La mia libreria 2020- vol.2

Dove eravamo rimasti? Qui trovate la prima puntata: la-mia-libreria-2020-vol1.html

Sono riuscita, accelerando un po' nel finale, a leggere altri 13 libri, portando il totale annuale a 26. In realtà in autunno mi sono un po' persa, alcune letture non mi hanno entusiasmato (ma la mia politica è quella di portare a termine comunque ogni libro che inizio!). Non sono pochi 26 libri se si considera che sono una mamma lavoratrice, ma credo siano ancora pochini per una scrittrice. C'è però da dire che da brava lettrice 'onnivora' mi sono anche dedicata a letture 'fuorilista': giornali, fumetti, singoli racconti, articoli di approfondimenti, stralci di enciclopedie scientifiche e riviste 'impegnate' (non di gossip per intenderci). Vale tutto ciò? Non in questa libreria, ma credo sia importante per ognuno di noi saper scegliere bene le proprie letture. Meglio due libri in meno e dieci fumetti in più, per dire, se ci rilassano e ci fanno star bene.
Ma torniamo alla libreria 2020: sul mio profilo Instagram troverete una sorta di cerimonia degli Oscar con le migliori letture dell'anno. Vi invito a partecipare enunciando le vostre migliori letture del 2020!

La mia libreria, seconda parte

14. Vita di Pi, Yanick Martel, Piemme. Stupendo! Recensione qui: spazio-recensioni-vita-di-pi.html
15. Amleto, William Shakespeare. Che dire di un capolavoro del teatro come questo? Ben poco può aggiungere la mia modesta opinione, se non che alla lettura del celebre monologo essere o non essere, questo è il problema mi sono venuti i brividi, e ho avvertito la bramosia di rileggermelo più volte. Di un altro livello.
16. La tentazione del muro- brevi lezioni per un lessico civile, Massimo Recalcati, Feltrinelli. Sapevo già prima di iniziarlo che questo libro mi sarebbe piaciuto, probabilmente lo rileggerò più e più volte. Recalcati cattura, sa raccontare concetti non proprio semplici con incredibile facilità. Piccole lezioni per un mondo migliore.
17. Jack Frusciante è uscito dal gruppo, Enrico Brizzi. Curiosissima di leggere questo libro cult, sono rimasta soddisfatta e delusa allo stesso tempo: soddisfatta dalle tematiche affrontate, dalle difficoltà degli adolescenti nel comunicare con gli adulti e col mondo, delusa dallo stile narrativo, fatto di 'kappa' al posto delle 'ci' e altre licenze che l'autore s'è preso. Questione di gusti e sensibilità di chi legge, probabilmente.
18. Antartico, Francisco Coloane, Guanda. Ho fatto un po' fatica a leggere questa raccolta di racconti ambientati nelle lande desolate della Patagonia, forse avrebbe giovato di più un romanzo. Devo però ammettere che questo autore scrive molto bene. Alcuni aneddoti, poi, sono davvero interessanti: la spiegazione del perché la Terra del Fuoco si chiami così, per esempio, è stata esaustiva.
19. Faremo foresta, Ilaria Bernardini, Mondadori. Partita con aspettative altissime (titolo figo, trama intrigante) sono rimasta delusa strada facendo. Benché sia carina l'idea di disegnare le piante fra le pagine, parlando di loro in modo dettagliato, delicato e metaforico, a mio modesto parere trama e personaggi fanno acqua da tutte le parti, specie nella seconda parte dove ho fatto fatica a rimanere sul testo. Sembra, così a intuito, un libro parzialmente autobiografico infarcito di situazioni drammatiche.
20. Fantozzi contro tutti, Paolo Villaggio. Il mitico ragioner Fantozzi, da tempo immemorabile desideravo leggere uno dei suoi libri! Qui sono ben 26 mini racconti. Scrittura più profonda, irriverente e tragica di quanto si possa immaginare, mentre nei film si resta su un piano più goliardico. Interessanti sono alcune inedite parentesi su Pina e Mariangela, personaggi femminili di grande importanza e qui ben delineati. Ne consiglio però la lettura a spizzichi e bocconi.
21. Se una notte d'inverno un viaggiatore, Italo Calvino, Mondadori. Difficile che Calvino mi deluda, e in effetti non è successo neanche con questo romanzo del tutto fuori dalle righe. L'autore si rivolge direttamente al lettore, facendolo addentrare poi in 10 diversi incipit che si interrompono tutti. Libro non di facilissima lettura, ma geniale.
22. Fratelli tutti, Papa Francesco, Paoline. Leggere le parole di Francesco fa bene al cuore, qui sono raccolti stralci dei suoi discorsi. Il vero valore del libro però, secondo me, sta nella prima parte, dove Francesco spiega e attualizza la parabola del buon Samaritano. Il resto è un tentativo di dispensare fratellanza nelle questioni politico- economiche, cadendo un poco nella ripetizione e nella retorica. Da studentessa di Scienze Politiche posso permettermi di dire che per certe questioni serve un approccio più pragmatico.
23. La vita sul nostro pianeta, David Attenborough, Piemme. Stupendo! Trovate la recensione qui faresol.blogspot.com/2020/12/la-vita-sul-nostro-pianeta-recensione
24. Happydemia, Giacomo Papi, Feltrinelli. Grandissimo e attualissimo libro. Con sagace ironia dal retrogusto amaro l'autore ci proietta in un'Italia terribilmente simile alla nostra. Il protagonista, Michele, è un rider della potente multinazionale Happydemia, distributore di phsycodelivery. Lo consiglio assolutamente.
25. Un'amicizia, Silvia Avallone, Rizzoli. Uno dei miei regali di Natale, un librone di 445 pagine che ho divorato in pochi giorni, tanto il ritmo di narrazione era incalzante. Stupendo, nonostante la lunghezza, e ben scritto.
26. Il piccolo principe, Antoine de Saint-Exupéry, Crescere Edizioni. Si tratta di una rilettura, la migliore possibile per concludere l'anno letterario in bellezza! Fra l'altro questa edizione è bilingue: italiano da un lato e francese dall'altro, arricchita inoltre dalle illustrazioni originali dell'autore.

In generale posso dirmi soddisfatta delle mie letture, anche se per il prossimo anno intendo fare una selezione ancora più accurata: preparerò una sorta di piano di battaglia letteraria, per continuare ad alternare grandi classici e narrativa contemporanea, romanzi e saggi, avventura e introspezione, avvicinandomi a quegli autori che ancora non ho avuto occasione di leggere.
E, invece, quali sono i vostri buoni propositi (letterari) per l'anno nuovo?

La vita sul nostro pianeta- recensione

La vita sul nostro pianeta, David Attenborough

Edito da Piemme, 2020


Quando mi capitano fra le mani libri stupendi non posso non dedicare loro una recensione.

Qui siamo di fronte a un'opera che traccia con assoluta lucidità il destino del pianeta Terra e, quindi, dell'umanità intera.

L'opera di David Attenborough è lucida, ben curata, tutt'altro che noiosa, spietata nella sua breve analisi del prossimo futuro se non invertiamo la rotta e, infine, preziosa per quanto riguarda la parte propositiva: quando si parla di ambiente e crisi climatica non basta criticare, bisogna proporre soluzioni! E l'autore ci riesce, parlando al lettore con semplicità disarmante.

