lo chiedo. E' un po' come cercasi apprendisti con esperienza. Non so voi, ma io ci vedo del grottesco in questo sistema.

Alla fine scopro che, nonostante tutto, sono ancora qui a progettare il mio futuro. E la cosa strana è la parola qui. Intendo dire che resisto, forse da brava masochista, alla tentazione di fare i bagagli e andare all'estero. Perché credo nelle mie idee, devo solo imparare a non disperderle. So che voglio lavorare sfruttando le mie capacità! ...Sono gli altri che non lo sanno...

Ho voluto condividere queste cose per dare testimonianza. Non so quanto mi ci vorrà per iniziare a lavorare, ops, volevo dire guadagnare, ma prima o poi accadrà. Mi auguro fortemente qui. Il vantaggio dell'essere creativi sta nel trovare soluzioni stravaganti. Guardate, rimarrei in Italia solo per ripicca intellettuale. Prima o poi troverò il mio posticino, e così dovrebbe essere per tutti. Cari coetanei, non mollate, non molliamo.   

Consulente creativa offresi!

Buongiorno lettori. Siccome in Italia lavorare è diventato un mestiere per pochi, ho deciso di auto-assumermi come consulente creativa. Ecco qui la mia proposta.  

Presentazione di Damazerico dell'11/1
ASSUMI MAN ESCA COME CONSULENTE CREATIVA!
Nella foto qui accanto potete constatare la professionalità e la serietà con la quale ella si presenta.

Man esca t’accompagnerà per tutto il dì, se vorrai. Meglio di una bodyguard, di proteggerà dai ladri con tecniche nonviolente; meglio di un maggiordomo, ti servirà sul piatto le migliori letture possibili; meglio di un idraulico o meccanico o elettricista, ella saprà sempre come riparare il tuo malumore trasformandolo in sorriso!



Ecco qui un esempio di programma base, full time:
Ore 7.30: dolce sveglia con un brano inedito arpeggiato alla chitarra
Ore 8: interpretazione dei vostri sogni notturni, con possibilità di acquisizione del copyright per creazione di un racconto. Stesura di una rapida analisi junghiana sul significato della vostra attività onirica.
Ore 8.15: balletto-energizer Waka waka di Shakira, per i più esperti con solfeggio.
Ore 8.30: durante il tragitto verso l’ufficio, rassegna stampa mattutina con critica. Eventuali interviste ai passeggeri della carrozza della metropolitana e stesura finale di un articolo sull'opinione pubblica alle otto e trenta del mattino.
Ore 9-13: in orario di lavoro, eventuale consulto con un walkie talkie (la consulente non dispone di whatsapp, è rimasta indietro) al fine di trovare soluzioni creative per sbrogliare le proprie mansioni. Se il problema è troppo difficile, pronta una poesia di conforto.
Ore 13.30: alla pausa caffè, freddure e barzellette a volontà per non farvi pensare che bisogna rientrare al lavoro.
Supplemento: stesura di poesia e/o lettera d'amore per il/la collega che vi piace.
Ore 17: dopo il lavoro, stesura lista della spesa con ordine di priorità. Indispensabili per una dieta sana frutta, verdura e molto cioccolato. Eventuale racconto improvvisato ambientato in un supermercato.
Ore 18: fermata in libreria per acquisto nuovo libro. Se è di Man esca per voi ci sarà uno sconto.
Ore 18.15: in caso di aggressione per strada, Man esca vi proteggerà. Vedrete che nessun ladro saprà resistere alle sue barzellette. Se poi il malintenzionato in questione non ha il senso dell'umorismo, allora si passerà al piano B: coreografia di strada improvvisata sulle note di Dancing Queen degli Abba. Vedrete, anch'egli si convincerà a ballarla!
Ore 19: stesura di ricette fantasiose + coreografia su musiche dance anni 80 e 90 in cucina, mentre si prepara la cena.
Ore 20.30: consegna delle recensioni dei film e delle trasmissioni in onda in televisione. Supplemento a scelta: critica degli spot pubblicitari.
Ore 23: lettura della favola Il Belpaese immaginario.
Supplemento per chi soffre d'insonnia: stesura e realizzazione di un gioco di società in salotto. In tal caso, chiamate i vicini che ci divertiamo!

