Sala d’aspetto
Un racconto di Elisa Cugliandro
Correzione di bozze a cura di Alessia Vannini
Copyright © 2024 Elisa Cugliandro
La prima versione di Sala d’aspetto, divulgata su questo stesso blog, risale al 12 gennaio 2021
Quest’opera è tutelata su patamu.com con licenza
esclusiva. Tutti i diritti sono riservati.
Sulla porta leggi sala d’aspetto. E, in effetti, ci
sarà da aspettare.
Che traffico per arrivare fin qui, in via del Patibolo 13,
angolo piazza Disagio; e che fatica per trovare parcheggio! E come se non
bastasse, hai dovuto farti cinque piani di scale, che l’ascensore di questo
stabile è fuori servizio – così diceva il cartello – e ora ti ritrovi col
fiatone e una goccia di sudore che ti scende lungo la schiena.
Entrando, ti accoglie in sottofondo un colpetto di tosse –
sembra quasi da protocollo che ogni tanto qualcuno debba tossire, in una sala
d’attesa – e qualche occhiataccia da parte degli altri pazienti. Nel prendere
posto, ti accorgi che la sedia è fredda e dura: l’attesa ti si prospetta già
snervante.
Fremi per questa visita e la temi allo stesso tempo, non
sei affatto tranquillo e non ti resta altra scelta che vagare con lo sguardo a
caccia di un po’ di conforto: le pareti sono d’un grigio sbiadito, del tutto
spoglie, mentre il tavolino al centro della stanza propone vecchie riviste di
gossip, usurate dal tempo e dalle decine di mani che le hanno sfogliate prima
di oggi. L’odore in sala è stantio, forse perché le finestre sono sprangate e
dalle tende spesse filtra ben poca luce solare? Sono le 11 di mattina, ma il
neon al centro del soffitto è acceso per cercare di attenuare la penombra di
questa stanza, così umida e fredda che sembra di stare in prigione.
Non passa molto tempo prima di trovarti a respirare in
maniera affannosa.
Provi a ricomporti, ma non è proprio per questo che sei
venuto a farti visitare? Che non ti riesce più nemmeno respirare? Tutte le
questioni irrisolte si fanno spazio nella tua testa, creando un vortice di
pensieri dal quale non riesci a staccarti: e le bollette da pagare e il lavoro
che non ti dà tregua e quei sintomi del corpo che potrebbero presagire chissà
quale malattia… Inizi a dondolare le gambe in un ritmo sempre più frenetico,
mentre il battito cardiaco si adegua accelerando. Quella goccia di sudore che
sentivi lungo la schiena all’inizio si sta moltiplicando ovunque. Senti la
fronte bagnarsi. “Ma quanto ci vorrà, ancora?” pensi nel momento in cui ti alzi
e inizi a camminare verso l’ingresso, prima di fare figuracce… Anche se la
segretaria ti sta già osservando scuotendo la testa.
Ti ci vuole qualche minuto per recuperare un respiro
regolare nel fare su e giù in quei due metri quadri dell’anticamera. Tuttavia,
devi tornare a sederti, perché a camminare così incassi solo sguardi attoniti e
severi, che i momenti di debolezza non sono mai benvisti. Riaccogli nei polmoni
l’aria stantia di prima; fissando lo sguardo sul muro grigio, noti una piccola
crepa sulla parete e più su una macchia di umidità. Ricominci d’istinto col
dondolio delle gambe, il battito cardiaco accelera di nuovo, ricominci a
sudare, il respiro riprende a essere affannoso. Non sai come uscirne, l’unica idea
che ti viene in mente per evitare ulteriori sceneggiate è tirare fuori il
telefono e aprire app a caso, qualsiasi cosa ti possa tenere occupata la mente.
Scrolli con le dita a caccia di facili distrazioni, tutto pur di far scorrere i
minuti – che in effetti prendono a scorrere –, finché non senti la voce della
segretaria scandire il tuo nome in modo gelido. È il tuo turno finalmente,
eppure continui a sentirti a disagio, il sudore della fronte ti scende su un
occhio, pizzicandoti, il cuore non si calma.
Col fiato corto provi a spiegare al medico quello che ti
sta succedendo.
«Dottore, sto male. Non so di preciso il perché, ma ho
delle crisi, mi sento spesso agitato e sotto stress. Mi è capitato persino poco
fa in sala d’attesa.»
Prendi la ricetta coi calmanti ed esci, evitando di
poggiare lo sguardo sugli altri pazienti o sulla segretaria; vuoi solo uscire
alla svelta da lì e prendere aria fresca, anche se prima di uscire devi rifarti
i cinque piani di scale, con le gambe che ti reggono a malapena.
Ora sei fuori, immerso nei rumori del traffico ancora più
intenso di prima, ora sei fuori eppure fatichi ancora a respirare.
Qualche tempo dopo, decidi di confidarti con un amico: non
ci sono stati progressi. Lui ti consiglia di recarti da un’altra parte per un
nuovo consulto.
Prenoti e vai.