David Attenborough è stato il pioniere del documentario naturalistico, perciò ha girato il mondo e visto con i suoi occhi ciò di cui parla nel libro. La voce di questo divulgatore scientifico novantaquattrenne dovrebbe essere ascoltata da tutti, dacché lui possiede quella memoria storica che noialtri più giovani, nati già in mezzo a un pianeta stremato e inquinato, non abbiamo. E' quello che l'autore definisce come sindrome dello spostamento della linea di base. Forse non ci abbiamo mai fatto caso, ma noi percepiamo il mondo in base alla nostra esperienza, ciò che c'era prima esula dunque dal nostro concetto di normale. Nascere in un pianeta già inquinato e surriscaldato diventa, man mano che scorrono le generazioni, una cosa normale.

Altri due aspetti mi hanno particolarmente colpito dei copiosi argomenti trattati. Il primo aspetto riguarda gli oceani, il delicato equilibrio marino sconvolto dalle azioni umane, in primis la pesca incontrollata, ma anche gli allevamenti intensivi per far fronte all'enorme domanda di pesce. Per l'autore basterebbe poco a riequilibrare la situazione. Il secondo aspetto riguarda invece le zone selvagge, lo spazio naturale che diminuisce per far spazio a noi, aumentando il rischio - fra le altre cose - di nuovi virus che dal serbatoio animale passano all'uomo, come capitato con l'attuale pandemia (questo non lo sostengo io: si tratta di una teoria scientifica già divulgata qualche mese fa. A riguardo avevo letto uno splendido articolo sulla rivista Internazionale). 

E' incredibile come dinanzi a tutto questo l'umanità abbia deciso di scrollare le spalle noncurante, davvero incredibile che non ci renda conto dell'irreversibilità del futuro cui stiamo andando incontro... Eppure, come ci ricorda l'autore, siamo ancora in tempo per invertire la rotta. Questo è l'ottimismo, peraltro sorretto da ottime soluzioni proposte, che manca a tanti altri pensatori.

Non esiste il Nobel alla carriera, ma io a quest'uomo lo darei.

Ad arricchire il volume troverete delle splendide fotografie, oltre a disegni di flora e fauna che inframezzano le pagine. Sul finire è stato inserito un valido glossario in aiuto ai lettori non esperti dei vari processi menzionati nel libro.

Un'ultima avvertenza: benché ben raccontati, nel libro si trattano argomenti di una certa difficoltà, dunque potreste non riuscire a comprendere appieno alcune cose.


  Ritmo (coinvolgimento e svolgimento delle tematiche) SUPER!
  Linguaggio (grammatica, sintassi, ricchezza del lessico) SUPER!
  Stile/ originalità (quanto l'autore sia riuscito a distinguersi) SUPER!
  Utilità (lucidità dell'analisi, proposizione di idee e soluzioni) DA PREMIO NOBEL
Copertina e quarta di copertina (presentazione esteriore del libro) SUPER!

R-ockdown

To rock= dondolare, oscillare


Proprio di oggi è la notizia che una libreria apre a Torino.

Una libreria. Apre. In piena pandemia. Sull'orlo del lockdown! Questa, se volete, è follia. Oppure una ventata di speranza che spira su di noi.

Se leggete l'articolo (sull'edizione cartacea odierna de La Stampa Torino) apprenderete che ad aprirla è un archeologo: l'Indiana Jones dei nostri tempi ha dichiarato di aver realizzato il suo sogno.

Ha realizzato il suo sogno... Nonostante la realtà.

Stiamo barcollando sull'orlo di un precipizio, noi singoli così come noi comunità, per questo ci stanno ordinando di restare fermi dove siamo. Paralizzati dove siamo. In questo momento l'oscillazione è tale da non permetterci di camminare correttamente, ma si può sempre dondolare...

Dondolare per avere una parvenza di equilibrio, senso del ritmo in una quasi danza che ci fa sentire vivi, stralcio di movimento nel momento in cui ci dicono di restare fermi. Dondolare non vuol dire negare il pericolo, e nemmeno comportarsi da incoscienti: significa provare a trarre giovamento da una situazione di stallo che potrebbe alla lunga danneggiarci comunque. Dondolare per restare caldi e tonici, per non perdere l'abitudine, magari canticchiando una canzone (of course, una canzone rock).

Rockdown letteralmente vorrebbe dire dondolare giù. Che suona abbastanza strambo, quindi perfettamente adatto alla situazione; Se il lockdown indica il confinamento e la serranda collettiva abbassata, il rockdown può indicare un movimento inusuale, ritmato, pulsante, sebbene prudente e limitato, come resiliente forma di r-esistenza.

Nella vita di tutti i giorni si può tradurre con: prendersi cura di sé, del prossimo e del posto in cui abitiamo. Indossare la mascherina, certo. Ma anche acquistare nelle botteghe sotto casa, vivendo il nostro quartiere come se fosse il nostro villaggio... Questa piccola cosa, fattibile anche in zona rossa, sosterrebbe i piccoli imprenditori e contribuirebbe a costruire un microcosmo di solidarietà fra cittadini. Al contrario, qui pare che il massimo dell'interazione possibile fra concittadini sia il controllarsi a vicenda a mo' di sceriffi. E pensare che cordialità e gentilezza sono praticabili anche a distanza di sicurezza.

Fintanto che abitiamo zone rosse, o aspiranti tali, questo è ciò che possiamo fare. (Sforzarci di) prenderci cura di noi stessi e del prossimo.

Ma non basta. Né rimanere paralizzati, né dondolare, né camminare incuranti di tutto. Bisognerà poi scuotersi. Quando sarà finita l'emergenza non saremo più paralizzati, né dondolanti, eppure non potremo tornare a camminare incuranti di tutto ciò che ci circonda, non ce lo possiamo più permettere: l'emergenza sanitaria del Covid-19 ha messo bene in evidenza ciò che palesemente non funziona, ma ha anche riordinato le nostre priorità. 

E allora, se stiamo imparando la lezione, proviamo a ripensare le nostre città! Affinché in futuro si possa parlare solo di zone verdeggianti.   

L'autodidatta- il gioco di scrivere

Riassunto delle puntate precedenti: da adolescente scrivevo diari segreti, lettere e biglietti compiendo un’inconsapevole analisi introspettiva. Ma avevo anche molta voglia di divertirmi, perciò... Cominciai presto a inventarmi giochi strampalati pensando ai personaggi, all’ambientazione, agli arredi e ai costumi! Stavo giocando alla piccola sceneggiatrice senza saperlo. E quando lo spazio era troppo ristretto per grandi giochi stile caccia al tesoro, beh, mi limitavo a simil-party game da tavolo. Chiedere ai miei parenti di Paccopoli e delle altre baggianate che mettevo su ogni Natale con la complicità di mio padre... Questa è in sintesi la mia sperimentazione adolescenziale in materia ludica, fatta di grandi, ehm, successi, fino a raggiungere l’apoteosi col progetto Tealtro nel 2014.

In un’era invasa da schermi e teleschermi con games veloci, luccicanti e preconfezionati è davvero difficile esaltare la pratica dei giochi da tavolo, ma la verità è che persino una semplice partita a Forza 4 può aprire la mente molto più di qualsiasi giochetto compulsivo. Se si gioca a Forza 4 c’è un avversario davanti a noi con cui interagire, ridere, scherzare. La lentezza del gioco da tavolo, poi, obbliga a pensare, riflettere, escogitare la prossima mossa.

I giochi hanno da sempre un ruolo sociale importantissimo, a qualunque età. I miei nonnetti in RSA quando giocano alla Tombola sono le persone più felici di questo mondo, anche se non vincono niente. Se loro, a novant’anni suonati, possono divertirsi con quattro cartelle e due scemenze come premi perché per noi adulti è così tanto difficile?

