Scala(ta) di picche

Immagine evocativa tratta da Pixabay


Ripropongo questo mio vecchio racconto del 2012, che parla in modo surreale damore. Per sé stessi, per la vita, per qualcun altro.

Scala(ta) di picche

 La giocatrice osservò le sue carte. Facevano decisamente schifo. Continuava a pescare doppioni, invece della cartachetuttopuòcambiare. Da tempo non riusciva a buttare giù nemmeno un dannato tris, mentre gli altri facevano gioco, pur avendo poche carte. Lei, al contrario, aveva un ventaglio di carte in mano! Necessario, per la tattica: stava preparando infatti una scala di picche epocale, da asso ad asso. Di quella di cuori, invece, v’era solo la regina, donna sola, che puntava l’aitante fante di picche. “Jack, Jack!” Ma lui non l’ascoltava. La regina di cuori si voltò dall’altra parte e vide un due di picche. Brutto segno.

In mezzo a quel ventaglio di carte c’erano vari assi, ma nessun jolly. Quando toccò a lei, dacché il tavolo non offriva opportunità, decise di prelevare le carte scartate, fino ad averne in mano ventisette. Dovette distribuirle su due piani per poterle reggere tutte (separando fra l’altro la donna di cuori dal fante di picche).

Non poteva resistere a lungo. Guardò i suoi punti: due miseri tris. E ventisette carte in mano. Aveva scelto così. Per un gioco efficace le occorrevano tempo e pazienza. E se fosse stato troppo tardi? Che fare, rompere la tattica in nome della concretezza o rischiare e tentare la scala(ta) di picche epocale?

Frattanto il suo vicino aveva appena realizzato una scala di sette carte, la pinnacola; avrebbe anche potuto chiudere, dal momento che reggeva solo due carte in mano. Lei sempre ventisette.

Che scalata. È il momento. Non al prossimo giro. Ora! Non ci è dato scegliere le nostre carte, possiamo solo imparare a usarle bene.

Non potendo ancora mostrare la preziosa e celata scala di picche, perché incompleta, la giocatrice decise di resistere ancora un turno. Nel frattempo, però, notando un tris di fiori che quasi rischiava di dimenticarsi, decise di buttarlo giù. Poi si apprestò a pescare. Cosa sarebbe uscito? Un jolly, la cartachetuttopuòcambiare o una carta inutile?

Ovviamente una carta inutile. A che poteva servirle un dannato nove di quadri? La giocatrice divenne furiosa. Nessuno lo sapeva, ma lei aspettava il sette di picche, quello che avrebbe congiunto le due parti di scala di picche, da asso ad asso. Guardò impassibile l’inutile nove di quadri appena pescato. Poi rifletté un momento. Chiunque dei suoi ignari avversari avrebbe potuto scartare il sette di picche. O magari l’avrebbe pescato lei al giro successivo. Oppure sarebbe potuto non arrivare mai.

Era tempo di scartare. La giocatrice indugiò sul dieci e la donna di cuori: mancava il fante. Ma decise infine di tenere i cuori. Le sarebbero serviti, ne era convinta. Tenne persino la carta inutile, il nove di quadri: divenne il prescelto per chiudere la partita, se mai fosse riuscita a tirar giù quella scala di picche… Tutte le carte dovevano contribuire alla causa: serviva una grande cooperativa… di carta.

La giocatrice scartò infine l’asso di fiori, bello e intrigante, ma non le sarebbe servito mai. Mentre il giro ricominciava, scrutò la sua quasi pinnacola di picche. Era incompleta, come lei. Anche la regina di cuori si sentiva incompleta. Lo sapeva, la sua partita rischiava d’essere un fiasco. Eppure, era ancora aperta.

Come finirà la partita? Riuscirà la giocatrice a realizzare la sua pinnacola epocale? Esiste un sequel di questo racconto - Cuori e ripicche - che potete recuperare qui: faresol.blogspot.com/2013/08/cuori-e-ripicche.html

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