Nebbia che più non vuol diradarsi da questa bolla di cemento i cui edifici e individui restano intrisi di negatività, volti all'inevitabile, proiettati verso il ripetersi della nenia quotidiana, votati alla rabbia. Basta.
Voglio una vetta. Quella vetta lassù, a malapena visibile da qui, dacché da queste parti si suole guardare altrove.
Notte. Stufa del cemento volgo lo sguardo in alto, quando d'un tratto ecco una cometa. La sua scia inonda l'oscuro scenario notturno esaltando la stessa vetta tanto mirata. Sa di speranza.
Mattina. Rassicurata dal calore del sole appena sorto, parto. Mi metto in marcia. Strada che si fa stretta. Ma, se voglio la vetta, questa è la via.
Cammino. Sento la fatica di quest'impervio sentiero che pian piano si rivela: strada in salita e non avevo dubbi. Quantomeno son certa che si tenda verso l'alto. Monto la tenda, è sera.
Mattina, riprendo la mia folle chimera. Passo dopo passo il sentiero si fa ancor più stretto e sale, e come sale brucia sulle ferite. Esito, tentata dal tornare indietro ma no, non lo voglio davvero. Perciò non posso far altro che salire ancora, cicatrizzando le ferite con la forza di volontà. E proseguo. Man mano che salgo il paesaggio attorno si fa diverso, più verde, più vero, più vivo. E respiro. Miro la vetta ora ben visibile, maestosa seppur ancora distante. Come si vede bene l'abbandonata landa di cemento, da quassù. Una bolla grigia che stride col verde che ora m'avvolge, sebbene sappia quanto quel grigiore mi appartenga.
La fatica mi disturba e la tentazione di accontentarsi di quanto già raggiunto si fa forte. Eppur continuo, esausta ma non appagata, dacché il mio sogno sta lassù, un po' più in alto, è la vetta; riprendo e cammino, stanca ma svelta, la salita verso la meta.
Osservo la bolla grigia imperturbabile, mentre una bolla al piede destro mi disturba e mi rallenta. Però non mi ferma. Sono vicina. Salgo. La gola si fa secca, la bolla più rossa, ma l'aria più intensa. C'è un solo modo per poter godere di acqua e riposo: raggiungere la vetta.
Cammino, mi reggo a stento. Ma tornare indietro davvero non posso, la rinuncia non è un'opzione prevista. Ultimo tratto. Sì, ecco la cima. Vicina. Sfratto la paura, scrollo di dosso l'incertezza e allungo il passo decisivo.
Sono giunta in vetta! Nonostante tutti i nonostante disseminati lungo lo stretto impervio sentiero. Malgrado tutti i malgrado celati dentro di me. Comunque armata di tutti i comunque esibiti nei momenti difficili.
Respiro forte. Occhi a guardare il paesaggio, un po' grigio e un po' verde, che adesso sembra parlarmi. Forse il viaggio non era immergermi nel verde, respirare meglio, né conquistar la cima; forse il vero viaggio era rendersi conto della bellezza di quassù, respirarla, per poi ridiscendere e portarne un po' laggiù. Sì, nella bolla tutta grigia e spenta. Ora conosco la mia nuova meta. La conosco bene, nemmeno necessito di un'altra cometa. Campana e non bolla di cemento, pare. Spezzo il ristoro e riprendo il sentiero in discesa. Dunque non sono arrivata, ma appena partita.
Voglio una vetta. Quella vetta lassù, a malapena visibile da qui, dacché da queste parti si suole guardare altrove.
Notte. Stufa del cemento volgo lo sguardo in alto, quando d'un tratto ecco una cometa. La sua scia inonda l'oscuro scenario notturno esaltando la stessa vetta tanto mirata. Sa di speranza.
Mattina. Rassicurata dal calore del sole appena sorto, parto. Mi metto in marcia. Strada che si fa stretta. Ma, se voglio la vetta, questa è la via.
Cammino. Sento la fatica di quest'impervio sentiero che pian piano si rivela: strada in salita e non avevo dubbi. Quantomeno son certa che si tenda verso l'alto. Monto la tenda, è sera.
Mattina, riprendo la mia folle chimera. Passo dopo passo il sentiero si fa ancor più stretto e sale, e come sale brucia sulle ferite. Esito, tentata dal tornare indietro ma no, non lo voglio davvero. Perciò non posso far altro che salire ancora, cicatrizzando le ferite con la forza di volontà. E proseguo. Man mano che salgo il paesaggio attorno si fa diverso, più verde, più vero, più vivo. E respiro. Miro la vetta ora ben visibile, maestosa seppur ancora distante. Come si vede bene l'abbandonata landa di cemento, da quassù. Una bolla grigia che stride col verde che ora m'avvolge, sebbene sappia quanto quel grigiore mi appartenga.
La fatica mi disturba e la tentazione di accontentarsi di quanto già raggiunto si fa forte. Eppur continuo, esausta ma non appagata, dacché il mio sogno sta lassù, un po' più in alto, è la vetta; riprendo e cammino, stanca ma svelta, la salita verso la meta.
Osservo la bolla grigia imperturbabile, mentre una bolla al piede destro mi disturba e mi rallenta. Però non mi ferma. Sono vicina. Salgo. La gola si fa secca, la bolla più rossa, ma l'aria più intensa. C'è un solo modo per poter godere di acqua e riposo: raggiungere la vetta.
Cammino, mi reggo a stento. Ma tornare indietro davvero non posso, la rinuncia non è un'opzione prevista. Ultimo tratto. Sì, ecco la cima. Vicina. Sfratto la paura, scrollo di dosso l'incertezza e allungo il passo decisivo.
Sono giunta in vetta! Nonostante tutti i nonostante disseminati lungo lo stretto impervio sentiero. Malgrado tutti i malgrado celati dentro di me. Comunque armata di tutti i comunque esibiti nei momenti difficili.
Respiro forte. Occhi a guardare il paesaggio, un po' grigio e un po' verde, che adesso sembra parlarmi. Forse il viaggio non era immergermi nel verde, respirare meglio, né conquistar la cima; forse il vero viaggio era rendersi conto della bellezza di quassù, respirarla, per poi ridiscendere e portarne un po' laggiù. Sì, nella bolla tutta grigia e spenta. Ora conosco la mia nuova meta. La conosco bene, nemmeno necessito di un'altra cometa. Campana e non bolla di cemento, pare. Spezzo il ristoro e riprendo il sentiero in discesa. Dunque non sono arrivata, ma appena partita.
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