UN LABORATORIO DI SCOPERTE




Sabato scorso ho proposto il workshop “Sala d’aspetto” - tratto dall'omonimo racconto - per la prima volta a un’utenza adulta.


Quando si parla di creatività siamo di solito molto severi con noi stessi. A volte ci autoescludiamo proprio dai processi creativi ritenendoci inadeguati.


“Sala d’aspetto” ha l’obiettivo di calare le persone nella bellezza di quei processi, senza ossessioni da risultato. Perché non si bada proprio al risultato! Mentre si gioca e ci si diverte, la creatività si mette in moto in maniera spontanea e sorprendente...


La sala d’attesa è una sosta, una sospensione. I partecipanti dovevano crearne una ideale. Si sono messi in gioco fin da subito, collaborando poi nella versione 3D (con grandi effetti speciali, come si vede dalle foto 😄); dopo ogni fase scribacchiavano appunti su ciò che percepivano.


Nell’ultima fase hanno dato forma a una sala d’aspetto senza più riferimenti visivi, modellando a loro gusto un foglio bianco.


Senza saperlo hanno testato il prototipo del diario creativo, miscelando forme differenti: parola e immagine convivevano in quei fogli, proiettando paure, bisogni, desideri, aspirazioni…


Sono contenta di essere riuscita a realizzare questo laboratorio ‘giovane’ (concepito, testato e perfezionato in pochi mesi) le cui potenzialità sono pazzesche!


Ti piacerebbe provarlo?

Il percorso Scopriti prosegue con Il diario provvede: giovedì 21 novembre è l'ultima chance di aggregarsi al gruppo! Per info: scopriti@yahoo.com

SALA D’ASPETTO

Sala d’aspetto

Un racconto di Elisa Cugliandro

Correzione di bozze a cura di Alessia Vannini

Copyright © 2024 Elisa Cugliandro

La prima versione di Sala d’aspetto, divulgata su questo stesso blog, risale al 12 gennaio 2021

Quest’opera è tutelata su patamu.com con licenza esclusiva. Tutti i diritti sono riservati.

Sulla porta leggi sala d’aspetto. E, in effetti, ci sarà da aspettare.

Che traffico per arrivare fin qui, in via del Patibolo 13, angolo piazza Disagio; e che fatica per trovare parcheggio! E come se non bastasse, hai dovuto farti cinque piani di scale, che l’ascensore di questo stabile è fuori servizio – così diceva il cartello – e ora ti ritrovi col fiatone e una goccia di sudore che ti scende lungo la schiena.

Entrando, ti accoglie in sottofondo un colpetto di tosse – sembra quasi da protocollo che ogni tanto qualcuno debba tossire, in una sala d’attesa – e qualche occhiataccia da parte degli altri pazienti. Nel prendere posto, ti accorgi che la sedia è fredda e dura: l’attesa ti si prospetta già snervante.

Fremi per questa visita e la temi allo stesso tempo, non sei affatto tranquillo e non ti resta altra scelta che vagare con lo sguardo a caccia di un po’ di conforto: le pareti sono d’un grigio sbiadito, del tutto spoglie, mentre il tavolino al centro della stanza propone vecchie riviste di gossip, usurate dal tempo e dalle decine di mani che le hanno sfogliate prima di oggi. L’odore in sala è stantio, forse perché le finestre sono sprangate e dalle tende spesse filtra ben poca luce solare? Sono le 11 di mattina, ma il neon al centro del soffitto è acceso per cercare di attenuare la penombra di questa stanza, così umida e fredda che sembra di stare in prigione.

Non passa molto tempo prima di trovarti a respirare in maniera affannosa.

Provi a ricomporti, ma non è proprio per questo che sei venuto a farti visitare? Che non ti riesce più nemmeno respirare? Tutte le questioni irrisolte si fanno spazio nella tua testa, creando un vortice di pensieri dal quale non riesci a staccarti: e le bollette da pagare e il lavoro che non ti dà tregua e quei sintomi del corpo che potrebbero presagire chissà quale malattia… Inizi a dondolare le gambe in un ritmo sempre più frenetico, mentre il battito cardiaco si adegua accelerando. Quella goccia di sudore che sentivi lungo la schiena all’inizio si sta moltiplicando ovunque. Senti la fronte bagnarsi. “Ma quanto ci vorrà, ancora?” pensi nel momento in cui ti alzi e inizi a camminare verso l’ingresso, prima di fare figuracce… Anche se la segretaria ti sta già osservando scuotendo la testa.

Ti ci vuole qualche minuto per recuperare un respiro regolare nel fare su e giù in quei due metri quadri dell’anticamera. Tuttavia, devi tornare a sederti, perché a camminare così incassi solo sguardi attoniti e severi, che i momenti di debolezza non sono mai benvisti. Riaccogli nei polmoni l’aria stantia di prima; fissando lo sguardo sul muro grigio, noti una piccola crepa sulla parete e più su una macchia di umidità. Ricominci d’istinto col dondolio delle gambe, il battito cardiaco accelera di nuovo, ricominci a sudare, il respiro riprende a essere affannoso. Non sai come uscirne, l’unica idea che ti viene in mente per evitare ulteriori sceneggiate è tirare fuori il telefono e aprire app a caso, qualsiasi cosa ti possa tenere occupata la mente. Scrolli con le dita a caccia di facili distrazioni, tutto pur di far scorrere i minuti – che in effetti prendono a scorrere –, finché non senti la voce della segretaria scandire il tuo nome in modo gelido. È il tuo turno finalmente, eppure continui a sentirti a disagio, il sudore della fronte ti scende su un occhio, pizzicandoti, il cuore non si calma.

Col fiato corto provi a spiegare al medico quello che ti sta succedendo.