Forse perché siamo troppo stanchi- stressati- delusi- arrabbiati- distratti dalle nostre vite per sederci a un tavolo e giocare a Cluedo con gli amici? È molto più comodo guardare una serie TV o pasticciare lo smartphone. La nostra routine incide, è vero, ma spesso è anche la convenzione sociale secondo cui a una certa età non si può giocare più. Un vero peccato. Perché col gioco si può socializzare, imparare, baccagliare, dimagrire, lavorare. Praticamente, giocando, potremmo realizzare tutti i nostri sogni ;)

Siamo troppo seri. A scuola impartiamo una ferrea disciplina ai nostri ragazzi, obbligandoli a lunghi periodi di sedentarietà, compiti in classe, e pure a casa. A lavoro, in un qualunque ufficio, il modello non può che essere quello.

Io sono una convinta sostenitrice del gioco come mezzo ludico. In futuro, prima o poi, scriverò e pubblicherò un saggio sul gioco, sui benefici che comporta da 0 a 120 anni. Sarebbe l’apoteosi della mia carriera di animautrice.

Ma torniamo alla me stessa adolescente: inventare giochi, dunque, era diventato il mio passatempo. Certo il bagaglio ludico dell’oratorio mi aiutò parecchio a sviluppare i meccanismi dei giochi, specie quelli di movimento. Mi appassionavano proprio: oltre a divertirmi come una matta devo dire che era molto bello vedere gli altri divertirsi con una mia proposta. Ricordo che una sera in oratorio proposi un gioco giallo coinvolgendo una parte degli animatori a fare i personaggi e lasciando gli altri a giocare a squadre per svelare il mistero. Andò bene. In seguito virai decisa su giochi con ambientazione horror, fatto di tanti buuh! per spaventare, ma anche di tante trovate strampalate nelle trame. Strano, allora trovare il consenso degli altri era infinitamente facile. In genere partecipavano tutti volentieri. Eppure non avevo chissà quali competenze in merito.

A distanza di anni riconosco il valore inestimabile di tutte le cacce al tesoro e i vari giochi inventati: mi aiutarono a pensare che, quando si scrive, bisogna innanzitutto coinvolgere il lettore. Ma oltre a inventare giochi, a un certo punto presi ad ascoltare il rap, prendendo subito spunto.

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L'autodidatta- lettere

 Seconda puntata


Lettere. Non è un riferimento alla facoltà universitaria che forse avrei potuto scegliere, e nemmeno un generico trattato sulle componenti elementari delle parole, bensì un elogio alle materiali composizioni con mittente e destinatario.

Il diario segreto era terapeutico, ma segreto, appunto. Ecco perché la mia inclinazione esondò presto verso altre forme, affini al diario, forme che si rivolgevano al mondo esterno. Avevo ormai l’abitudine di scrivere tutti i giorni, sicché quando mi capitavano cartoline o biglietti d’auguri era abbastanza naturale lasciarmi andare oltre le frasi fatte, verso qualcosa di più profondo.

Oltre ai biglietti delle ricorrenze e alle dediche sui diari delle mie compagne di scuola, si aggiunse presto una forma di comunicazione scritta ancora più profonda: la lettera. All’epoca ero una giovanissima animatrice nella mia parrocchia; ai campi estivi l‘usanza di scambiarsi bigliettini e messaggi divenne per me fertile terreno di lunghissimi mattoni- lettere baluardi dell’amicizia vera (ero troppo timida per le lettere d’amore; ne scrissi una sola abbastanza velata, senza ricevere risposta, e da allora prevalse la paura del rifiuto). Alcune volte le lettere erano davvero difficili da redigere: cosa si poteva scrivere a persone che conoscevo poco? Era infatti usanza, ai campi estivi, scrivere a tutti o quasi tutti i partecipanti. Così mi sforzavo di calarmi nei panni dell’altro, per trovare qualche punto in comune. Non lo potevo immaginare, ma stavo compiendo un esercizio di primordiale empatia.

Come sono cambiati i tempi! Oggi se vuoi scrivere a qualcuno apri WhatsApp. E spesso lasciamo che siano Instagram, Facebook, Linkedin, Twitter le nostre finestre di comunicazione sul mondo, con l’obiettivo più o meno consapevole di raggiungere più utenti possibili, in modo da incassare più like e commenti e condivisioni. Si può dire che siamo alla costante ricerca di attenzione e approvazione. Magari ostentando una felicità che non ci appartiene solo per costruire un’immagine di noi socialmente accettabile, evitando di mostrare le debolezze.

Ma la lettera, no. Non ammette questo tipo di comunicazione, nella lettera bisogna essere autentici. È vero, soltanto un destinatario la leggerà, ma è proprio questa selezione che permette di farci conoscere dall’altro, un altro speciale. Nella lettera la segretezza tipica del diario viene condivisa in un rapporto esclusivo col destinatario prescelto, che a sua volta potrà scegliere di raccontare il proprio sé autentico rispondendo con un’altra lettera. I sentimenti prendono piede facilmente tra le parole, ci si sente più sciolti al punto da rivelare all’altro ciò che proviamo meglio di qualsiasi discorso. E rivelare le nostre paure e le nostre cadute diventa molto più facile, se non addirittura conveniente: chi meglio di un amico (o di un parente) può consigliarci e comprenderci?

Era un periodo in cui prediligevo la scrittura a mano, ma questa non si limitò a essere solo un’analisi introspettiva o una forma di comunicazione: ero pur sempre un’adolescente, quindi una non-adulta che aveva voglia di divertirsi. Andavo matta per i giochi, quelli da cortile e quelli di ruolo. Senza particolare fatica mi trovai a inventare per i bambini dell’oratorio grandi giochi d’azione con cura minuziosa di dettagli.

continua

Terza puntata: il gioco di scrivere

L'autodidatta- Caro diario

 

Prima puntata

“(...) Uno dei modi per diventare ‘ciò che si è’ è l’esercizio della scrittura personale in cui, specialmente attraverso la stesura di diari autobiografici, il soggetto che si racconta - nello scrivere, cancellare e riscrivere le definizioni di sé, ma anche nell’annotare esempi e riflessioni, si scopre e si costituisce.”

Sara Nosari, L’educabilità, editrice La Scuola, 2002

 

Iniziai così.

Non so cosa scrivessero Dostoevskij e Kafka da ragazzi, ma io non mi cimentai in nessuna opera letteraria, iniziai invece da una inconsapevole e profonda autoanalisi. Come tutti gli adolescenti avevo solo bisogno di sfogarmi un po’. Buttavo giù tutto quello che di solito divora a quell’età: l’incertezza del futuro, la paura di amare, il conflitto col mondo, il dramma esistenziale in qualsiasi evento quotidiano come un 4 in matematica…

Non iniziavo mai il diario scrivendo mio caro diario, ma il senso era un po’ quello. Quando ho buttato giù la prima frase non era mia intenzione cimentarmi in chissà quale impresa, il primo anello di quella lunga catena fu semplicemente il riflettere su cosa mi stava accadendo in quel momento. Estate 2001. Facendo animazione in oratorio iniziai a capire molte cose di me che prima ignoravo. Così, frase dopo frase, decisi di auto-regolamentarmi e di iniziare un diario di bordo a tutti gli effetti. Chi l’avrebbe mai detto che ci sarei andata avanti per dodici anni.

