Piano C

Voglia di un progetto plurale, condiviso, concreto, dopo un anno e mezzo trascorso ad attendere e costruire in prospettiva solitaria. Voglia di condividere un'idea, non di essere premiata per la stessa, ecco ciò che mi mancava.
Ho vissuto un momento di smarrimento e buio. Mi si era scaricata la torcia. In quel momento, pensieri apocalittici (nel mio caso: mi arrendo, mollo tutto, vado via, mi rassegno) stavano plasmandosi. Lo stesso momento in cui facevo la conta delle troppe cose che non avevo, e di quel poco che avevo da perdere. Schiacciata in un paradosso esistenziale che non permette né bagagli né radici (questa è un'autocitazione, ma tranquilli: mi sono chiesta il permesso) bivaccavo, inerme, senza poter far altro che attendere. Attendere che qualcuno, o qualcosa, mi salvasse. Oppure consumarsi lentamente nell'attesa stessa. Poi. Qualcosa dentro, improvvisamente, si è illuminato. Brillare di luce propria. Comodo!
Se piano A e piano B sono impercorribili, né bagagli né radici, allora si passa direttamente al piano C.

Avevo già provato a inventarmi da me una soluzione. Ma era sempre la solita strada ideale. Finché non ho afferrato quale punto fondamentale stesse sfuggendomi. E l'ho afferrato grazie alla luce che mi è scattata dentro d'improvviso, più o meno come la mattina in cui decisi di aprire un blog, o il giorno in cui cominciai a scrivere un romanzo...
Creare lo spazio, il lavoro, il progetto che non c'è. Tutto normale, solito copione. Sono anni che ripeto le stesse cose come una litania, e sono anni che le mie idee si fermano alle scartoffie senza mai cominciare concretamente (con un'unica eccezione ma all'estero è un'altra cosa). A meno che.
A meno che il progetto non sia condiviso, fin da subito. Porte aperte che infrangono la barriera dell'egocentrismo. Questo è il Piano C.
E' stato un attimo: sono partita in quarta e ho scaraventato tutte le idee, vecchie e nuove, su carta, fino a convergerle in un solo grande modello ideale di progetto. Dopo una settimana il modello ideale era già un'idea funzionale, ma non grazie a me, bensì grazie alle prime contaminazioni: ho infatti sottoposto la mia idea iniziale ad altri e questi altri l'hanno contaminata con dubbi e spunti, trasformandola, rendendola migliore.

Ero troppo ferma. Non si può rimanere ad aspettare le possibilità. Eppure, non ho probabilmente nessuna possibilità di realizzare il progetto che ho in mente e in cuore, tranne quella di provare. Sarà un'impresa, certo. In molti sensi, fra l'altro. Il 'problema' è che tale progetto non appartiene più solo a me, adesso. Non è più soltanto mio. Questo sì che 'complica' le cose e sovverte la storia...
Se davvero hanno rubato il futuro alla nostra generazione allora è tempo di tessere una nuova trama di avvenire, ragazzi. Ma non come stagisti. Bisogna smettere i panni degli aspiranti. Aspiranti cosa, a venticinque, trent'anni? Noi sappiamo già chi siamo e cosa vogliamo fare. Ma il tempo scorre via e non aspetta che intanto noi aspettiamo che qualcuno ci dia le possibilità.

E' una faccenda seria, questa idea di progetto. D'altronde scrivere e lanciare idee non è un hobby, per me non lo è mai stato. E' il mio mestiere, il mio moto, il mio istinto incontrollabile. E l'istinto non sbaglia mai.
Continua

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