Si ricorda che non si effettua servizio nei giorni festivi.
La domenica passatela al parco. Se è inverno, al parco lo stesso, a giocare con la neve.
Man esca accetta anche chiamate a ore e addirittura a minuti: viene, vi declama una poesia e poi se ne va.
Se comprate il programma base, avrete diritto a un punto sulla tesserina fedeltà. A quota dieci in regalo un kit letterario comprensivo di: 1 romanzo/ 1 racconto/ 1 poesia/ 1 gadget a scelta tra libro a forma di portachiavi, libro a forma di portafoglio oppure libro a forma di libro.

Allora, chi mi assume?!


Spero vi sia piaciuto. Ovviamente stavo scherzando. O forse no. Chi lo sa. Beh, in ogni caso cliccando sul link sottostante troverete un indizio, almeno uno, sulla serietà delle mie intenzioni! 

Cittadini Nonviolenti



Finalmente è arrivato il momento di presentare e diffondere Cittadini Nonviolenti, la canzone ufficiale del romanzo Damazerico. Si tratta di un pezzo originale, scritto da me e riarrangiato dal mio amico Marco Lisciandrello che, pur senza poter utilizzare percussioni, è riuscito a confezionare una versione davvero ricca musicalmente. Come genere, la canzone si può definire alternative rap. Molto alternative...
Nella finzione del romanzo Cittadini Nonviolenti è rappata da Youssef e i suoi amici di periferia, tipi peraltro poco raccomandabili, e musicata da un violinista molto affascinante, Riccardo. 

Nel video in alto potete ascoltarne la versione audio, la stessa registrata "in studio" lo scorso luglio. I diritti di questa canzone che non è in vendita - non ancora! - sono stati depositati presso PrimoAutore. 

Sabato 11 gennaio, in occasione della prima presentazione del libro, Cittadini Nonviolenti è stata eseguita per la prima volta 'live' col contributo del pubblico che rimarcava i ritornelli e la frase finale.

Chi volesse il file mp3 del brano, o decidesse di utilizzarlo per farne un video, o avesse in testa altre idee, può contattarmi! Buon ascolto!

Damazerico: agli albori dell'ispirazione


Grigia città che non sento più mia, io da te vorrei soltanto fuggire. Un'altra volta, a maggior ragione che già conosco la bellezza e la diversità che stanno là fuori... Mentre tu invece, tu non cambi mai.  Cammino per le tue stanche vie, imbrattate da tiepide non-espressioni di infelicità. E' una lotta, qui. Lo cerco e lo chiedo da quanti anni, questo cambiamento? Come faccio a dimostrare se non posso nemmeno cominciare?
E pensare che ho già visto là fuori quello che potrei fare. Però il mio potere deriva dall'iniziare, più che dal fare. Ho una predilezione per muovere gli altri meglio di me stessa, a quanto pare. Ecco perché mi sono messa a scrivere sceneggiature... In fondo, il musical è un'opera destinata a una indefinita collettività. Dunque non capisco, grigia città. Perché non mi dai un'opportunità? Insomma, che devo fare? Riproporre? Aspettare? Fuggir via?
Poi una voce in pieno marzo piomba nel mio tepore spezzandolo con decisione. La voce dice di svegliarsi, se si vogliono realizzare i propri sogni. Non dice altro. Tanto basta. Perché già so quel che va fatto.
E' col destarsi della primavera che butto giù le primissime parole, sebbene si rincorressero dentro di me già da diversi mesi. Ma non so come si fa. Perciò mi blocco dopo un paio di pagine. Non so come si fa. Eppure i personaggi già vivono, respirano, lottano. Loro.
Poi, finalmente, una nuova partenza. Un carnet di nuovi volti e nuovi idiomi e nuovi costumi. E tanti tanti tamburi intorno e dentro me a percuotere con vigore sulla grancassa della mia paura interiore. 
Ritorno. Cara città, sarai pur grigia e ingrata, ma mi appartieni. Almeno ora riesco a camminare senza sentirmi soffocare. Sì, okay, ho capito, mi devo svegliare. Devo rimboccarmi le maniche. Però voglio andar per vie conosciute.
Sembra non andare tanto meglio. Credo d'aver commesso un errore. Una serie di errori. Mi volto indietro e vedo che in realtà li sto commettendo da tempo immemorabile, tali errori. Una ricerca senza né capo né coda, quando qui sono sola. Un ennesimo tentativo di tirarmi su con le cose che so far meglio, in una sorta di altruismo depurativo, ma da dentro il segnale è oscurato. La luce è oscurata. E poi crollo, nel corpo e nel cuore e nell'anima. Ed è allora che comincio a vedermi veramente... E' l'inizio di un altro viaggio. Questa volta dentro di me. Un viaggio che sarà molto lungo.
Compio una scelta. So già cosa comporterà. Quali oneri, quali sofferenze. Scelgo una strada solitaria più di un altruismo depurativo. Scelgo di scrivere per gli altri partendo da me stessa: saranno dolori. Scelgo di non aspettare più un cambiamento, e di provare a dipingerlo io stessa, per prima, attraverso quelle parole che tanto amo mettere insieme. Stavolta però sarà diverso... Niente più sceneggiature. Ho bisogno di un cammino lungo e individuale. Niente più storielle abbandonate dopo poche pagine. Perseveranza. Niente più recensioni o articoletti che nessuno leggerà mai. Questa storia sarà letta da molti. E niente più versi spaiati per gettar fuori rabbia repressa. Sarà la più dura e indelicata delle terapie.

