Damazerico: agli albori dell'ispirazione


Grigia città che non sento più mia, io da te vorrei soltanto fuggire. Un'altra volta, a maggior ragione che già conosco la bellezza e la diversità che stanno là fuori... Mentre tu invece, tu non cambi mai.  Cammino per le tue stanche vie, imbrattate da tiepide non-espressioni di infelicità. E' una lotta, qui. Lo cerco e lo chiedo da quanti anni, questo cambiamento? Come faccio a dimostrare se non posso nemmeno cominciare?
E pensare che ho già visto là fuori quello che potrei fare. Però il mio potere deriva dall'iniziare, più che dal fare. Ho una predilezione per muovere gli altri meglio di me stessa, a quanto pare. Ecco perché mi sono messa a scrivere sceneggiature... In fondo, il musical è un'opera destinata a una indefinita collettività. Dunque non capisco, grigia città. Perché non mi dai un'opportunità? Insomma, che devo fare? Riproporre? Aspettare? Fuggir via?
Poi una voce in pieno marzo piomba nel mio tepore spezzandolo con decisione. La voce dice di svegliarsi, se si vogliono realizzare i propri sogni. Non dice altro. Tanto basta. Perché già so quel che va fatto.
E' col destarsi della primavera che butto giù le primissime parole, sebbene si rincorressero dentro di me già da diversi mesi. Ma non so come si fa. Perciò mi blocco dopo un paio di pagine. Non so come si fa. Eppure i personaggi già vivono, respirano, lottano. Loro.
Poi, finalmente, una nuova partenza. Un carnet di nuovi volti e nuovi idiomi e nuovi costumi. E tanti tanti tamburi intorno e dentro me a percuotere con vigore sulla grancassa della mia paura interiore. 
Ritorno. Cara città, sarai pur grigia e ingrata, ma mi appartieni. Almeno ora riesco a camminare senza sentirmi soffocare. Sì, okay, ho capito, mi devo svegliare. Devo rimboccarmi le maniche. Però voglio andar per vie conosciute.
Sembra non andare tanto meglio. Credo d'aver commesso un errore. Una serie di errori. Mi volto indietro e vedo che in realtà li sto commettendo da tempo immemorabile, tali errori. Una ricerca senza né capo né coda, quando qui sono sola. Un ennesimo tentativo di tirarmi su con le cose che so far meglio, in una sorta di altruismo depurativo, ma da dentro il segnale è oscurato. La luce è oscurata. E poi crollo, nel corpo e nel cuore e nell'anima. Ed è allora che comincio a vedermi veramente... E' l'inizio di un altro viaggio. Questa volta dentro di me. Un viaggio che sarà molto lungo.
Compio una scelta. So già cosa comporterà. Quali oneri, quali sofferenze. Scelgo una strada solitaria più di un altruismo depurativo. Scelgo di scrivere per gli altri partendo da me stessa: saranno dolori. Scelgo di non aspettare più un cambiamento, e di provare a dipingerlo io stessa, per prima, attraverso quelle parole che tanto amo mettere insieme. Stavolta però sarà diverso... Niente più sceneggiature. Ho bisogno di un cammino lungo e individuale. Niente più storielle abbandonate dopo poche pagine. Perseveranza. Niente più recensioni o articoletti che nessuno leggerà mai. Questa storia sarà letta da molti. E niente più versi spaiati per gettar fuori rabbia repressa. Sarà la più dura e indelicata delle terapie.

Ritorno dai miei personaggi. Sono ancora là con le braccia conserte, da mesi in attesa di indicazioni. Non se ne sono mai andati. Mi hanno aspettata. Quelli immaginari come quelli reali. Ragazzi, sto arrivando.
Era in ritardo. Tanto per cambiare. 
Sto arrivando, eccomi! Anche se non tira una buona aria.
L’aria era soffocante. Camminava veloce Mara, forse per sentirne meno il peso...
Ci sono. Ci voglio credere. Sento l'euforia. Ancora una pagina e so che non sarà poi più possibile smettere. Sarà come saltare nel vuoto, non ci sarà modo poi di aggrapparmi ma soltanto di lasciarmi andare. E sia.
Si ritrovarono tutti e tre in uno scantinato buio e celato, immersi in un imbarazzante silenzio, con Don Alfred che li osservava tacendo. Soltanto dopo qualche minuto di smarrimento generale il prete si rivolse loro: «allora, siete qui per la rivoluzione, vero?»
Sconcertata, Mara chiese: «scusi, quale rivoluzione?»
Mi trovo in un altro universo. Cosa mi sta succedendo? Davvero avevo dentro di me tutto questo?
«Adesso basta avere paura, basta dire che non è possibile, basta piegarsi ad ogni ingiustizia! Signor Trivea… Jonathan… Don Alfred… Sono con voi. È arrivato il momento di alzarsi dal divano!»
Dovrò invece lavorar molto tempo seduta. Ma non è questo il punto. Sto facendo più passi in avanti ora di quanti in una vita intera. Quell'uomo di tanta cultura aveva ragione. Mi dovevo svegliare per realizzare i sogni, non aspettare che mi venissero serviti nel piatto. Altrimenti, che razza di sogni sarebbero? Sono qui per questo. Ispirare a mia volta, trascinare. Che fatica. Che bellezza.
Il vecchio negoziante lo guardò attonito. Vendette incredulo a quell’uomo distinto i libri rimastigli. Mentre intascava i pochi funny chiese a Damien: «nessuno legge più libri, perché li compra?»
«Proprio perché nessuno più li legge, caro signore. Gliel’ho detto, mi servono per la rivoluzione!» Damien s’allontanò contento come un bambino che ha appena comprato zuccherini e bon-bon, seguito dallo sconcertato sguardo del povero bottegaio.

...CI VEDIAMO L'UNDICI...





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