L’Utopia- Repubblica- Storia dell’utopia |
Il tema dell’utopia mi è molto caro, si vede?!
Recentemente ho deciso di colmare qualche lacuna
teorica, perché a scuola in genere si studiano solo Moro e Campanella. Ho dunque approfondito l’argomento, un argomento affascinante, leggendo Storia dell’utopia di Lewis Mumford e successivamente anche la Repubblica.
“L’uomo libero non deve imparare niente per costrizione. (...) Non educare a forza i fanciulli negli studi, ma educali attraverso il gioco: così saprai discernere ancora meglio le inclinazioni di ognuno”
Ecco dunque che Platone ci regala un
preziosissimo e attualizzabile consiglio su come dovremmo impostare un’educazione
ideale. Ma è con Tommaso Moro che, effettivamente, il termine utopia compare
per la prima volta. Quello che forse non tutti sanno è che questa parola ha un
doppio significato (anche al signor Moro piacevano i giochi di parole, se non
altro almeno questo l’abbiamo in comune!):
Eu-topia= modello del vivere buono o del
vivere felice
Ou-topia= non-luogo o di un luogo diverso
dal quale ci troviamo
Utopia può voler dire, dunque, sia buon
posto che nessun posto. Cambia completamente il modo di intenderla, in questa
duplice lettura, poiché rimanda non solo a qualcosa che in effetti non esiste,
ma che in quanto modello ideale può essere costruita come buon posto dove
vivere.
“Una repubblica di lavoratori che vivono
in eguaglianza, desiderando la pace, e rinunciando alle ricchezze.”
Dopo Moro sono molteplici i tentativi letterari
di raffigurare l’utopia, ma Mumford li stronca quasi tutti nella sua analisi. Io
personalmente sono rimasta affascinata da Christianopolis di Johann V. Andrae, un’opera poco
conosciuta che immagina una comunità senza denaro, dove nessuno può superare l’altro in termini di possedimenti, ma in cui tutti devono lavorare. In pratica, l’abolizione delle classi sociali.
Con l’industrializzazione, ahimè, nulla di buono viene prodotto in quest’ambito: le utopie non fanno altro che aggiungere mirabolanti invenzioni a quelle già preesistenti, candidandosi come modelli utilitaristici; nel frattempo avviene la scissione fra arte e scienza, e la loro compartimentazione in mille altre suddivisioni. Mumford stronca gli artisti, colpevoli di essersi allontanati dalla comunità concependo l’arte come estasi o cura personale, e persino i musei, considerati contenitori di cianfrusaglie di un’epoca passata che si vuol deridere rispetto al moderno progresso. L’accenno alla multi-potenzialità di Leonardo e Michelangelo, le due figure dominanti del Rinascimento, non è affatto casuale: un tempo gli artisti erano anche scienziati e viceversa. Michelangelo nel XX secolo si sarebbe limitato agli affreschi? A un Leonardo oggi basterebbe forse solo dipingere la Gioconda? L’importanza di padroneggiare discipline così apparentemente distanti fra loro è malvisto al giorno d’oggi, nell’era dell’iper-specializzazione, ma la Storia ci racconta un’altra storia. Mumford sostiene insomma che questa compartimentazione abbia prodotto mediocrità per la comunità, anziché ricchezza.
"
Credo però che oltre alla teoria bisognerebbe pensare anche alla pratica dell’utopia. Vi faccio un esempio. Nel 2019 realizzai un progetto con gli anziani in RSA: immaginare una città ideale. Quel progetto ebbe il suo culmine col plastico della città presentato al pubblico (quando ancora si poteva entrare nelle RSA). La voce dei Custodi della Memoria può davvero essere interessante, se solo ci sforziamo di ascoltarla senza pregiudizi. Venne fuori, da quella fantasticheria collettiva, che nella città ideale non dovessero esserci per esempio centri commerciali, bensì le care vecchie botteghe di quartiere. Gli anziani si basarono in gran parte sul loro vissuto, arrivando a disconoscere una buona parte delle istituzioni e delle consuetudini oggi preesistenti.
Chissà quanti altri progetti sociali, più o meno consapevoli, hanno toccato questa tematica! E immaginate cosa si potrebbe fare, per esempio, mischiando i target generazionali e culturali...
L’utopia non è una fantasia sfrenata e irraggiungibile, ma un esercizio di idee e valori che tutti possiamo mettere in pratica, sotto forma di lettura, di gioco, di pensiero. Essa esercita la nostra creatività e allena il nostro spirito critico a servizio di un avvenire più prospero. Immaginare ci aiuta a uscire da schemi preconcetti, a disegnare un ideale magari irrealizzabile, ma verso cui tendere. Mumford nel suo libro distingue tra utopia della fuga e utopia della ricostruzione: se nel primo caso ci si vuole rifugiare su un’isola incantata, nel secondo caso si intende creare una nuova scala di valori in costante riferimento alla realtà, la vera meta di questa utopia che si fa strumento di cambiamento. Molte cose mi hanno sconvolto di questo libro, in particolar modo la critica al mito dello Stato Nazionale, per Mumford causa di gran parte dei problemi che ci affliggono. Credetemi se vi dico che è purtroppo difficile dar torto alla sua analisi. Ecco perché ve ne consiglio la lettura, è un libro (e in generale un filone letterario) che apre la mente e il pensiero critico.
Tornerò in futuro a parlare di utopia. Credo ce ne sia un gran bisogno.
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