Prima puntata
“(...) Uno dei modi per diventare ‘ciò che
si è’ è l’esercizio della scrittura personale in cui, specialmente attraverso
la stesura di diari autobiografici, il soggetto che si racconta - nello
scrivere, cancellare e riscrivere le definizioni di sé, ma anche nell’annotare
esempi e riflessioni, si scopre e si costituisce.”
Sara
Nosari, L’educabilità, editrice La Scuola, 2002
Iniziai così.
Non so cosa scrivessero Dostoevskij e
Kafka da ragazzi, ma io non mi cimentai in nessuna opera letteraria, iniziai
invece da una inconsapevole e profonda autoanalisi. Come tutti gli adolescenti
avevo solo bisogno di sfogarmi un po’. Buttavo giù tutto quello che di solito
divora a quell’età: l’incertezza del futuro, la paura di amare, il conflitto
col mondo, il dramma esistenziale in qualsiasi evento quotidiano come un 4 in
matematica…
Non iniziavo mai il diario scrivendo mio
caro diario, ma il senso era un po’ quello. Quando ho buttato giù la prima
frase non era mia intenzione cimentarmi in chissà quale impresa, il primo anello
di quella lunga catena fu semplicemente il riflettere su cosa mi stava
accadendo in quel momento. Estate 2001. Facendo animazione in oratorio iniziai
a capire molte cose di me che prima ignoravo. Così, frase dopo frase, decisi di
auto-regolamentarmi e di iniziare un diario di bordo a tutti gli effetti. Chi l’avrebbe
mai detto che ci sarei andata avanti per dodici anni.
Dodici anni, raramente saltando dei
giorni. Se mi rileggo mi metto le mani nei capelli, per la dose esagerata di
tormento che scandiva le mie giornate in ogni ambito. Però... se mi fossi tenuto
dentro tutto sarei implosa. Invece, per dodici anni il diario mi è servito da
valvola di sfogo, non ho mai pensato di farlo leggere a qualcuno, anzi, lo
custodivo con estrema attenzione lontano da sguardi indiscreti.
Ho letto delle cose interessanti riguardo
alla pratica del diario segreto: pare sia davvero un ottimo strumento di
autoanalisi interiore, un modo per conoscersi, raccontarsi, aprirsi un varco
dal di dentro con meno vergogna rispetto, per esempio, al parlarne con qualcun
altro. Il diario non dà facili soluzioni ai problemi, ma fornisce una sorta di
monitoraggio costante che nel tempo può consentire di correggere il tiro.
Naturalmente è un qualcosa di molto spontaneo, e i procedimenti terapeutici che
si possono innescare avvengono perlopiù in maniera inconsapevole.
Scrivere il diario segreto non implica
ovviamente che si diventi poi autori di fama mondiale, ma può essere un chiaro
segnale della propria inclinazione. La tenacia con cui mi chinavo sulle pagine,
nonostante la mole di compiti appena smaltita o ancora da smaltire, era come
una forza magnetica che mi attraeva. Non potevo sottrarmi alla narrazione,
ancorché minima, della mia giornata.
Se fossi stata una teenager nel 2020
probabilmente avrei tenuto un blog, sparso i miei tormenti in giro per i
social, al massimo scribacchiato su un foglio word, ma il lento gesto di
scrivere a mano obbliga a pensare bene a ciò che si sta formulando, ed è molto
più terapeutico. Inoltre, la segretezza fa sì che i molteplici sfoghi rimangano
lì al loro posto, senza che nessun utente commenti quanto scritto.
Il primo step dell’autodidatta è stato
questo, per me. Scrivere fiumi di pagine... Non per tutti gli autori è così,
naturalmente. C’è chi frequenta dei corsi di scrittura creativa, c’è chi inizia
scrivendo dei racconti o delle poesie, o magari un romanzo. Ricordo
distintamente che al liceo mi imbattei in un racconto di un coetaneo,
pubblicato su un giornaletto; fui molto onesta con me stessa nell’ammettere che
no, io non ero assolutamente capace di scrivere così bene; io ero solo quella
che scriveva un diario segreto con cura minuziosa.
Ma l’inclinazione prese presto a
manifestarsi sotto altre forme. Dediche, lettere, bigliettini, cartoline...
portando la mia attrazione fatale sotto gli occhi di tutti.
Continua
Prossima puntata: lettere
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