«Dottore, sto male. Non so di preciso il perché, ma ho delle crisi, mi sento spesso agitato e sotto stress. Mi è capitato persino poco fa in sala d’attesa.»

Prendi la ricetta coi calmanti ed esci, evitando di poggiare lo sguardo sugli altri pazienti o sulla segretaria; vuoi solo uscire alla svelta da lì e prendere aria fresca, anche se prima di uscire devi rifarti i cinque piani di scale, con le gambe che ti reggono a malapena.

Ora sei fuori, immerso nei rumori del traffico ancora più intenso di prima, ora sei fuori eppure fatichi ancora a respirare.

Qualche tempo dopo, decidi di confidarti con un amico: non ci sono stati progressi. Lui ti consiglia di recarti da un’altra parte per un nuovo consulto.

Prenoti e vai.

Eccoti nel viale verdeggiante sito in corso Rigenerazione; hai trovato poco traffico e il parcheggio sotto gli alberi!

Uno scoiattolo ti passa vicino veloce, ma un sorriso, comunque, te lo strappa.

Ti avvii al posto convenuto. Ah, è al piano terra. Niente scale questa volta!

Sulla porta leggi sala di bell’aspetto. E in effetti ci sarà da aspettare. Come l’altra volta.

O no?

Entrando, ti accoglie un sottofondo di musica jazz. È proprio il genere azzeccato per coccolare gli altri sostanti che… a ben vedere, non stanno né fermi né seduti! La segretaria si fa strada canticchiando e ancheggiando, poi apre la finestra. Mezzo minuto, il tempo di rinfrescare l’ambiente. Uscendo ti fa l’occhiolino augurandoti buon divertimento. Non puoi fare a meno di sorriderle.

Fanno già due sorrisi in pochi minuti, quanti in tutta l’intera settimana.

Ti guardi attorno sempre più curioso. “Ma che razza di sala d’aspetto è?” pensi incredulo. Le pareti sono celesti e riproduzioni di Monet e Van Gogh, Renoir, Cezanne le colorano. Dalle finestre filtra parecchia luce solare, nonostante le tende. A ben guardarle, non sono niente male, con quella fantasia di note musicali colorate! I tuoi passi non fanno rumore. Guardi in basso: c’è un tappetone granata talmente soffice che viene voglia di rotolarcisi dentro.

L’odore della sala, poi, è gradevole. Come se ci fossero fiori freschi… toh! Eccoli là! Diverse piantine – fra cui spiccano le rose – emanano un piacevole profumo. Annusi e sorridi. E tre.

Sprofondi in un divanetto assai comodo. Sulla tua destra noti un plico di riviste scientifiche, oltre a quelle di enigmistica. A sinistra, una vasta gamma di fumetti. Li conosci tutti! Ti riportano indietro nel tempo solo a guardarne le copertine.

Da qualche minuto ne stai sfogliando con bramosia uno, perché sai che fra non molto toccherà a te. Alzando lo sguardo vedi una mini-libreria in fondo alla sala… Per forza non ci avevi fatto caso: prima era coperta dagli altri sostanti! Ti ci fiondi subito. Le mani accarezzano i volumi, perlopiù grandi classici della letteratura. Sorridi nel vedere Cuore di De Amicis, mentre non resisti alla tentazione di sfogliare Il Fu Mattia Pascal.

Accanto a te c’è un bambino intento a guardare vecchi album di figurine completi. Quasi quasi gli vorresti fare compagnia, tanto la vergogna l’hai lasciata sulla soglia della porta. E così tutti gli altri! Non ce n’è uno che stia seduto composto o chino sul cellulare. La sala, poi, è abbastanza ampia da consentire passeggiate. Come in una galleria d’arte.

D’improvviso il bambino si precipita in un angolino e raccoglie delle freccette. Nessun altro sembra essersene accorto! Decidi di sfidarlo: raccogli una freccetta e la scagli verso il centro del bersaglio, mancandolo clamorosamente. Ti viene da ridere. In un attimo tutta la sala ride con te. Quando il tuo piccolo avversario fa centro al secondo tentativo, le risate mutano in urla di giubilo.

Finché la segretaria compare sulla porta. Canticchia il tuo nome.

Ti dispiace. Non vorresti andartene. Insomma, non puoi abbandonare così una gara! Quasi quasi chiederesti a qualcuno di passare al tuo posto, ma nessuno sembra avere fretta. A malincuore, dunque, saluti il bambino e ti dirigi verso lo studio.

Anche il corridoio è tappezzato di riproduzioni artistiche. Ci sono persino dei leggii su cui troneggiano dei volumi aperti. Uno cattura la tua attenzione: è La coscienza di Zeno di Italo Svevo.

«Quella è una prima edizione» dice il dottore sulla soglia della porta.

Lo guardi stupito, poi entri nel suo studio.

«Guardi, dottore, io ero venuto per parlarle dei miei problemi di stress. Mi causano parecchie emicranie, stanchezza, agitazione… Oh, non mi crederà, ma adesso mi sento meglio! Mi è venuta voglia di andare in soffitta a riaprire il baule dei miei vecchi fumetti! Ehi, magari torno la settimana prossima per discutere con lei del controllo dei nei, che dice?»

Il dottore annuisce. «Torni pure quando vuole. Nel frattempo le prescrivo un ascolto della sua musica preferita dopo i pasti, per cinque giorni, e un’ora di gioco a settimana. Abbini pure la lettura e veda come va. Ah, le aggiungo anche una passeggiata giornaliera, per almeno quindici minuti, in mezzo al verde.»

Prendi la ricetta come se ti avesse appena prescritto di mangiare gelati e caramelle. Un ultimo saluto agli altri sostanti, e alla segretaria, prima di uscire.

E tornare a respirare.



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