Questo è l’incipit di una
storia. Una metafora che racconta una realtà di ri(e)voluzione che sta
realmente accadendo.
È il
mio compleanno. Reggo in mano i cocci delle mie non-conquiste, mentre solerte
spengo le candeline, sovraffollate su questa torta indigesta. Quali gesta,
quali imprese dovrò compiere per sentirmi completa, soddisfatta… Felice? Quali?
Da qui e da tempo vedo solo porte chiuse. Decido di muovermi, per trovare la
mia strada.
Cammino,
finché sbuco in un cortile. Chiuso. C’è un cancello. Chiuso. Te pareva… Eppure,
oltre le sue sbarre, si può scorgere un sentiero. Un sentiero con un bel
paesaggio tutt’attorno! Voglio seguirlo. Ah già, il cancello è chiuso.
Il
tempo corre, fugge, ed io resto in attesa che scatti una qualche serratura. E
attendo. Sola. Disadattata. Spenta. Arrabbiata. Pretenziosa. Ferma. Immersa in
questa attesa che non dà speranza. E senza speranza non ce la faccio. Grido
mentre afferro le gelide sbarre di questo cancello
imponente e dannato due volte: non mi fa passare oltre, ma mi mostra la bellezza
della via che non posso percorrere.
Il
tempo è celere, fuggente. Niente da fare. Resto ferma. Il Nulla mi sta per
avvolgere. Un lupo nero sogghigna nel quieto angolo del gelido cortile. Il
Nulla che uccide i sogni e dunque la speranza. Ma io so immaginare, creare,
sognare… Perché non posso oltrepassare il cancello? Perché mi ostino a sostare?
Urge fare qualcosa. Non so cosa però, dacché pure le altre porte continuano a
rimaner chiuse. Sprangate. Dannate. Eppure non ho che
questa vita, questo tempo, non ho che queste mani, questi sogni, che devo
aspettare? Che chiavi piovano dal cielo? Posso forse restare a guardare i miei
sogni infrangersi contro un cancello?
Il tempo continua a fuggire. Come posso accettare di non sperare? Se
io non posso andare oltre, fuggire, allontanarmi verso l’oltre, allora porterò l’oltre
da me.
Vuoi combattere, Nulla? Bene, perché no? Azzeramento, tabula rasa,
pulizia. Cancello. Cancello il lupo che sogghignava. Cancello l’immagine delle
sbarre dannate due volte. Cancello il sentiero che non posso percorrere.
Cancello tutto.
Cancello e riscrivo, caro cancello. Vedremo chi la spunterà. Mente
sgombra. Ma ora urge
un innesto, una molla per poter riscrivere.
Comincio
a immaginare, dimentica di tutto. Vedo un negozio, forse una bottega: è piena
di libri. Tanto basta. Questa banale figurazione è la molla che fa scattare la
speranza. Ma come realizzarla, qui, ove non c’è che
Nulla?
Da
artigiana delle parole qual sono, non posso che plasmare l’idea a partire da
una mappa concettuale; prendo il mio taccuino verde, e vi scrivo pensieri e
concetti collegati fra loro da freccette-ancore di salvezza. E una volta
finito, ambizioso come tutti i miei progetti, e una volta finito… Non lo so. Perché dovrebbe funzionare? Cos’ha di tanto speciale?
Perché il mio progetto dovrebbe… Il mio… Ecco qui, ecco dove stavo ripetendo
l’errore!
Non
resta che fare una cosa per evitare che questo progetto s’aggiunga alla sterminata
collezione delle idee rimaste astratte e incompiute: condividerlo.
Così
faccio. Mi alzo. Vago, vado in giro, chiamo a raccolta altri giovani come me in
cerca di porte aperte. Racconto loro la mia idea di bottega, con la paura che
mi prendano per folle. E succede qualcosa d’imprevedibile: chi l’ascolta ne rimane
entusiasta, ma non si limita a dire che
bello, bensì ci butta dentro del suo. Come può un ammasso di parole e
concetti buttati su un taccuino verde stimolare così tanto le persone? Sarà il mio
tono di voce adrenalinico che le accompagna? Sarà la voglia di rivalsa che
traspare? O il semplice bisogno di speranza? Aspettavano forse una folle
qualunque che desse il via? A quanto pare…
Incuranti del cancello chiuso che s’erge sul cortile, cominciamo a
lavorare sul progetto. Alcuni dei miei nuovi compagni cercano materiale in
giro, lo lavorano, e infine ne ricavano un tavolo. Rotondo. Qualunque idea
realizzeremo, essa partirà da un cerchio. Qualunque bottega avessi immaginato,
non sarà la mia. Perché sarà la bottega di tanti. Intanto cancello l’idea di
partire, giacché v’è qualcosa da riscrivere qui: il nostro avvenire.
Col
fuggir del tempo, il nostro cerchio s’allarga a più menti. L’idea si trasforma,
si fa più concreta. Più umana. E ci crediamo. Perché ognuno fa forza all’altro.
Perché valiamo più di tutto questo Nulla che ci circonda, più di cancelli e
porte e sbarre beffarde… Siamo tanti
affluenti le cui acque si mischiano insieme, in tempo di siccità.
Fra
poco scenderà la notte. L’oscurità ci avvolgerà, ma ci forgerà allo stesso
tempo, così che, quando guarderemo l’alba, sarà come rinascere.
http://www.uman360.it/cancello-riscrivo/
PS: questa storiella si riferisce al famigerato piano C. Continua, ovviamente :)
http://www.uman360.it/cancello-riscrivo/
PS: questa storiella si riferisce al famigerato piano C. Continua, ovviamente :)
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