Dodici anni, raramente saltando dei giorni. Se mi rileggo mi metto le mani nei capelli, per la dose esagerata di tormento che scandiva le mie giornate in ogni ambito. Però... se mi fossi tenuto dentro tutto sarei implosa. Invece, per dodici anni il diario mi è servito da valvola di sfogo, non ho mai pensato di farlo leggere a qualcuno, anzi, lo custodivo con estrema attenzione lontano da sguardi indiscreti.

Ho letto delle cose interessanti riguardo alla pratica del diario segreto: pare sia davvero un ottimo strumento di autoanalisi interiore, un modo per conoscersi, raccontarsi, aprirsi un varco dal di dentro con meno vergogna rispetto, per esempio, al parlarne con qualcun altro. Il diario non dà facili soluzioni ai problemi, ma fornisce una sorta di monitoraggio costante che nel tempo può consentire di correggere il tiro. Naturalmente è un qualcosa di molto spontaneo, e i procedimenti terapeutici che si possono innescare avvengono perlopiù in maniera inconsapevole.

Scrivere il diario segreto non implica ovviamente che si diventi poi autori di fama mondiale, ma può essere un chiaro segnale della propria inclinazione. La tenacia con cui mi chinavo sulle pagine, nonostante la mole di compiti appena smaltita o ancora da smaltire, era come una forza magnetica che mi attraeva. Non potevo sottrarmi alla narrazione, ancorché minima, della mia giornata.

Se fossi stata una teenager nel 2020 probabilmente avrei tenuto un blog, sparso i miei tormenti in giro per i social, al massimo scribacchiato su un foglio word, ma il lento gesto di scrivere a mano obbliga a pensare bene a ciò che si sta formulando, ed è molto più terapeutico. Inoltre, la segretezza fa sì che i molteplici sfoghi rimangano lì al loro posto, senza che nessun utente commenti quanto scritto.

Il primo step dell’autodidatta è stato questo, per me. Scrivere fiumi di pagine... Non per tutti gli autori è così, naturalmente. C’è chi frequenta dei corsi di scrittura creativa, c’è chi inizia scrivendo dei racconti o delle poesie, o magari un romanzo. Ricordo distintamente che al liceo mi imbattei in un racconto di un coetaneo, pubblicato su un giornaletto; fui molto onesta con me stessa nell’ammettere che no, io non ero assolutamente capace di scrivere così bene; io ero solo quella che scriveva un diario segreto con cura minuziosa.

Ma l’inclinazione prese presto a manifestarsi sotto altre forme. Dediche, lettere, bigliettini, cartoline... portando la mia attrazione fatale sotto gli occhi di tutti.

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Prossima puntata: lettere

L'autodidatta

Introduzione

Vi siete mai chiesti quando gli scrittori hanno deciso di fare gli scrittori?

Quand'è che a un certo punto della vita uno decide di intraprendere una determinata strada? Per alcuni mestieri c'è addirittura la Chiamata, ma la vocazione di scrivere sembra essere oggigiorno un pochino inflazionata... Anzi, mi correggo, la vocazione di pubblicare. Esistono molti modi per arrivare a tale obiettivo, tant'è vero che in Italia si pubblicano circa 65000 titoli l'anno. Emergere da questa mole è assai difficile, perciò pubblicare non basta a decretare il successo di un autore e a definirlo tale: bisogna vendere. Quindi contano solo le copie vendute? Quindi Cinquanta sfumature di grigio è una pietra miliare della letteratura? O forse conta il successo di critica? E se un libro recensito come pessimo viene venduto in milioni di copie, come la mettiamo? Mmh, ci sono troppe variabili. 

Insomma, chi può autodefinirsi scrittore o scrittrice, dal momento che non esiste un albo apposito? Quand'è che si acquisisce lo status sociale di autore? Wattpad, Youcanprint, casa editrice tal dei tali, crowdfunding, corsi accademici, raccolta punti, cosa?

I grandi autori del passato hanno dovuto fare i conti con rifiuti, scarso successo di pubblico, mancanza di soldi, e tante altre magagne. Ma un tempo la possibilità di produrre un manoscritto e in seguito di pubblicarlo non era certo alla portata di tutti.

Oggi il web dà una chance praticamente a chiunque, e questo non vale solo per i libri, eppure sono sempre i lettori ad avere l'ultima parola: se certi titoli diventano dei best seller è perché qualcuno li ha pur comprati.

E voi, cari lettori in questo blog, che direste di me a primo impatto? Sono una scrittrice? Una che ci prova? Un'aspirante ispirata? Una promessa incompiuta? Una panchinara cronica che attende speranzosa la sua chance? 

Per fare luce bisogna affrontare un viaggio a ritroso. Ripercorrere le tappe, raccontare delle radici piuttosto che dei frutti.

Racconterò di vecchi gesti caduti in disuso, ma molto in voga vent'anni fa. Racconterò di come può essere complesso un processo di formazione, complesso quasi come un'adolescenza. Racconterò di me, ma aprendo a un confronto sulle vostre personali esperienze di autori o di semplici lettori.   

Per questo viaggio a ritroso bisogna partire da quel momento in cui ho preso in mano una penna non per fare i compiti. Non per scrivere scemenze. Non perché me l'aveva ordinato qualcuno. Solo per smisurata incontrollabile attrazione

E' proprio lì, a quasi quindici anni, che ho cominciato il mio percorso di

autodidatta 

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Festa contorta

Racconto breve 

Adoro fare torte.

Fosse solo questo.

Amo inventarle dal nulla, e decorarle, e farcirle, senza bisogno di cliché televisivi o ricette impostate o esempi preconfezionati, adoro mescolare gli ingredienti alla mia maniera, sperimentale e rischiosa.

Forse avrei potuto fare strada, se solo una pasticceria avesse scelto di credere nella mia linea di dolci…

Tempo fa feci il giro delle piccole pasticcerie di zona, ma tutte mi risposero che erano già piene di torte da testare di altri provetti pasticceri. Qualcuno si sbilanciò oltre, dicendomi che avrei dovuto specializzarmi in una linea precisa, invece di sfornare crostate di frutta e torte di compleanno e ripiene al cioccolato e stracolme di crema pasticcera. Insomma, dovevo scegliere una sola specialità, con ingredienti standard, ma ciò che mi uscì successivamente furono degli esemplari ibridi, miscugli di calorie che col tempo imparai a domare, affinché fossero dolci non troppo dolci.

Un giorno un pasticcere più furbo degli altri mi disse che se lo avessi pagato mi avrebbe fatto esporre una torta nella sua vetrina; rifiutai indignata, oltretutto si trattava di una vetrina poco esposta e non certo di una pasticceria del centro… Scoprii col tempo che pasticcerie di questo genere ce n’erano tante, e che altri aspiranti come me cedevano senza tanti dubbi, pur di ritagliarsi uno spazietto di visibilità.

Nel frattempo, crebbe in me un disperato bisogno di condividere tutte quelle calorie.

Che spreco, altrimenti! O che chili in più per me!

Decisi allora di dare una festa. Quale modo migliore di farmi conoscere, se non prendendo per la gola potenziali clienti?

Così festa fu.

Doveva trattarsi di una semplice festa con torta, ma i miei dolci sembravano – dall’esterno - poco accattivanti, persino ambigui. L’offerta troppo variegata trasformò l’evento in una festa contorta, dacché gli invitati si mostravano distratti e indecisi. Poco prima della fine tagliai la mia torta di punta, piccola ma traboccante di panna e fragole, che difatti lasciò gli ultimi invitati rimasti assai soddisfatti. Che peccato... Avessi avuto più scorte!

