GIÙ
IL CAPPELLO
S
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e
ne stava lì, in quel ritaglio di strada, capo chino e sguardo invisibile, dacché il logoro cappello gli
copriva gran parte del viso. Le mani viaggiavano da sole sul violino, a ritmi
blandi ma costanti. Attorno a lui il pubblico era per di più un precario stormo
di passanti instabili, non esattamente rapiti dalla sua musica. Una musica
lenta, malinconica, soffocante. Solo suono senza speranza.
L’altro cappello, quello nero, quello nuovo, giaceva per terra. Vuoto.
Poco
distante dal musicista sedeva, su di una panchina, una giovane ragazza armata
di matita. Ogni tanto lo fissava, poi scarabocchiava chissà cosa su un quadernone
dalla copertina nera. Ma il mesto musicista non si curava troppo degli sguardi.
Nemmeno li scorgeva. Egli pretendeva monete, e il sapere che ne luccicavano
solo un paio in fondo al cappello nero non faceva che innervosirlo. Mentre il
mondo intorno sembrava essergli indifferente, la ragazza seduta poco distante
si levò d’improvviso in piedi e d’improvviso gli si avvicinò.
«Salve,
scusi se la interrompo…»
Il
violinista smise di suonare. Fu obbligato a levare il tacito sguardo su di lei.
«Ho
notato che poca gente si ferma ad ascoltarla… e, mi scusi se glielo dico, ma la
sua musica è proprio uno strazio!»
Irruente
e senza freni. Come si permette?
«Guardi,
si guardi lei stesso.» La ragazza gli porse il suo quadernone nero: un disegno
appena fatto ritraeva un violinista in mezzo alla strada, chino su stesso. Accidenti,
guardare quel ritratto fu come guardarsi allo specchio. Quel disegno svelava un
uomo stanco, più vecchio dei suoi anni, dalla lunga barba e i vestiti logori. Sembrava
di poter cogliere persino la tristezza della sua musica attraverso le grigie sfumature
della matita. Pugno nello stomaco.
«Signorina,
ehm… lei disegna molto bene. Ma se nessuno vuol fermarsi ad ascoltarmi io non
posso farci niente…»
«Come
non può farci niente? È lei quello che suona! Lo vuole qualche consiglio?»
Ancora
una volta spiazzato dalla sua irruente vitalità, l’uomo accettò di ascoltarla.
La
ragazza cominciò a squadrarlo con professionalità. «Allora, qui ci vuole un
ripensamento d’immagine. Voglio dire… Si vesta meglio! E poi, scelga un brano
più allegro. E poi, tiri su lo sguardo! E poi, sorrida alla gente!»
Tutti
quegli e poi lo mandarono in
confusione. «Ma… io non saprei… forse oggi non è giornata, forse potrei
tornare domani e…»
Dal
canto suo, troppi forse e troppi condizionali.
«No,
non domani. La vita non è dopo, non è poi, non è più tardi! Vada a cambiarsi
gli abiti e si sistemi la barba. Adesso. Su, vada, signor...»
«Possiamo
anche darci del tu. Io mi chiamo Philippe.»
«Oh,
io mi chiamo Graziella, come la bici!» gridò entusiasta lei, attirando
l’attenzione dei passanti e gettando lui in imbarazzo.
Philippe decise di ascoltare il consiglio di Graziella, nulla avendo da perdere. Corse subito
a casa a radersi la barba, lasciandosi solo un sottile pizzetto, che gli
ricordò i bei tempi in cui suonava col suo gruppo. Dal guardaroba pescò una
camicia colorata a quadretti bianchi e rossi; sostituì il logoro cappello
con un basco verde scuro e infine si guardò allo specchio compiaciuto. Poi
cominciò a cercare per casa vecchi spartiti, finché lo sguardo non cadde su una
fotografia sbiadita; quello scatto lo ritraeva assieme ai suoi amici, quando suonavano nel gruppo… Vi scorse il suo sorriso perduto in quella foto. E a quel punto, non vi fu più bisogno di ritrovare
nessuno spartito: la musica che aveva rimosso rinvenne in un secondo.
