Vi ripropongo questa storia a distanza di dieci anni. Una visione
onirica forse sogno, forse racconto, forse viaggio. O tutte e tre le cose. Una
storia che inizia con una fine e finisce con…
Fine.
Sgradevole odore di fine. Sensazione d’aver fallito, d’aver
buttato via tempo, occasioni, sorrisi. E ora è tardi ormai, è la fine. Lo
sento, dai rintocchi del grande Big Ben che risuona minaccioso nella mia Londra
interiore, cupa e oscura, grande e desolata. E io, anima smarrita, vi vago.
Esploro questa Londra immaginaria, e mi par di vivere
un’avventura alla Dylan Dog. Ma non v’è traccia di altre presenze umane, e
nemmeno di mostri. Solo apocalittica atmosfera. Cammino accanto al Tamigi
indecisa sul da farsi. Fermarsi?
Tanto è quasi la fine.
Una canzone dei Clash mi riecheggia dentro. London
calling. Londra sta annegando. Il cielo è scuro, il Tamigi inquieto. La
fine si fa molto vicina.
E, così prossima alla fine, comincio a pensare al fine. Che
ci faccio qui? Che ci faccio qui, da sola?
Ho perso di vista il mio fine. E me ne rendo conto solo
alla fine. Beffardo destino.
Ma attendere la fine vagando senza meta è un modo piuttosto
noioso di concludere l’esistenza, pertanto, corro. Provo a inseguire il mio
fine, al novantesimo minuto, ma ci provo; corro disperata, fiume alla mia
destra, Clash nella mia testa, mossa dal folle tentativo di rincorrere il mio
fine. Ancora corro, mentre poco a poco nei dintorni sbiadiscono i contorni.
D’altronde è prossima la fine. Il buio non accenna a sbiadire, però. Rimane lì,
vigilante. Eppure la mia corsa ora ha un fine, una meta, che imponente e
improvvisamente si rivela ai miei occhi. Un ponte. Un ponte pieno di gente.
In questa visione onirica era mancata proprio, la presenza
umana. Forse, come ogni fine che si rispetti, sarà un happy end, in
compagnia!
Mentre ancora ci penso, il cielo si scuote ed esplode in un
grande fragore. Scoppia a piovere. Le copiose gocce m’invadono, mi rallentano,
e sbiadiscono i contorni del ponte, del mio ponte. No! Non sparire, ponte!
Corro verso di esso ma, appena vi metto piede, il ponte prende
a sgretolarsi. Mi ritraggo, fradicia, esausta, scossa da un’imminente
apocalisse acquatica che mi impedisce di raggiungere il mio fine... Ma, se
salgo sul ponte, questo si sgretolerà, e le persone sopra sospese cadranno giù.
Allora grido, ma i tuoni sovrastano il mio appello. Mi sbraccio, ma la nebbia
s’alza per avvolgermi. Questa è la fine. Loro non sanno nemmeno che son qui.
Sono tutti stretti gli uni contro gli altri, in attesa della fine. Ed io, sola,
non ho raggiunto la meta. Ho fallito. Mi sento così incompleta. Potrei cedere
alla disperazione. Oppure. Tuffarmi. Tanto, fine per fine... Che almeno
sappiano ch’io son qui, per loro. Mi tuffo.
L’acqua è gelida, mi penetra la pelle e quasi mi toglie il
respiro, tuttavia riesco a gridare e a sbracciarmi. Tanto basta a quelli sul
ponte per vedermi. E nel vedermi si allarmano. Vogliono salvarmi. Ma tanto
questa è la fine, non ha più importanza. Quel che conta è che sappiano ch’io
son qui, per loro, il mio fine. A breve verrò sommersa. Li saluto, mando loro un
bacio d’addio.
E poi, mentre attendo la fine di fronte al mio fine...
Un’imponente imbarcazione sbuca alle mie spalle e mi acceca con grandi fari.
Son troppo sensibile alle luci, dopo tante oscure corse. Mi agito, non penso,
non aspetto, ma nuoto, alla cieca, verso i fari. Finché qualcuno mi afferra e
mi tira su.
Quando riapro gli occhi, sono sul ponte. Anch’io.
Finalmente. Evviva! La tempesta riecheggia solo più in lontananza, ormai. E i
raggi del sole squarciano il buio. E un suggestivo arcobaleno gli dà il colpo
di grazia riportando speranza; varie mani mi stringono. Risuonano ancora i
Clash nella mia testa. Ma è cambiata la canzone. Should I stay or should I
go?
Rimango, va’. Il clima è bello... Se non fosse ch’io,
proprio io, sto causando lo sgretolamento del ponte, accidenti... Me n’ero
scordata! Eppure, nessuno appare eccessivamente preoccupato. Anzi, la gente
prende a camminare per passare dall’altra parte. Dall’altra parte... Mi avvio
anch’io...
Il ponte sta sgretolandosi dietro di noi; facciamo appena
in tempo a passar indenni dall’altra parte, ove s’erge l’arcobaleno, che il
ponte cessa di esistere. Alle nostre spalle s’è consumata davvero la fine,
sotto forma di vuoto.
Dall’altra parte la luce è così intensa. E rimane lì,
vigilante.
M’ero sbagliata. Nulla finisce giacché tutto si trasforma.
Inizio.
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