Sulla porta
leggi sala d’aspetto. E, in effetti, ce ne sarà da aspettare.
L’attesa già ti si prospetta snervante. Entrando, ti accoglie in sottofondo un
colpetto di tosse – sembra quasi da protocollo che ogni tanto qualcuno debba
tossire in una sala d’attesa – e qualche occhiata da parte degli altri
attendenti. Prendi posto, anche se la sedia fredda e dura non è esattamente
accogliente.
Fremi e temi
allo stesso tempo questa visita, non sei del tutto tranquillo; non ti resta altra
scelta che vagare con lo sguardo a caccia di un po’ di conforto. Ma l’atmosfera
tutt’intorno non ti aiuta per niente: anonimi quadri che vanno a confondersi
con la scialba e vetusta carta da parati, datate riviste di gossip ammucchiate
su un tavolino scricchiolante, odore stantio... E poi ansie che si mescolano
l’un l’altra, appesantendo a tal punto l’aria che hai quasi la sensazione di
non riuscire a respirare...
Provi a
ricomporti, ma non è proprio per questo che sei venuto a farti visitare? Che
non ti riesce più nemmeno respirare? In un attimo tutte le questioni irrisolte
si fanno spazio nella tua testa inoccupata, e di nuovo senti mancarti il
respiro. Forse preda di un attacco di panico sei costretto ad alzarti e uscire,
prima di fare figuracce, pugni serrati e fiato corto, bramando un po’ d’aria
fresca. La segretaria ti lancia uno sguardo di disapprovazione. Ti ci vuole
qualche minuto per recuperare un respiro regolare. Tuttavia devi rientrare:
quando lo fai incassi gli sguardi altrui, ora attoniti ora severi, che i
momenti di debolezza non sono mai benvisti, poi ti siedi riaccogliendo nei
polmoni l’aria stantia di prima. L’unica maniera che hai per resistere senza
ulteriori sceneggiate è tirare fuori lo Smartphone e aprire app a caso,
qualsiasi cosa ti possa tenere occupata la mente... Scorri col polpastrello
incerto a caccia di facili distrazioni, tutto pur di far scorrere i minuti, che
in effetti prendono a scorrere, finché non odi la voce della segretaria
scandire il tuo nome in maniera fredda. È il tuo turno finalmente, eppure
continui a sentirti a disagio, forse per gli appuntiti sguardi altrui che ti
accompagnano fin dentro lo studio medico.
Col fiato corto
e gli occhi lucidi provi a spiegare al medico quello che ti sta succedendo.
«Dottore, sto male. Non so di preciso il perché ma ho delle crisi, degli
attacchi, mi sento stressato e a disagio. Mi è capitato persino poco fa.»
Prendi la
ricetta coi calmanti poi esci, evitando di poggiare lo sguardo sugli altri attendenti
e sull’antipatica segretaria.
Sei fuori, eppure fatichi ancora a
respirare.
(Parafrasi della realtà
con la terapia della Bellezza)
Sulla porta leggi sala di bell'aspetto. Di bell’aspetto? L’attesa già ti si prospetta... stramba.
Stramba
come questa sala, a ben guardarla. Nessuno dei pazienti che stia seduto, tutti
che si muovono freneticamente, ma dove sei capitato?
Entrando ti accoglie in sottofondo una
musica jazz, ne ignori l’autore ma è proprio il genere azzeccato per coccolare
gli attendenti. Mentre invadi la sala, la segretaria si fa strada canticchiando
e ancheggiando, poi apre la finestra. Mezzo minuto, il tempo di rinfrescare l’ambiente, nessuno sembra lamentare freddo né fastidio. Uscendo ti fa l’occhiolino augurandoti
buon divertimento. Il suo inspiegabile buonumore è cosa assai inusuale, eppure
non puoi fare a meno di sorriderle a tua volta.
Ti guardi attorno sempre più curioso.
"Ma che razza di sala d’aspetto è?" pensi incredulo, rendendoti subito
conto che è impossibile ignorare la maestosità degli arredi; riproduzioni a
tutta parete di Monet e Van Gogh, Renoir e Cezanne, sulle finestre delle stupende
tende con una fantasia di colorate note musicali, sotto i tuoi piedi un tappetone
granata talmente soffice che vien voglia di rotolarcisi dentro.
