Era tanto che non piazzavo un raccontino sul blog... Questa storia è fresca fresca: nonostante il poco tempo son riuscita a scriverla... Buona lettura!
Manca poco alla fine. Nel senso che sarà la fine.
"Cinque minuti!" strilla il mister, quasi a volerci rimproverare, perché non siamo ancora condannati. Certo, potevamo evitare di giocarci tutto all'ultima giornata. Ora siamo invischiati in questa partita crocevia della stagione, contro la diretta concorrente. Che incrocio terribile, questo. Senza gol finirà zero a zero. Pareggio uguale retrocessione. Eppure, basterebbe un gol. Gli avversari, forti del loro punticino di vantaggio, badano solo a difendersi. Ma nessuno dei miei compagni sembra possedere la forza per provarci. Nemmeno il capitano-superstar-onnipotente-Numero Dieci. Lui, il nostro campione. Oggi non pervenuto.
Pensavo di poterla risolvere io. Però questo ruolo mi eclissa dal gioco. Io volevo essere fantasista, Numero Dieci. Giocare sulla fascia è un lavoro sporco. E poi, a cosa è servito? Nel primo tempo ho fornito assist ai compagni, peccando di altruismo, ma loro non hanno saputo sfruttarli. Nel secondo tempo ho deciso di fare da me, cercando giocate e iniziative personali, in uno sbalzo improvviso- quanto inutile- di egocentrismo puro, come se tutto dipendesse da me. Di gioco di squadra però non se ne parla, gli schemi sono saltati; conterebbe solo vincere. Ma in campo aleggia uno strano spirito di rassegnazione. E mentre non manca che una manciata di minuti alla fine, mi convinco che un gol cambierebbe davvero tutto. Tutto. Cosa darei per segnare io la rete decisiva, magari proprio adesso, prossimi al novantesimo. Che abbiamo da perdere? Ormai, niente... Ma laggiù c'è un catenaccio inespugnabile. Intanto, il pubblico ci fischia. La curva, poi, è infuocata. Fantastico.
Ottantasettesimo, il mister nemmeno parla più. Sono a centrocampo, ad inseguire un pallone impossibile, colpa di un passaggio fuori misura del mio compagno, il Numero Sei, il roccioso difensore dai piedi poco delicati.
Forse dovrei risparmiare fiato, lasciar andare questo pallone destinato fuori... Lasciarlo andare...
Ottantasettesimo, il mister nemmeno parla più. Sono a centrocampo, ad inseguire un pallone impossibile, colpa di un passaggio fuori misura del mio compagno, il Numero Sei, il roccioso difensore dai piedi poco delicati.
Forse dovrei risparmiare fiato, lasciar andare questo pallone destinato fuori... Lasciarlo andare...
Un momento.
E poi il pallone si stampa all'incrocio dei pali. La porta trema, il rumore metallico riecheggia in tutto lo stadio. Silenzio. Mani sudate a coprire volti increduli. Ma la sfera non ha finito di sorprendere. Schizza in alto e ricade: il portiere respinge a mano aperta, un difensore rientrato di corsa allontana alla meno peggio. Il nostro capitano però è già in agguato e, al limite dell'area, colpisce la palla con un destro potente. E la palla a sua volta colpisce prima il palo interno, poi la schiena del portiere tuffatosi inutilmente. E rotola via, oltre la linea.
E' il gol più assurdo che abbia mai visto.
Nessuno sa chi ringraziare, come esultare, che fare. Lo stadio però minaccia di venire giù, i tifosi hanno un pathos effervescente e un umore repentino. Eravamo perduti, spacciati, automi in campo, ora pubblico e panchina esplodono con noi dalla gioia. Il mister mi guarda negli occhi, riconoscente, mentre il Numero Dieci della squadra si prende tutta la gloria, sotto la curva festante, in fondo il gol è più o meno suo.
E' ormai la fine e i miei compagni sono trasformati; attaccano, difendono, si parlano, sono concentrati e sicuri. Persino l'eterno zoppicante Numero Nove, l'ipocondriaco e pessimista della squadra, persino lui ora corre. Avversari alle corde. Mentre scorrazzo per il campo partecipando al torello collettivo, penso al mio gesto folle e inspiegabile. Un pallone destinato a rotolare fuori, un pallone destinato a spegnersi. Quel tremore sordo sui pali ha destato una squadra sopita, spacciata. La follia di un'ala sinistra fuori posizione che inventa la speranza per la sua squadra quasi retrocessa.
E' ormai la fine e i miei compagni sono trasformati; attaccano, difendono, si parlano, sono concentrati e sicuri. Persino l'eterno zoppicante Numero Nove, l'ipocondriaco e pessimista della squadra, persino lui ora corre. Avversari alle corde. Mentre scorrazzo per il campo partecipando al torello collettivo, penso al mio gesto folle e inspiegabile. Un pallone destinato a rotolare fuori, un pallone destinato a spegnersi. Quel tremore sordo sui pali ha destato una squadra sopita, spacciata. La follia di un'ala sinistra fuori posizione che inventa la speranza per la sua squadra quasi retrocessa.
L'arbitro fischia la fine, ma non abbiamo sofferto nel gestire il risultato, anzi: a momenti il nostro gigante Numero Due non segnava il due a zero con una capocciata su calcio d'angolo. Festeggiamo sotto la curva, in un euforico delirio collettivo, mentre gli avversari catenacciari scorrono via quasi in lacrime.
Nello spogliatoio incrocio il capitano Numero Dieci superstar. Mi stringe la mano, forte. Troppo forte. Sussulto, che forza che ha... Sul suo volto da campione leggo un'espressione a metà fra divertimento e riconoscenza. Ad alta voce scandisce: "Grazie per l'incrocio."
Questo è un racconto di pura fantasia, riferimenti a persone o cose sono da intendersi puramente casuali.
Nello spogliatoio incrocio il capitano Numero Dieci superstar. Mi stringe la mano, forte. Troppo forte. Sussulto, che forza che ha... Sul suo volto da campione leggo un'espressione a metà fra divertimento e riconoscenza. Ad alta voce scandisce: "Grazie per l'incrocio."
Questo è un racconto di pura fantasia, riferimenti a persone o cose sono da intendersi puramente casuali.
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