Quella festa non mi fermò, anzi, mi riorganizzai, nonostante la mia piccola cucina non fosse certo attrezzata per sfornare dolci in continuazione… insomma… dovevo pur mangiare altro! Cercai un equilibrio precario fra cucinare per passione e cucinare per necessità. I piatti salati mi riuscivano altrettanto bene, ma costavano comunque tempo e fatica.

L’ostinata passione mi condusse a ricreare una vasta gamma di chantilly nei quali credevo molto. Ma continuavo a essere sprovvista di strumenti, cosicché da pasticcera a pasticciona fu un attimo. Benché si presentassero come pasticci poco invitanti all’esterno, le paste non erano affatto male: la panna al loro interno era forse la più pregiata che avessi mai creato, ma anche la più difficile da gestire.

Fu per questo che decisi di contattare un esperto pasticcere, specializzato nelle paste fresche, nel tentativo di imbastire una collaborazione: oltre che di strumenti, ero carente di semplici vassoi. Tuttavia questo esperto indugiava troppo, mi trattava con sufficienza, così lo lasciai perdere.

Per fortuna che in casa avevo ancora un po’ dell’ottima panna. Decisi di dar fondo a quella preziosa scorta, nel tentativo di fare bella figura.

Diedi un’altra festa.

A questo party, però, non era prevista una torta di spicco a catturare l’attenzione, perché volevo che gli invitati provassero i miei chantilly sperimentali. Ahimè, non ottenni il successo sperato: i pochi clienti che si presentarono parevano del tutto disinteressati alle paste. Ben presto finirono gli assaggini di torta margherita, ce n’era una sola! Avevo dedicato un sacco di tempo a preparare quelle paste, possibile che nessuno se ne curasse?

Un’altra festa contorta.

Sembrava che gli invitati fossero interessati più all’atmosfera, alle vuote chiacchiere intorno, che alla bontà di quel che si mangiava. Perché spesso non si ha la pazienza di fermarsi ad assaporare le cose, gustandosele per davvero?

Ho sempre badato molto più all’essenza, ma anche la forma conta molto, a questo mondo. L’unica possibilità che ho è quella di continuare per migliorarmi. Chissà se un giorno, finalmente, anche le mie torte e i miei chantilly approderanno in una vetrina di pasticceria, ancorché piccola.

Ora vi lascio, che vado a fare il tiramisù.


Spazio recensioni- Vita di Pi

Vita di Pi, di Yann Martel, 2001 
Edito da Piemme

"Voglio essere sincero. Non ho niente contro gli atei; sono gli agnostici che non sopporto. Il dubbio è utile se dura poco. (…) Se Cristo passò una notte d'angoscia in preghiera, allora anche noi possiamo permetterci i dubbi. Ma poi bisogna superarli."

Probabilmente molti di voi conosceranno il film e non il libro.
Io stessa ho visto prima il film, e solo in questo periodo mi è capitato di leggere il romanzo.
Devo dire che mi hanno molto colpito le vicissitudini dello scrittore, che prima di questo libro aveva avuto ben poca fortuna; il successivo viaggio in India ne cambiò vita e carriera.

La parte della storia più conosciuta è senz'altro la lunga permanenza del giovane Pi Patel a bordo di una scialuppa nel Pacifico in compagnia di una tigre del Bengala.
Personalmente ho trovato molto bella anche la prima parte del romanzo, quella antecedente al naufragio; il giovane Piscine Patel è figlio di un gestore di uno zoo in India. Fin da subito Piscine deve fare i conti con le prese in giro riguardo al suo nome, che poi decide di abbreviare a Pi. Attraverso il suo giovane sguardo, l'autore ci propone descrizioni dettagliate e interessanti sui comportamenti animali. L'animale più pericoloso dello zoo è l'uomo, si legge, per smorzare un po' il nostro antropocentrico vizio di metterci sempre al centro dell'universo.
L'avvicinamento di Pi alle religioni (che lo porterà a essere contemporaneamente cristiano, musulmano e induista) si rivela essere la parte chiave del libro; è sbalorditiva la profondità del protagonista che si interroga su Dio e sulla vita finendo per abbracciare fedi diverse e citando Gandhi - tutte le religioni sono vere - in sua difesa contro lo scetticismo degli adulti, quegli stessi adulti che non sanno far altro che sminuire le fedi altrui senza rispetto, mentre Pi trova conforto in ognuna di esse. 
Poi arriva il clou del libro, cioè il naufragio: se vi aspettate una favoletta di un ragazzo che ammaestra una tigre, sappiate invece che troverete una narrazione cruda e minuziosa di macabri dettagli, perché si tratta pur sempre di una storia di sopravvivenza. Prima della tigre, Pi si trova a dover fare i conti con una iena: il modo in cui l'animale viene descritto è sconvolgente. L'autore riesce così nell'intento di far patire al lettore la paura, la fame, la sete e la disperazione del protagonista, che troverà poi una sorta di equilibrio proprio grazie alla scomoda presenza del felino Richard Parker.
Dopo 300 pagine si approda poi al notevole finale della storia, dove viene offerto un bivio di spiegazioni; sta al lettore validare l'interpretazione che ritiene più giusta.

Una scrittura cruda ed emozionante nello stesso libro, una lettura che scorre via senza appesantire: Vita di Pi è un romanzo che merita assolutamente d'essere letto.
Una piccola precisazione, infine, per non crearvi false aspettative: contrariamente a quanto avviene nel film, nel libro non troverete storie d'amore.

  Narrazione (coinvolgimento e svolgimento della trama) SUPER!
  Linguaggio (grammatica, sintassi, ricchezza del lessico) OK
  Stile/ originalità (quanto l'autore sia riuscito a distinguersi) OK
  Personaggi (evoluzione, caratterizzazione, dialoghi) OK
Copertina e quarta di copertina (presentazione esteriore del libro) SUPER!

MUSICA, FINALMENTE!

Ho ribattezzato questo blog 'FaReSol' non per caso.
Sapevo, forse un po' inconsciamente, che non avrei sopportato molto a lungo le mie copiose canzoni abbandonate in un cassetto virtuale. 
In queste ultime settimane mi sono mossa sottotraccia per cercare di capire il da farsi. Avrei tanto voluto avviare una collaborazione, ma al momento non c'è questa possibilità. Allora, mi son detta, che senso ha continuare a tenerle segrete? Non sono mica il Terzo Segreto di Fatima?
Ho scritto la maggior parte delle mie canzoni fra il 2011 e il 2014, eppure in questi nove anni non sono mai veramente riuscita a diffonderle come meritavano: problemi tecnici anzitutto, e poi scarsezza di mezzi, lavoro, maternità, impegni vari… Quando il mio unico collaboratore- arrangiatore ha dovuto mollare il progetto, di fatto mi sono fermata anch'io. 
Ma nel corso degli anni le mie canzoni mi hanno tormentata. Avessi scritto baggianate, non avrei avuto problemi: mi ci sono divertita un po', ora pensiamo ad altro. Purtroppo ho sempre avuto la sensazione di non aver scritto baggianate, e sottolineo purtroppo! Quando crei una cosa bella, hai il dovere di condividerla, di lasciare che appartenga anche ad altri. Proprio io, strimpellatrice da quattro soldi, senza una band cui appoggiarmi, senza la benché minima idea di come fare... Proprio io sapevo di avere il dovere di farle ascoltare...
Sono arrivata a pensare di cederle ad altri, pur di non sprecarle. Ma a chi, poi? 
Forse avrei potuto buttarle in pasto a internet senza rivendicare alcun diritto d'autore, ma non certo con versioni audio scarse! Sarebbe stato altrettanto spreco.
E niente, alla fine le ho messe tutte in stand-by. Nel frattempo i tormenti crescevano. 