L’odore della sala, poi, è gradevole. Come
se ci fossero fiori freschi... toh! Eccoli là! Un bel mazzo di fiori per tutti
i gusti – fra cui spiccano i girasoli – che emanano un piacevole
profumo. Qualcuno si avvicina per odorarli, qualcun altro dallo sguardo malandrino
vorrebbe coglierli ma desiste: troppo difficile imboscarseli.
Sprofondi
in un divanetto assai comodo, notando sulla tua destra un plico di riviste niente
male. Sono perlopiù riviste scientifiche e di attualità, mentre sulla tua
sinistra noti una vasta gamma di celebri fumetti che ti riportano subito indietro
nel tempo solo a guardarne le copertine.
Da qualche minuto stai sfogliando con
bramosia un fumetto, perché sai che fra non molto toccherà a te. Alzando lo
sguardo noti una mini-libreria in fondo alla sala... Per forza non l’avevi
scorta, era coperta dagli altri attendenti! Molli il fumetto della tua preadolescenza
per fiondarti sulla libreria. Le mani accarezzano i volumi, perlopiù grandi classici
della letteratura, una lacrimuccia ti scende quando scorgi il libro Cuore di De Amicis, mentre non
resisti alla tentazione di avvicinare la copia di Il Fu Mattia Pascal al naso per odorarne le pagine.
Accanto a te c’è un bambino intento a
sfogliare vecchi album di figurine completi, quasi quasi gli vorresti far
compagnia perché tanto qui la vergogna l’hai ormai lasciata sulla soglia della
porta, e così tutti gli altri! Non ce n’è uno che stia seduto composto oppure
chino sul suo cellulare. La sala è abbastanza ampia da consentire passeggiate
come se si fosse in una galleria d’arte. D’improvviso il bimbo si precipita in
un angolino della sala e raccoglie delle freccette.
Nessun altro sembra essersene accorto, del
gioco delle freccette! Così decidi di sfidare il bambino: raccogli una freccetta
e la scagli verso il centro del bersaglio, mancandolo clamorosamente. Dinanzi a
un errore così grossolano ti viene da ridere. In un attimo tutta la sala ride
con te. Quando il bambino fa centro al secondo tentativo, le risate mutano in
urla di giubilo.
Finché la segretaria compare sulla porta e
scandisce il tuo nome canticchiandolo.
Il tuo sguardo è di puro dispiacere. Non
vorresti andartene. Insomma, non puoi abbandonare così una gara! Quasi quasi
vorresti chiedere a qualcuno di cederti il suo posto, ma nessuno sembra
palesare la tipica fretta di voler vedere subito il dottore. A malincuore, dunque,
ti dirigi verso lo studio medico.
«Guardi dottore, io ero venuto per
parlarle dei miei problemi di stress. Mi causano parecchie emicranie,
stanchezza, insoddisfazione... Ho persino avuto degli attacchi di panico, credo.
Oh, dottore, non mi crederà ma adesso sto molto meglio! Mi è venuta voglia di
andare in soffitta a riaprire il baule dei miei vecchi fumetti! Ehi, magari
torno la settimana prossima per discutere con lei della mia indispensabile
visita specialistica di controllo dei nei superflui, ehm, che dice?»
Il dottore annuisce. «Torni pure quando
vuole. Nel frattempo le prescrivo un ascolto di musica classica dopo i pasti,
per cinque giorni. Veda come va. Ah, faccio che aggiungerle anche una
passeggiata giornaliera nelle ore pomeridiane, per almeno quindici minuti, in
mezzo al verde.»
Prendi
la ricetta come se ti avesse appena prescritto di mangiare gelati e caramelle. Un
ultimo saluto agli altri attendenti, e alla simpatica segretaria, prima di
uscire.
E
tornare a respirare.
Un racconto spassoso... Brava cara Elisa
RispondiEliminaGrazie mille! Lieta che sia piaciuto
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