Ritorno dai miei personaggi. Sono ancora là con le braccia conserte, da mesi in attesa di indicazioni. Non se ne sono mai andati. Mi hanno aspettata. Quelli immaginari come quelli reali. Ragazzi, sto arrivando.
Era in ritardo. Tanto per cambiare. 
Sto arrivando, eccomi! Anche se non tira una buona aria.
L’aria era soffocante. Camminava veloce Mara, forse per sentirne meno il peso...
Ci sono. Ci voglio credere. Sento l'euforia. Ancora una pagina e so che non sarà poi più possibile smettere. Sarà come saltare nel vuoto, non ci sarà modo poi di aggrapparmi ma soltanto di lasciarmi andare. E sia.
Si ritrovarono tutti e tre in uno scantinato buio e celato, immersi in un imbarazzante silenzio, con Don Alfred che li osservava tacendo. Soltanto dopo qualche minuto di smarrimento generale il prete si rivolse loro: «allora, siete qui per la rivoluzione, vero?»
Sconcertata, Mara chiese: «scusi, quale rivoluzione?»
Mi trovo in un altro universo. Cosa mi sta succedendo? Davvero avevo dentro di me tutto questo?
«Adesso basta avere paura, basta dire che non è possibile, basta piegarsi ad ogni ingiustizia! Signor Trivea… Jonathan… Don Alfred… Sono con voi. È arrivato il momento di alzarsi dal divano!»
Dovrò invece lavorar molto tempo seduta. Ma non è questo il punto. Sto facendo più passi in avanti ora di quanti in una vita intera. Quell'uomo di tanta cultura aveva ragione. Mi dovevo svegliare per realizzare i sogni, non aspettare che mi venissero serviti nel piatto. Altrimenti, che razza di sogni sarebbero? Sono qui per questo. Ispirare a mia volta, trascinare. Che fatica. Che bellezza.
Il vecchio negoziante lo guardò attonito. Vendette incredulo a quell’uomo distinto i libri rimastigli. Mentre intascava i pochi funny chiese a Damien: «nessuno legge più libri, perché li compra?»
«Proprio perché nessuno più li legge, caro signore. Gliel’ho detto, mi servono per la rivoluzione!» Damien s’allontanò contento come un bambino che ha appena comprato zuccherini e bon-bon, seguito dallo sconcertato sguardo del povero bottegaio.

...CI VEDIAMO L'UNDICI...





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