Finché non ho capito qual era il mio problema: l'autostima.
Ho sempre sottostimato me stessa e di conseguenza qualunque cosa producessi (con parziale eccezione dei romanzi, ma neanche tanto), finché non ho avuto Giulia. Diventare madre mi ha fatto superare una gran parte di tutti quei complessi post-adolescenziali che ancora funestavano la mia testa.
Il punto è che se scrivi una, due, dieci, venti canzoni la cosa va al di là del semplice passatempo. Non è una sciocchezza di due minuti, ma un lavoro lungo e minuzioso- come qualunque altro lavoro, se ci pensate. Così ho risuonato e canticchiato ogni singolo pezzo del mio repertorio, anche quelli che avevo scartato, intuendo che era proprio giunto il momento di farvele ascoltare.

In passato mi è capitato di caricare tre brani qui sul blog (Dare, Mille MiRe e Comme d'habitude), ma nessuno di quei tre era provvisto di arrangiamento, né di copyright. E infatti li ho eliminati qualche tempo dopo. Cittadini Nonviolenti fa eccezione, ma si tratta di un progetto chiuso. In attesa dell'alba, invece, è una canzone che ho scritto durante la quarantena senza alcuna pretesa... Forse dovevo solo dimostrare a me stessa che ero ancora capace a scrivere canzoni.

Bene, basta con le ciance, ora è tempo di musica! A questo link, in ascolto per la prima volta in anteprima mondiale, ecco faithless-no-more
Spotify e iTunes direi che per il momento possono aspettare :)
Con l'augurio che le mie canzoni possano essere fonte di ispirazione, carica motivazionale, semplice conforto o intrattenimento... buon ascolto!

La mia libreria 2020- vol.1

Si legge spesso che la maggior parte degli italiani non arrivi nemmeno a leggere un libro l'anno. Solo che loro non lo sanno, perché - appunto - non leggono.
Per fortuna non per tutti è così, vero amici lettori? 
Diciamo che non esiste uno standard universale, non si tratta di una gara; è evidente che editori, book-blogger, recensori e affini leggeranno molti più libri di impiegati e lavoratori preda di mille cose da fare.
Io da scrittrice devo dare il buon esempio! Per ottimizzare i miei tempi di mamma- lavoratrice ne leggo due alla volta, uno a casa e uno in pausa pranzo. Di alcuni di questi libri ho già parlato, attraverso recensioni o post su Instagram, ma ho pensato che fosse carino offrirvi una vetrina di quanto ho letto in questo primo semestre dell'anno. Prima però ho stilato un breve metodo di lettura per fornirvi piccoli suggerimenti. 

Cominciamo dal principio. Coltivate le vostre letture senza temere giudizi.
Leggere dev'essere un piacere, uno svago, magari una fonte di nozioni e/o informazioni, comunque deve riuscire a soddisfarvi. Può capitare che nell'arco dell'anno incappiate in qualche lettura noiosa o insoddisfacente, ma al netto totale non avrà importanza. Non dovete fare l'analisi del testo che andate a leggere, per cui prendetevi il tempo che vi serve. A fine anno ne avrete letti solo tre? Va benissimo così. 

Scelta dei generi.
Il mio consiglio è di variare il più possibile. Se leggete venti libri fantasy all'anno va bene, però è importante riuscirsi ad aprire un orizzonte nuovo, altrimenti si rimane fossilizzati in un genere che a lungo andare potrebbe apparire ripetitivo (pensate al classico schema dei libri gialli, se ne leggete trenta di fila è abbastanza facile che vi imbattiate nella ripetitività). Tuttavia eliminate senza pietà i generi e i trend che proprio non vi piacciono. Se vi trovate a vostro agio con i libri per ragazzi, dedicatevi a quelli senza farvi problemi: Harry Potter è stato un successone anche fra gli adulti.

Dove li reperite?
Dettaglio non da poco. Se acquistate tutti i libri che leggete vi rivolgete ad Amazon oppure alla libreria indipendente del quartiere? Il megastore in centro o la bancarella dell'usato? Non ci sono risposte giuste, ma il mio consiglio è quello di cercare di variare anche la fonte del libro; in una bancarella troverete di tutto, libri vissuti, vecchie edizioni, oltre al prezzo economico, mentre in libreria vi dovrete recare necessariamente per le nuove uscite (magari andando in una piccola libreria, visti i tempi grami). Aggiungo, infine, l'alternativa del prestito: se come me avete una media di almeno venti libri all'anno, è economicamente più sostenibile appoggiarsi al sistema di prestito bibliotecario.

Presentazioni.
I classici sono essenziali, ma un bravo lettore sa apprezzare anche la letteratura contemporanea. Incontrare gli autori dal vivo alimenterà interessi e motivazioni nel libro che avete scelto, alla peggio ve lo farà escludere se pensate non sia adatto a voi. E poi, avere la dedica dell'autore sul libro è sempre una cosa speciale, anche se l'autore in questione è un giovane emergente alla sua prima pubblicazione.
Ultimo consiglio: il bestseller va benissimo, ma provate a scegliere un libro di nicchia di tanto in tanto: vi aiuterà ad arricchire la vostra cultura letteraria. 

Lista.
Non dimenticate di appuntarvi tutti i libri letti! A fine anno potrete fare un bilancio delle vostre letture, anche se saranno state poche, per capire dove orientarvi. Cinque letture soddisfacenti saranno sempre meglio di trenta mattoni noiosissimi.

Ecco quelle che, finora, sono state le mie variegate letture:

1. LA VITA ATTESA, Gino Pitaro, Golem Edizioni (recensione qui) adatto a tutti!

2. IL SIGNORE DELLE MOSCHE, William Golding, Mondadori. Un classico del Novecento, scritto da un premio Nobel (e si vede). Da leggere assolutamente, anche se i contenuti sono forti. Una distopia particolare, nella classica isola deserta pronta però a trasformarsi in un incubo. Non proprio per tutti.  

3. LA CERIMONIA DEL MASSAGGIO, Alan Bennett, Adelphi. Un romanzo breve, condito dal tipico humour britannico, che tuttavia tratta tematiche molto delicate, a partire dall'omosessualità. Non mi è piaciuta particolarmente la prima parte, un po' meglio la seconda. Si ride e si riflette. 

4. MARCOVALDO, Italo Calvino, Einaudi. Classico della nostra letteratura, da leggere e rileggere! Eroe tragicomico moderno, descritto in maniera eccellente in questa girandola di racconti metropolitani. 

5. STORIA DELLE BIBLIOTECHE, Frederick Barbier, Editrice Bibliografica. Saggio- mattone sull'origine e l'evoluzione dell'istituzione biblioteca; interessante punto di vista sulla Storia, anche se un po' troppo didascalico nei contenuti e con qualche refuso nella traduzione italiana. Ve lo consiglio se siete appassionati di storia o dell'argomento in sé.

6. ARCODAMORE, Andrea De Carlo, Bompiani. Settimo romanzo di De Carlo, scritto e ambientato negli anni 90; ora sembra davvero un'epoca distantissima senza internet e smartphone. A differenza degli altri libri di De Carlo questo non mi è piaciuto molto, anche se il ritmo narrativo resta sempre avvincente. Si tratta essenzialmente di una tormentata storia d'amore, dal punto di vista del protagonista maschile.