Eccoti nel viale verdeggiante sito in corso Rigenerazione;
hai trovato poco traffico e il parcheggio sotto gli alberi!
Uno scoiattolo ti passa vicino veloce, ma un sorriso,
comunque, te lo strappa.
Ti avvii al posto convenuto. Ah, è al piano terra. Niente
scale questa volta!
Sulla porta leggi sala di bell’aspetto. E in effetti
ci sarà da aspettare. Come l’altra volta.
O no?
Entrando, ti accoglie un sottofondo di musica jazz. È
proprio il genere azzeccato per coccolare gli altri sostanti che… a ben vedere,
non stanno né fermi né seduti! La segretaria si fa strada canticchiando e
ancheggiando, poi apre la finestra. Mezzo minuto, il tempo di rinfrescare
l’ambiente. Uscendo ti fa l’occhiolino augurandoti buon divertimento. Non puoi
fare a meno di sorriderle.
Fanno già due sorrisi in pochi minuti, quanti in tutta
l’intera settimana.
Ti guardi attorno sempre più curioso. “Ma che razza di sala
d’aspetto è?” pensi incredulo. Le pareti sono celesti e riproduzioni di Monet e
Van Gogh, Renoir, Cezanne le colorano. Dalle finestre filtra parecchia luce
solare, nonostante le tende. A ben guardarle, non sono niente male, con quella
fantasia di note musicali colorate! I tuoi passi non fanno rumore. Guardi in
basso: c’è un tappetone granata talmente soffice che viene voglia di
rotolarcisi dentro.
L’odore della sala, poi, è gradevole. Come se ci fossero
fiori freschi… toh! Eccoli là! Diverse piantine – fra cui spiccano le rose – emanano
un piacevole profumo. Annusi e sorridi. E tre.
Sprofondi in un divanetto assai comodo. Sulla tua destra noti
un plico di riviste scientifiche, oltre a quelle di enigmistica. A sinistra,
una vasta gamma di fumetti. Li conosci tutti! Ti riportano indietro nel tempo
solo a guardarne le copertine.
Da qualche minuto ne stai sfogliando con bramosia uno,
perché sai che fra non molto toccherà a te. Alzando lo sguardo vedi una
mini-libreria in fondo alla sala… Per forza non ci avevi fatto caso: prima era
coperta dagli altri sostanti! Ti ci fiondi subito. Le mani accarezzano i
volumi, perlopiù grandi classici della letteratura. Sorridi nel vedere Cuore
di De Amicis, mentre non resisti alla tentazione di sfogliare Il Fu Mattia
Pascal.
Accanto a te c’è un bambino intento a guardare vecchi album
di figurine completi. Quasi quasi gli vorresti fare compagnia, tanto la
vergogna l’hai lasciata sulla soglia della porta. E così tutti gli altri! Non
ce n’è uno che stia seduto composto o chino sul cellulare. La sala, poi, è
abbastanza ampia da consentire passeggiate. Come in una galleria d’arte.
D’improvviso il bambino si precipita in un angolino e
raccoglie delle freccette. Nessun altro sembra essersene accorto! Decidi di
sfidarlo: raccogli una freccetta e la scagli verso il centro del bersaglio,
mancandolo clamorosamente. Ti viene da ridere. In un attimo tutta la sala ride
con te. Quando il tuo piccolo avversario fa centro al secondo tentativo, le
risate mutano in urla di giubilo.
Finché la segretaria compare sulla porta. Canticchia il tuo
nome.
Ti dispiace. Non vorresti andartene. Insomma, non puoi
abbandonare così una gara! Quasi quasi chiederesti a qualcuno di passare al tuo
posto, ma nessuno sembra avere fretta. A malincuore, dunque, saluti il bambino
e ti dirigi verso lo studio.
Anche il corridoio è tappezzato di riproduzioni artistiche.
Ci sono persino dei leggii su cui troneggiano dei volumi aperti. Uno cattura la
tua attenzione: è La coscienza di Zeno di Italo Svevo.
«Quella è una prima edizione» dice il dottore sulla soglia
della porta.
Lo guardi stupito, poi entri nel suo studio.
«Guardi, dottore, io ero venuto per parlarle dei miei
problemi di stress. Mi causano parecchie emicranie, stanchezza, agitazione… Oh,
non mi crederà, ma adesso mi sento meglio! Mi è venuta voglia di andare in
soffitta a riaprire il baule dei miei vecchi fumetti! Ehi, magari torno la
settimana prossima per discutere con lei del controllo dei nei, che dice?»
Il dottore annuisce. «Torni pure quando vuole. Nel frattempo
le prescrivo un ascolto della sua musica preferita dopo i pasti, per cinque
giorni, e un’ora di gioco a settimana. Abbini pure la lettura e veda come va.
Ah, le aggiungo anche una passeggiata giornaliera, per almeno quindici minuti,
in mezzo al verde.»
Prendi la ricetta come se ti avesse appena prescritto di
mangiare gelati e caramelle. Un ultimo saluto agli altri sostanti, e alla
segretaria, prima di uscire.
E tornare a respirare.