Ora
viaggiava con la mente, la cornice di quella fotografia era stata così forte da
fargli dimenticare il suo status attuale di infelicità, solitudine e
miseria. Pensò a come aveva plasmato la musica negli ultimi anni, a quanto il suo miglior mezzo si fosse trasformato in un amplificatore di
tristezza e rassegnazione. Ma il rivedere ciò che era stato gli aveva ricordato
quanto potesse essere migliore.
Philippe si diresse verso lo stesso sfortunato ritaglio di strada fino a quel momento
poco favorevole.
Graziella
era ancora là, seduta sulla panchina. Sorrise, forse non si aspettava che
avrebbe fatto tanto presto. «Uao, con vent’anni di più potrei anche
innamorarmi di te!» esclamò la giovane.
Philippe arrossì un poco. Un complimento del genere da una donna non poteva lasciarlo
indifferente. Da quanti anni non capitava?
Forte
dell’appoggio della sua nuova (e unica) alleata, Philippe portò le mani sul
violino, e fin dalla prima nota l’ordine delle cose venne sovvertito. Ne uscì
suono un po’ pop, un po’ folk, sì ballabile, sì orecchiabile... Tatattaratattara tatattaratattara… Sorrideva, Philippe. Batteva il piede, Philippe. Ci
cantava sopra, Philippe. E in un battibaleno, molti passanti si fermarono ad
ascoltarlo. I bambini presero a saltellare e a scorazzargli intorno, una coppia
di anziani - due ex ballerini - cominciarono a ballare. Lì, in mezzo alla strada,
senza vergogna. Qualcuno li seguì nella danza. Altri battevano le mani. Il
cappello nero prese a gonfiarsi delle copiose monete che la gente gli versava
dentro. Graziella
osservava a distanza, mentre un nuovo disegno prendeva forma.
Dopo
circa un’ora di esibizione ininterrotta - che aveva tutti i requisiti di un concerto
folkloristico all’aperto - Philippe si tolse il basco in segno di
ringraziamento. Applausi copiosi, urla gioiose, sorrisi ovunque, dannazione, averci pensato prima! Le donne presenti poi lo fischiarono con fare ironico,
quasi a volergli confermare che doveva tenerlo giù, il cappello.
Philippe si gustò ancora un poco gli applausi; poi raccolse i due cappelli, il
suo e l’altro, quello nero colmo di denaro, e con entrambi si avvicinò a Graziella. La
giovane scoppiò a ridere, contagiandolo; in quella risata poteva cogliere un messaggio. Hai visto? Dai sempre retta ai
consigli di una donna!
«Graziella,
ti prego di accettare metà di quel che ho guadagnato. Se non fosse stato per
te…»
«Accetterò
denaro solo se comprerai i miei due disegni. Ti ritraggono prima e dopo il
cambio di prospettiva.»
«Il
cambio di che?»
«Il
cambio di prospettiva caro Philippe, quello che fa la differenza. Era mio dovere intervenire…
Sai, l’arte ha acuito il mio spirito d’osservazione, in un certo senso mi sento
in dovere di correggere le persone di valore, quelle che davvero hanno un
grande potere.»
«Potere?»
«Guarda
quanta gente sorridente, oggi! Io potrei
disegnare tutta la vita e non ottenere nemmeno la metà dei sorrisi che hai
forgiato tu in un’ora. Ma così è, ognuno ha il suo dono.»
Philippe la guardò un momento. Un silenzio per comunicarle che sì, la lezione è stata
imparata. Il violinista acquistò i due disegni. Diede metà del denaro
guadagnato a Graziella, e trattenne l’altra metà, una somma comunque di tutto
rispetto. Mentre riponeva il violino nella sua custodia, udì un bambino canticchiare
ancora la melodia tatattaratattara tatattaratattara…
e fu allora che quel ritaglio di strada divenne un piccolo angolo di pura magia.
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