7. I PROVINCIALI, David Manzoni, Edizioni Ensemble. Piccola confessione: ho ripreso questo libro per ben tre volte, riuscendo nell'impresa di finirlo pur avendo capito che non mi piaceva. Il narratore che parla al tempo presente mi ha un po' irritata. La trama però è leggera e ambientata in un paesino dove apparentemente non succede niente.

8. VA' DOVE TI PORTA IL CUORE, Susanna Tamaro, Baldini&Castoldi. Bestseller degli anni 90, un vero e proprio caso editoriale, ero curiosissima di leggerlo. Non mi ha deluso, me lo sono divorato in poco tempo. Scritto bene in forma epistolare, con un finale stupendo. Direi alla portata di tutti, anche dei lettori più stanchi!

9. VENTIMILA LEGHE SOTTO I MARI- Jules Verne, Crescere Edizioni. Un grande classico d'avventura, ricco di dettagli tecnici che rendono verosimile la vicenda. Cenni ad Atlantide e all'Antartide, scritto nel XIX secolo. Bellissimo. Non si può non leggerlo!

10. LA TERZA FASE- FORME DI SAPERE CHE STIAMO PERDENDO, Simone Laterza. Testo universitario dei primi anni Duemila, che s'apre con un'interessante riflessione sui cinque sensi per poi tuffarsi indietro nella Storia e provare a interpretare la contemporaneità (poco prima dell'avvento di Internet): come memorizziamo e apprendiamo le cose? Perché l'immagine sovrasta la parola?

11. CECITA', José Saramago, Feltrinelli (recensione qui) un libro bellissimo e sconvolgente, ma non adatto alle persone sensibili. Stile narrativo impegnativo, ma vi terrà inchiodati alle pagine.

12. LIBERTA' E NECESSITA', Joan Robinson, Einaudi. Un piccolo saggio socio-economico degli anni Settanta. Qualche riflessione degna di nota e ancora attuale sul sistema capitalistico, ma si tratta di un testo di difficile comprensione se non si possiedono nozioni basilari di economia politica. A mio avviso meglio riuscita la prima parte, dove si riflette sulla natura dell'uomo e della società.

13. L'EDUCABILITA', Sara Nosari, Editrice La Scuola. Un testo universitario di filosofia dell'educazione. Interessante, ma un po' troppo filosofeggiante e ripetitivo (tenete conto che l'ho letto per puro piacere e non per preparare un esame). Ho apprezzato molto la riflessione sul diario come forma di auto-analisi interiore. 

Penso che questa lista mi rispecchi: ho tanti interessi e amo variare, anche di molto. Se al contrario la vostra è una lista mono-genere, o fatta solo di romanzi, sono certa che si tratti di una lista altrettanto interessante. Viva la lettura!

29 giugno

Cara Giulia,
oggi è un giorno speciale, compi due anni!
Lo so, lo so, non puoi leggere questa lettera, ma sento comunque il bisogno di scriverla, quasi fosse il mio di compleanno… Perché quella notte sono nata anch'io con te, in un nuovo ruolo che sarà per sempre, quello di mamma.
Ah, quella notte di luna piena. Mi sentivo pronta, eppure nulla andò come l'avevo previsto… La prima grande prova non furono i dolori delle contrazioni, ma l'accettare il cesareo. Dovetti per il tuo bene, anche se non volevo, perché ero impreparata a quell'evenienza che non avevo minimamente preso in considerazione… Ricordo tutto, non si dimentica così come si suole pensare. Ricordo il freddo della sala operatoria, il senso d'impotenza, lo stuolo imponente di infermieri e dottori attorno a me, le braccia bloccate, le parole dolci sussurrate dall'ostetrica per tentare di placare la mia agitazione, la sensazione terribile al momento della tua nascita, suona strano dirlo, che non era dolore vero e proprio ma peggio! Senso di svuotamento, come se ti stessero strappando via da me... E così era, in effetti… Poi ti sentii piangere. Mi tranquillizzò sapere che eri nata e che stavi bene. 
E poi, Dio mio, ti ho vista per la prima volta.
Non potevo prenderti, maledette braccia bloccate, ma ti diedi un bacio fugace sulla testolina piena di capelli. Ricordo il mio primo pensiero, nitido, quando ti ho vista: sei bellissima. Se nella vita non mi ero mai veramente sentita all'altezza di niente, cavolo, tu hai spazzato via di colpo qualsiasi senso di insicurezza, qualsiasi presunto fallimento avessi accumulato fino a quel momento. 
La mattina successiva fu il tuo papà ad avere l'onore di tenerti per primo, per me fu bello guardarvi.
Che dire, poi, della nostra prima coraggiosa notte insieme... Acconsentii per farti stare con me, anche se non avevo ancora latte da offrirti. Ti giuro che non dormii neanche mezzo secondo, quella notte. Tu avevi fame e piangevi in continuazione. Io affrontai la situazione con quella forza misteriosa che affiora nelle neo-mamme, nonostante i dolori. Quella fu la mia notte di, ehm, tirocinio. E che tirocinio.
Poi il latte arrivò: altri dolori! Non me li aspettavo, meno male che stalkerare le ostetriche fu utile per farmeli passare e, soprattutto, per farmi spiegare come funziona l'allattamento. La mia vicina di letto, lo ricordo bene, dovette rinunciare ad allattare per problemi lavorativi. Così va il mondo, spesso le mamme non sono in condizione di affrontare al meglio il loro ruolo. Io per fortuna riuscii a gestire bene il mio corpo, trasformatosi nel frattempo in latteria ambulante (a proposito: sono talmente incredibili le potenzialità del nostro corpo che i complessi adolescenziali vanno dritti nel dimenticatoio).
Ma devo confessarti, Giulia, la mia più grande difficoltà di quel primo periodo; non le notti in bianco, non la stanchezza, non i chili in più, nemmeno i dolori del cesareo, bensì l'isolamento... Il diradarsi delle amicizie, degli aperitivi, della matita sugli occhi, del buon profumo, del vestito elegante. Non posso mentirti su questo, Giulia, è stata dura. Se ho evitato la famigerata sindrome post-partum lo devo all'aiuto della nostra famiglia. E' stato importante, fondamentale direi, il contributo di nonni e zii. E poi il tuo papà, te l'ho già detto? Hai un papà splendido. Si è dato tanto da fare, ha sopportato tutti i miei sbalzi d'umore senza batter ciglio, si è preso cura di te ogniqualvolta potesse. Sono comunque pronta a scommettere che sono tanti i papà che si danno da fare per aiutare le loro compagne durante il puerperio.
In primavera tornai poi a lavorare, mentre tu entravi al nido. Anche questa è stata una scelta, coi suoi pro e i suoi contro, ma sono contenta del beneficio che ti ha portato, a dispetto dello sforzo economico. 
In futuro, Giulia, spero di poter vivere i miei molteplici ruoli nel migliore degli equilibri possibili… perché tu hai diritto ad avere una madre serena. Non si smette di essere donne quando si fanno figli, e si continua a essere donne anche senza diventare madri. In ogni caso bisogna essere forti, reggere l'urto di ogni domanda fuori luogo, come ad esempio quando fate il secondo?; tante volte ci si dimentica di partire dalle domande semplici. Come stai? Hai bisogno di qualcosa? Come ti senti?; una neo-mamma impara il suo ruolo sul momento, le persone a lei vicine dovrebbero supportarla sempre. Giulia, non per tutte è così. Riteniamoci fortunate per ciò che abbiamo avuto dunque, la mamma potrà sempre recuperare le cose cui ha dovuto rinunciare.
Di tutte le scelte che ho fatto nella vita, avere te è stata la scelta più bella. I sacrifici sono evidenti, io e il tuo papà siamo molto più stanchi di prima... Ma anche molto più felici.
Perché la felicità sta nelle piccole cose, ancorché faticose.
I nostri mini-musical la sera nel letto, in attesa del papà.
La tua voracità quando mi vieni in braccio per mangiare quel che sto cercando di mangiare io.
Le tue risate quando io o papà ti riempiamo di baci facendoti il solletico.
Le tue esultanze, i tuoi uao colmi di sincero stupore.
Il tuo venire a curiosare cosa faccio se vado in un'altra stanza, anche in bagno naturalmente.
Le tue paroline, ora quasi frasi. 
Piccola bimba boccolosa dagli occhi azzurri, ti voglio un bene infinito.
Tanti auguri amore mio,
la tua mamma scrittrice
 

Manuale del provetto sognatore

"Sognare è dirigersi laddove nessun altro osa andare"

Domanda a bruciapelo: credete nei vostri sogni?
Scusate, se volete qualcosa di meno imbarazzante vi chiedo quanto pesate.
E' che non siamo abituati a questo genere di domande, di cui peraltro mi sono già occupata in un post precedente, ricordate?
Torniamo alla domanda iniziale, però. Magari riformulata per bene.
Nonostante tutto, avete ancora speranza di realizzare i vostri sogni?
Lo so, non è facile. In questo Paese, poi...
Quali che siano i vostri sogni, ci sono due grossi ostacoli al giorno d'oggi. Il primo è l'appiattimento: spesso siamo costretti a ridimensionare le nostre ambizioni, vuoi per l'età, vuoi perché non abbiamo un soldo, vuoi per pigrizia… Il secondo è l'omologazione: la società in cui viviamo ci vende gli stessi modelli, come se la ricetta per l'auto-realizzazione fosse uguale per tutti. A lungo andare ci si ridimensiona, o si finisce per desiderare le cose che desiderano gli altri, fino ad arrivare al punto di non sognare più. Si arriva così a vivere nell'abitudine di una quotidianità confortevole ma sempre uguale.
Se credete che sognare sia una roba da ragazzini o perditempo, provo a riformulare ancora meglio la domanda iniziale: amate ciò che fate quotidianamente?
Per sognare ci vuole esercizio, soprattutto in età adulta, quando si è ormai perso l'entusiasmo tipico della gioventù. Vi propongo dunque il manuale del provetto sognatore, un breve compendio pieno di domande (le risposte, per quanto confortanti, non vi servirebbero) che vi aiuterà a cambiare quel tanto che serve il vostro sguardo. Prima di correggere la rotta bisogna sapere dove si vuole andare.


MANUALE DEL PROVETTO SOGNATORE IN 10 PRATICI PUNTI

1. Prova a conoscere te stesso. Scambiati due chiacchiere interiori, ponendoti domande scomode del tipo mi piace il mio lavoro?, mi diverto per davvero quando esco con gli amici?, dedico abbastanza tempo alle mie passioni?, lo faccio perché mi piace o solo per i soldi?, perché il primo passo da fare è quello della consapevolezza: capire cos'è che non va nella tua quotidianità. Sii sincero però, è con te che stai parlando!  
2. Analisi dei bisogni. Presa consapevolezza, ora devi capire dove vuoi dirigerti. Non devi affannarti a trovare le risposte, ma devi riuscire a porti le domande giuste, ancorché scomode: Cos'è che mi renderebbe felice? Chi sono io veramente? Quali sono le mie vere inclinazioni? Cosa mi manca in questo momento che vorrei disperatamente?
3. Dai bisogni ai sogni. Perché i tuoi sogni diventino realtà è necessario che siano sensati, ben strutturati e fattibili. Non è che puoi investire su qualsiasi scemenza l'io interiore ti espone! Proseguiamo, allora, con l'esercizio delle domande. Come posso concretizzare le mie idee?, Esiste un modo per migliorare le mie giornate?, C'è qualcuno che può sostenermi in questo percorso? Conosco un esperto al quale chiedere supporto? Qualsiasi aiuto esterno non farà che migliorare i tuoi progetti, ma ricordati che non devi sentirti inadeguato, troppo vecchio o troppo giovane. Sognare si può a qualunque età! 
4. Primo ingrediente magico: la Pazienza. Non basterà sudare, dovrai aspettare. Se hai fretta, stai pur certo che non farai molta strada. Quanto sono disposto ad aspettare perché il mio sogno si realizzi?, Saprò attendere pazientemente il raccolto di quanto appena seminato? La scalata sarà dunque lunga, e faticosa: non ci si improvvisa esperti in qualcosa, in nessun campo, per questo occorrerà del tempo. Se invece volete barare imboccando scorciatoie fate pure ma... scalare l'Everest sarà un merito che tutti vi riconosceranno, farvici trasportare in braccio no. 
5. Secondo ingrediente magico: la Resilienza. Viviamo in un mondo arduo per gli aspiranti sognatori: durante il percorso dovrai far di necessità virtù, traendo beneficio nei momenti più difficili. A volte siamo così persi nel nostro egocentrismo che non siamo disposti ad accettare che il nostro sogno venga contaminato dall'esterno. Di solito nulla va come lo si pianifica, le sorprese sono all'ordine del giorno. Il teatro della vita funziona così, pieno di colpi di scena. C'è qualcosa che posso modificare nel mio modus operandi?, Posso proseguire il mio progetto in maniera alternativa?, Potrò accettare che il mio progetto si modifichi, senza lasciare che il mio egocentrismo prevalga?
6. Avvertenze. Ricordati che viviamo in una società competitiva, dove i modelli sono standardizzati, omologati, dove l'aspettativa sociale vorrebbe rifilarci dei percorsi di vita- pacchetti già preconfezionati. Compiacere queste pressioni che ci arrivano da ogni direzione non farà che aumentare il nostro grado di insoddisfazione. Perché la nostra società diventi un po' meno competitiva e, per esempio, più comprensiva, c'è un solo modo: cominciare noi stessi a non giudicare gli altri quando hanno il coraggio di portare avanti delle scelte apparentemente sconsiderate, rischiose, impopolari. Mi sforzerò di non giudicare i sogni altrui?, Riuscirò a trarre forza e ispirazione dai successi degli altri, lasciando da parte l'invidia?
7. Esempio autoreferenziale. Ho redatto questo manualetto perché conosco bene la materia di cui scrivo. Questo non fa di me un'esperta in niente, ma le linee guida sovrastanti sono autentiche. Anche scomode, lo so, ma sognare non fa rima con facile. Negli anni mi sono buttata in mille mirabolanti progetti, e infatti conosco bene la frustrazione che si prova a ogni caduta, ma il vero fallimento sarebbe stato non provarci, mettendo a tacere le mie voci interiori. Le domande che mi hanno aiutato a stare meglio sono state: Sentimi un po', sono te stessa... Hai davvero intenzione di lasciare in un cassetto tutta quella roba che hai scritto? Cosa farai quando sognerai nuovi incipit? Chi l'ha detto che non puoi essere mamma, lavoratrice e scrittrice?
8. Allora, che ne dici? Vuoi provare a realizzare i tuoi sogni?
9. E allora che ca**o aspetti?
10. Sei ancora qui a leggere? Fila!

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